2022-11-06
Conte frega la piazza al Pd: «Basta armi a Zelensky». E Letta se ne va tra i fischi
A Roma Giuseppi attacca il governo: «Stop a invii saltando il Parlamento». Guido Crosetto: «Stia tranquillo». Il leader dem: «Vogliamo la fine dell’invasione». E viene contestato.Due piazze per la pace che si fanno la guerra: mentre a Milano Carlo Calenda e Matteo Renzi radunano un migliaio di persone per sostenere la resistenza ucraina, a Roma in 50.000 (il doppio per gli organizzatori) prendono parte alla manifestazione per la pace organizzata da associazioni laiche e cattoliche, Acli e Arci, sindacati e Rete per il Disarmo, alla quale hanno aderito Pd, M5s e Alleanza Verdi-Sinistra Italiana. Volano insulti tra le due manifestazioni, con Giuseppe Conte che attacca l’iniziativa di Milano: «Ben venga chi vuole manifestare per la pace», dice Giuseppi, in piazza a Roma insieme ai parlamentari del M5s, «poi se qualcuno pensa di farsi una piazza alternativa non ho capito se è per la pace o per la guerra. Si chiariscano le idee». Con il Pd costretto a inseguire e a gettare acqua sul fuoco: «Da noi nessuna polemica con altre manifestazioni». Ad aprire il lungo corteo che attraversa la Capitale, partendo da piazza della Repubblica per giungere a piazza San Giovanni, lo striscione Europe for peace, portato da scout e da giovani della Comunità di Sant’Egidio. Un fiume umano all’interno del quale si registra la presenza di molti esponenti politici e sindaci di numerose città. La piattaforma della manifestazione è la richiesta di un cessate il fuoco, ma il corteo assume anche un importante significato politico: Conte rilancia in maniera chiara e decisa l’opposizione del M5s al sesto invio di armi italiane in Ucraina, già annunciato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto: «Il ministro Crosetto», dice Conte in piazza, «ha preannunciato che sta preparando il sesto invio di armi a Kiev. Bene, noi gli diciamo che visto che è stata votata una risoluzione che impone al governo di avere un confronto in Parlamento, non si azzardi questo governo a fare un ulteriore invio di armi senza venire a confrontarsi in Aula». «Posso rassicurare il presidente Conte», replica stizzito Crosetto, «che saranno utilizzate le stesse procedure che lui ha accettato, approvato e avvallato, nei mesi scorsi. Per quanto riguarda l’invio di armi all’Ucraina, il ministero sta dando e darà attuazione a quanto previsto dai cinque decreti già approvati in base all’autorizzazione data dal governo Draghi, sostenuto da una maggioranza di cui Conte e il suo partito erano il principale gruppo e sostegno in Parlamento. I 5 stelle e Conte hanno detto cinque volte sì ai cinque invii di armi all’Ucraina», aggiunge Crosetto, «che nei mesi passati e prossimi abbiamo inviato e invieremo». Le stesse procedure, dice Crosetto: dunque si continuerà a spedire armi a Kiev in virtù del decreto varato dal governo Draghi, che scade il prossimo 31 dicembre. Del resto, la benevolenza di Washington e Bruxelles nei confronti del governo di Giorgia Meloni non è certo un attestato di stima o un atto di generosità, ma semplicemente la contropartita politica della garanzia fornita da Fratelli d’Italia sulla continuità con il governo Draghi per quel che riguarda la politica estera. Conte da una parte, dunque, la Meloni dall’altra, e nel mezzo, manco a dirlo, Enrico Letta. La presenza alla manifestazione di Roma del segretario del Pd, la cui linea è sempre stata ultrabellicista, è un maldestro tentativo, tra l’altro miseramente fallito, di non lasciare a Conte l’esclusiva del pacifismo. Pacifismo, quello di Giuseppi, che, è bene ricordarlo, è solo uno strumento propagandistico, e che tuttavia intercetta la contrarietà all’invio di armi della maggioranza degli italiani, e che ha almeno una base di coerenza rispetto a quello che l’ex premier del M5s ha sostenuto negli ultimi mesi; Letta, al contrario, soprannominato non a casi Pisto-Letta e ritratto con l’elmetto, è sempre stato attestato su posizioni rigidamente filo Nato, e come prevedibile si becca una contestazione da parte di un gruppo di partecipanti al corteo, che gli urlano «vattene, guerrafondaio!» più altri insulti irripetibili. Letta sull’invio delle armi a Kiev cerca di arrampicarsi sugli specchi, ma le sue parole fanno capire abbastanza chiaramente che continuerà a essere favorevole: «Quando il governo presenterà una proposta», dice il segretario dei dem, «la vaglieremo. Abbiamo sempre detto che lavoreremo in continuità con quello che si è fatto e in linea con le alleanze europee e internazionali di cui facciamo parte». Poi accenna un distinguo: «Per noi pace vuol dire fine dell’invasione russa». Letta in fondo meriterebbe il Nobel per la Pace: è riuscito infatti nella leggendaria impresa di mettere d’accordo la piazza di Roma e quella di Milano, targata Terzo polo e tutta invece basata su parole d’ordine belliciste, almeno su un punto, ovvero gli insulti al segretario del Pd, che abbandona il corteo mestamente dopo la contestazione. Dal palco di piazza San Giovanni viene poi letta la lettera inviata agli organizzatori dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei: «Liberi insieme dalla guerra! Caro amico», scrive Zuppi, «da fratelli siamo spaventati da un mondo violento e guerriero e per questo non possiamo rimanere fermi. I morti non sono statistiche ma persone. Non c’è tempo da perdere», aggiunge il cardinale, «perché tempo significa altre morti. Vogliamo dire che la pace è indispensabile come l’aria e in questi mesi ne manca tanta. Le morti sono troppe per non capire, se continua non sarà sempre peggio? Chi lotta per la pace è un realista, anzi un vero realista, perché sa che non c’è futuro se non insieme». La lettera del cardinale Zuppi si chiude con un appello: «Papa Francesco, con grande insistenza ha chiesto di fermare la guerra, noi chiediamo al presidente russo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza. E chiediamo al presidente ucraino che sia aperto a serie proposte di pace».