2025-07-24
«La Consulta affossa le nostre Pmi mentre la Cgil e il Pd applaudono»
Paolo Agnelli (Imagoeconomica)
L’imprenditore dell’alluminio Paolo Agnelli: «Eliminando il limite delle sei mensilità agli indennizzi per i licenziamenti si tolgono certezze alle aziende che assumeranno di meno. Deluso dal modello di Transizione 5.0».«La nuova sentenza fa il paio con l’Italia del welfare, dell’assistenza a chi non lavora, dell’accoglienza sempre e comunque e della Naspi indiscriminata. Nel frattempo, continua imperterrita la chiusura delle aziende, Pmi ma non solo. Siamo arrivati a contare 2 milioni di chiusure dal 2015 ad oggi». Così Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria (45.000 piccole e medie imprese) e tra i leader europei dell’alluminio aveva commentato la decisione della Consulta di dichiarare incostituzionale il limite massimo di sei mensilità per l’indennizzo nei casi di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese (quelle con meno di 15 dipendenti). Una mazzata al Jobs Act voluto da Matteo Renzi e alle certezze delle imprese che dopo la svolta rischiano di rientrare nel circolo vizioso dell’indeterminatezza: «Se assumo e poi gli affari vanno male, quanto mi costerà essere costretto a licenziare un dipendente se poi quel licenziamento viene considerato illegittimo?». Plaude la Cgil, che anzi rivendica la sentenza della Corte Costituzionale come una dimostrazione della bontà dei suoi referendum bocciati dai cittadini e la segue a ruota il Pd, che arriva alle stesse conclusioni di Landini & Compagni. Agnelli, cosa la preoccupa?«Il Jobs Act è una legge di circa 10 anni fa voluta dall’allora leader del Pd, Matteo Renzi, non certo da un pericoloso estremista. E partiva da un presupposto corretto, lo Statuto dei lavoratori (1970) si basa su un’idea di società e di mercato di almeno mezzo secolo fa e necessita di un ammodernamento. Oggi, in un sistema globale le aziende che vogliono competere non licenzieranno mai chi lavora bene e produce, ma hanno bisogno di certezze per programmare investimenti e strategie». Questa sentenza toglie certezze?«Certo che toglie certezze. E rischia di creare un effetto domino sui lavoratori. Le aziende che hanno meno di 15 dipendenti ci penseranno bene prima di procedere a nuove assunzioni». Eppure la Cgil applaude?«Guardi l’esperienza mi insegna che chi fa sindacato a Roma ha a cuore tutto eccetto che gli interessi dei lavoratori. Per i sindacalisti nelle aziende è diverso, ma a Roma si fa politica». Anche il Pd applaude. «Per raccattare qualche voto, perché può rivendersi di appoggiare le istanze dei lavoratori mentre in realtà non sta facendo i loro interessi. Non dimentichiamoci che è lo stesso partito che ha approvato il Jobs Act». Beh i leader erano diversi. «Certo. Ma guardi io non vorrei farne un discorso di appartenenza politica, ma vorrei restare sugli interessi delle aziende, soprattutto delle Pmi, dimenticate da tutti». Anche dal governo. «Da tempo la politica ha perso la supremazia che invece dovrebbe sempre avere in un corretto sistema democratico. E così sulle materie più delicate decidono altri. I giudici per esempio». È un atto di accusa anche verso il governo?«Io credo che questo governo abbia fatto e stia facendo bene in politica estera oppure sulla giustizia con la separazione delle carriere, mentre sulla politica industriale sono molto deluso». Perché?«Perché è tutto fermo. Uno dei problemi principali che poi determina un gap competitivo rispetto agli altri Paesi Ue è dato dal costo dell’energia. Era indispensabile agire in modo rapido sulle accise, invece non abbiamo visto cambiamenti. E vogliamo parlare di Transizione 5.0, una barzelletta. Faccio finta di aiutare le imprese che investono in tecnologia e digitale, ma le procedure sono talmente tanto farraginose e complicate che nessuno riceve le sovvenzioni».E l’Europa? «Da dove iniziamo?».Dal Green deal?«Sarebbe stato sufficiente parlare con noi, con il sistema delle imprese. Gli avremmo detto che i tempi previsti erano irrealistici e che le conseguenza sarebbero state disastrose, come poi è stato. Non sto entrando nel merito del riscaldamento climatico. Non è questo il punto. Il punto è che era chiarissimo che quelle norme avrebbero distrutto l’industria dell’auto, perché è impossibile programmare una rivoluzione in fabbrica in così poco tempo. Così come è stato assurdo dare 15 anni di vantaggio all’Asia che ha tempo fino al 2050 per rientrare negli stessi parametri di emissioni sanciti dall’Europa».Si può rimediare?«La mia speranza è che la crisi della Germania possa far rinsavire i decisori. Perché poi alla fine è sempre da Berlino che parte tutto. Di sicuro le imprese sono allo stremo e la partita dei dazi ci sta dando un’altra mazzata».Dazi che ancora devono arrivare. «Non c’è ancora l’accordo ma intanto il dollaro si è svalutato del 17% rispetto all’euro. Se a questo aggiungiamo tariffe del 15-20%, ci ritroviamo con un ulteriore gap competitivo superiore al 30%. Mettiamoci pure che i giudici, non si capisce bene in base a quale norma costituzionale, decidono di riportare il mondo del lavoro indietro di una decina di anni e capiamo bene come il futuro delle nostre aziende sia sempre più a rischio. Molti non capiscono che saranno i lavoratori i primi a rimetterci».
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