2022-04-08
L’assemblea generale, come chiesto dal G7, sospende la Russia. Che però incassa l’appoggio esplicito della Cina e l’aiuto di Africa e India. L’Ucraina rilancia le accuse su Bucha e i negoziati restano in salita.La Russia è stata sospesa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite: a deciderlo è stata ieri l’Assemblea generale dell’Onu con 93 voti a favore, 24 contrari e 58 astenuti (un numero elevato, quello degli astenuti, che ha permesso il raggiungimento del quorum di due terzi necessario per approvare la risoluzione). È la prima volta che un membro permanente del Consiglio di sicurezza viene sospeso dal Consiglio per i diritti umani. Era invece marzo 2011, quando l’Assemblea generale espulse dal Consiglio la Libia, a causa della repressione condotta da Muammar Gheddafi durante la guerra civile. La richiesta di sospendere Mosca era stata ribadita ieri dai ministri degli Esteri del G7. «Siamo convinti che ora sia il momento di sospendere l’adesione della Russia al Consiglio per i diritti umani», avevano dichiarato questi ultimi. «I massacri nella città di Bucha e in altre città ucraine saranno iscritti nell’elenco delle atrocità e delle gravi violazioni del diritto internazionale», avevano aggiunto.Nonostante il forte valore simbolico, va detto che questa sospensione potrebbe avere degli effetti pratici piuttosto ridotti: come sottolineato da Reuters, il Consiglio per i diritti umani non è in grado di assumere delle decisioni di carattere vincolante. Ricordiamo che, nei giorni scorsi, Volodymyr Zelensky aveva chiesto che Mosca fosse espulsa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu (di cui la Russia - insieme a Usa, Regno Unito, Cina e Francia - è membro permanente). Ora, è chiaro che una simile mossa produrrebbe un impatto politico devastante per il Cremlino. Non esiste tuttavia un meccanismo di espulsione predefinito, senza poi trascurare che la Russia disporrebbe del potere di veto. Potere di veto che, tra l’altro, spetta anche alla Cina, la quale difficilmente avallerebbe un eventuale tentativo di silurare Mosca dal Consiglio di sicurezza. Tra l’altro, va rilevato un dato politicamente significativo nel voto di ieri. Se si sommano i voti contrari alle astensioni si raggiunge quota 82: un balzo notevole rispetto alla risoluzione di condanna dell’invasione russa, avvenuta lo scorso 2 marzo. All’epoca la somma dei contrari e degli astenuti si fermava infatti a quota 40. Ma non è tutto. Mentre a marzo si astenne, la Cina ieri ha votato esplicitamente contro. E non è l’unico dato rilevante. Ad astenersi (di fatto appoggiando Mosca) ieri non è stata soltanto l’ormai sempre più filorussa India, ma anche numerosi Paesi africani. Si sono astenute inoltre alcune nazioni mediorientali un tempo agganciate all’orbita americana, come Arabia saudita ed Emirati. Tra l’altro la quasi totalità degli Stati membri dell’Opec ha votato contro o si è astenuta. Questo risultato è il frutto di varie cause. In primis, troviamo l’espansionismo politico-economico di Russia e Cina, registratosi negli ultimi anni in Africa. In secondo luogo, si notano scelte errate di politica estera da parte di Joe Biden, che nel 2021 ha raffreddato i rapporti con Riyad e Abu Dhabi, spingendole così sempre più tra le braccia di Pechino e Mosca. In terzo luogo, le sanzioni contraddittorie e scoordinate occidentali stanno favorendo il compattarsi di un «asse del male 2.0», i cui fili sono tenuti direttamente dalla Cina: una Cina che non ha alcuna intenzione di venire incontro all’Occidente nella risoluzione della crisi ucraina (con buona pace di Biden e Borrell che si ostinano a volerla coinvolgere nella mediazione). L’amministrazione Biden si ritrova così sempre più isolata, perdendo di fatto la sponda mediorientale e quella indiana: un fattore, questo, che rafforza significativamente Pechino (oltre a una serie di autocrazie che l’attuale presidente americano aveva invece detto di voler combattere). Il fronte compattatosi ieri rischia di rivelarsi un incubo per l’Occidente. E pensare che c’era chi si lamentava della politica estera di Donald Trump. In tutto questo, si fa sempre più difficile la strada dei negoziati diplomatici. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha affermato ieri che Kiev avrebbe presentato a Mosca una bozza di accordo di pace contenente elementi «inaccettabili». Inoltre, pur dicendosi aperto a proseguire le trattative, ha tacciato gli ucraini di aver ostacolato i colloqui. A Lavrov ha risposto il capo negoziatore dell’Ucraina, Mykhailo Podolyak, che ha definito le parole del ministro russo come «di significato puramente propagandistico», accusandolo inoltre di voler distogliere l’attenzione dal massacro di Bucha. Parole dure su questo tema sono inoltre state pronunciate dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. «Non potete capire come ci si sente dopo aver visto le immagini di Bucha», ha detto ieri ai media. «Voi non potete capire cosa si prova davanti al fatto che i soldati russi hanno violentato i bambini», ha aggiunto. Kuleba, che ieri ha chiesto all’Occidente l’invio di più armi, non ha tuttavia chiuso completamente le porte ai negoziati. «Capisco che per prevenire altre Bucha dobbiamo parlare e vedere come possiamo porre fine a questa guerra», ha detto. Favorevole ai negoziati si è mostrato poco dopo anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha ammesso «perdite significative di truppe» da parte russa. Nel frattempo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha annunciato che l’Alleanza fornirà ulteriore assistenza militare a Kiev: ha parlato in particolare di aiuti nella sicurezza informatica e nell’invio di materiale per il contrasto all’uso di armi chimiche. «Stiamo aumentando la pressione sul Cremlino e sui suoi vicini», ha detto dal canto suo il segretario di Stato americano, Tony Blinken. Il Congresso Usa ha votato ieri per terminare le normali relazioni commerciali con Mosca, mentre il Montenegro ha espulso quattro diplomatici russi. Oggi, il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si recherà a Kiev, dove incontrerà Zelensky.
Chiara Ferragni (Ansa)
L’influencer a processo con rito abbreviato: «Fatto tutto in buona fede, nessun lucro».
I pm Eugenio Fusco e Cristian Barilli hanno chiesto una condanna a un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo con rito abbreviato sulla presunta truffa aggravata legata al «Pandoro Pink Christmas» e alle «Uova di Pasqua-Sosteniamo i Bambini delle Fate». Per l’accusa, l’influencer avrebbe tratto un ingiusto profitto complessivo di circa 2,2 milioni di euro, tra il 2021 e il 2022, presentando come benefiche due operazioni commerciali che, secondo gli inquirenti, non prevedevano alcun collegamento tra vendite e donazioni.
Patrizia De Luise (Ansa)
La presidente della Fondazione Patrizia De Luise: «Non solo previdenza integrativa per gli agenti. Stabiliamo le priorità consultando gli interessati».
«Il mio obiettivo è farne qualcosa di più di una cassa di previdenza integrativa, che risponda davvero alle esigenze degli iscritti, che ne tuteli gli interessi. Un ente moderno, al passo con le sfide delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, vicino alle nuove generazioni, alle donne poco presenti nella professione. Insomma un ente che diventi la casa di tutti i suoi iscritti». È entrata con passo felpato, Patrizia De Luise, presidente della Fondazione Enasarco (ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) dallo scorso 30 giugno, ma ha già messo a terra una serie di progetti in grado di cambiare il volto dell’ente «tagliato su misura dei suoi iscritti», implementando quanto fatto dalla precedente presidenza, dice con orgoglio.
Il ministro Nordio riferisce in Parlamento sulla famiglia Trevallion. L'attacco di Rossano Sasso (Lega): ignorate le situazioni di vero degrado. Scontro sulla violenza di genere.
Ansa
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.
È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.






