2021-07-21
Confindustria: «A casa chi non ha il pass»
In una lettera interna, la proposta choc al governo della dg degli industriali, Francesca Mariotti: «Senza card vietato l'ingresso in azienda». Fonti di viale dell'Astronomia: «Comunicazione riservata, è la base a pressarci. L'esecutivo deve intervenire».Il colpo giornalistico l'ha messo a segno Gianfranco Ferroni sul Tempo. Il quotidiano romano ha riportato ampi stralci di una lettera firmata da Francesca Mariotti, dg di Confindustria, che sintetizza una proposta dell'associazione al governo: l'esibizione di uno dei green pass come condizione necessaria per entrare in azienda. In mancanza, l'alternativa sarebbe destinare il lavoratore ad altra mansione oppure lasciarlo a casa senza stipendio. Ecco i passaggi più contestati: «Nonostante la campagna vaccinale abbia registrato finora un buon andamento, numerose imprese associate hanno segnalato la presenza di percentuali consistenti di lavoratori che scelgono liberamente di non sottoporsi alla vaccinazione, esponendo di fatto a un maggior rischio di contrarre il virus se stessi e la pluralità di soggetti con cui direttamente o indirettamente entrano in contatto condividendo in maniera continuativa gli ambienti di lavoro». E quindi, si legge più avanti, «al fine di tutelare tutti i lavoratori e lo svolgimento dei processi produttivi, nel pieno rispetto delle libertà individuali, Confindustria ha proposto l'estensione dell'utilizzo delle certificazioni verdi (green pass) per accedere ai contesti aziendali, avviando interlocuzioni con il governo ai fini di una soluzione normativa in tal senso». Con quali esiti ipotizzati? «L'intento», si legge ancora, «è quello di consentire ai datori di lavoro di richiedere l'esibizione di una certificazione verde valida ai fini di regolare l'ingresso nei luoghi di lavoro. […]. La posizione assunta da Confindustria è che l'esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro. In diretta conseguenza di ciò, il datore ove possibile potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dall'azienda». Ovviamente, la diffusione di questi virgolettati ha generato un autentico pandemonio. Per elementare correttezza giornalistica, La Verità ha cercato di contattare il dg Mariotti, che ufficialmente ha scelto di non rilasciare dichiarazioni. Ma ciò che La Verità ha appreso - rispetto alla versione di Confindustria - può essere riassunto in quattro punti. Primo: non si trattava di una lettera pubblica, ma di una mail per il circuito interno di Confindustria. Secondo: sempre secondo Confindustria, il testo sarebbe nato da una pressione fortissima della base associativa. Fonti dirette di Confindustria, ai massimi livelli, hanno testualmente detto alla Verità: «Siamo stati invasi da segnalazioni da parte di imprese, a proposito di lavoratori preoccupati all'idea di lavorare accanto a colleghi che non si sa se siano a loro volta vaccinati o meno». Morale: secondo Confindustria, la mail sarebbe nata «dall'esigenza di continuare a garantire luoghi di lavoro sicuri per tutti». Terzo: gli industriali sostengono di essersi basati su due paletti, cioè l'assenza di un obbligo vaccinale e l'indicazione del Garante della privacy sulla non divulgabilità di dati sensibili. E allora - hanno detto al nostro giornale le medesime fonti - è venuta fuori l'ipotesi di evocare nella mail i tre green pass (quello per l'avvenuta vaccinazione, quello per l'avvenuta guarigione, quello per l'effettuazione del tampone nelle ultime 48 ore). Tesi degli industriali: nessuno chiede di sapere per quali delle tre ragioni il dipendente abbia il green pass, l'importante è che ce l'abbia. Quarto punto della tesi difensiva di Confindustria: la mail non dispone alcun comportamento, ma si limita a segnalare al governo la necessità di una norma. Come dire: caro governo, scrivi una norma che riconduca l'esibizione di uno dei green pass agli obblighi di diligenza e correttezza del lavoratore. In mancanza di tale esibizione, Confindustria non nega ciò che è scritto nella mail: assegnazione di mansioni diverse o altrimenti allontanamento del lavoratore con sospensione della retribuzione. Dicono cioè gli industriali: sappiamo bene che tutto ciò oggi non sarebbe possibile, e abbiamo posto al governo il problema di riflettere su una norma in tal senso. Esposta per doverosa correttezza la tesi di Confindustria, resta lo sconcerto (se possibile accresciuto anziché attenuato da quanto abbiamo raccolto contattando viale dell'Astronomia) per almeno tre ragioni. Primo: non si vede come si possa giustificare l'idea di travolgere in questo modo la libertà e la riservatezza personale. Chi la pensa così, abbia il coraggio di non nascondersi dietro un dito e di proporre l'obbligo vaccinale tout court. Secondo: non ha senso, anche ai fini dell'efficacia della campagna vaccinale, aggredire così gli scettici. L'effetto sarà semmai quello di farli irrigidire e chiudere a riccio. Terzo: se si imbocca questa deriva fondamentalista e illiberale in termini di biosicurezza, chi porrà limiti la prossima volta? Si potrà chiedere di scrivere in una norma l'obbligo di mostrare la propria password di posta elettronica, oppure di esibire le cartelle cliniche, oppure di dichiarare preferenze sessuali, o di mostrare i siti Internet visitati. Se l'individuo può essere calpestato in nome della sicurezza collettiva, ogni assurdità diventa possibile. È il caso di fermarsi in tempo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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