2025-04-06
Condannata a oltre due anni di galera per un tweet contro i clandestini in Uk
Un manifestante fuori Downing Street dopo la condanna dell'assassino degli accoltellamenti di Southport (Getty Images). Nel riquadro il tweet che è costato la galera a Lucy Connolly per incitamento all’odio razziale
Lucy scrisse il post (poi eliminato) dopo la strage in cui morirono tre bimbe. Negati i permessi per vedere la figlia e il marito malato.È stata molto discussa e anche dimenticata in fretta la vicenda degli arresti condotti dalle autorità britanniche la scorsa estate dopo le rivolte anti immigrazione seguite al massacro di Southport. Il 29 luglio scorso, tre bambine - Elsie Dot Stancombe, Bebe King e Alice da Silva Aguiar - sono state assassinate da Axel Rudakubana, nato a Cardiff da genitori ruandesi.L’omicida aveva all’epoca 17 anni. Acquistò un grosso coltello e qualche giorno dopo fece irruzione nell’edificio in cui un gruppo di bambine tra i 6 e gli 11 anni stava facendo un saggio di danza sulle musiche di Taylor Swift. Le bambine uccise da Rudakubana avevano 6, 7 e 9 anni. Elise, 7 anni, ha riportato 85 ferite da taglio. Bebe, 6 anni, ha riportato oltre 122 ferite da taglio. Altre piccole sono state ferite, alcune con 32 colpi al corpo. In gennaio, Rudakubana è stato condannato per i reati di omicidio, tentato omicidio, possesso di oggetto da taglio, possesso di una tossina biologica (ricina) e di un manifesto terroristico. Si è preso oltre 50 anni di prigione, ma ha evitato l’ergastolo perché al momento della strage non aveva ancora compiuto 18 anni. Qualche tempo dopo gli omicidi, è noto, migliaia di persone si sono riversate nelle strade per protestare contro la cattiva gestione dell’immigrazione, e le autorità britanniche hanno sfoderato il pugno di ferro. Gli arresti sono stati più di 1.500, ma tra i fermati non ci furono soltanto i protagonisti degli scontri di piazza. Finirono in manette anche cittadini che non erano mai usciti di casa, ma vennero accusati di avere fomentato odio e disordini pubblicando commenti su Internet. Tra questi c’è una donna di nome Lucy Connolly. La giornalista britannica Allison Pearson (a sua volta indagata dalla polizia per un post pubblicato su X e poi cancellato qualche mese fa) le ha dedicato un lungo servizio sul Daily Telegraph. Un favoloso pezzo di giornalismo, che ha un grande merito: consente di comprendere appieno la gravità di quanto accaduto nel Regno Unito. Un conto infatti è citare i numeri degli arrestati, un altro è conoscere le loro vicissitudini personali, rendersi conto di quale brutalità sia stata esercitata nei loro confronti per via di qualche riga scritta sul web. «La signora Connolly, che all’epoca aveva 41 anni (ne ha compiuti 42 in prigione a gennaio), non ha avuto alcun ruolo nei disordini, ma un tweet da lei pubblicato è stato sufficiente per farla arrestare otto giorni dopo e accusarla ai sensi della Sezione 19 del Public Order Act del 1986, per aver pubblicato materiale che intendeva fomentare l’odio razziale», scrive Allison Pearson. Ma chi è Lucy Connolly? Una pericolosa militante di estrema destra? Una attivista sovversiva nota per gli scontri con la polizia? La condanna a 31 mesi di carcere che ha ricevuto farebbe pensare di sì. Ma questa donna appare tutt'altro che socialmente pericolosa. Secondo la Pearson, Lucy è «una tata molto rispettata e adorata, descritta da un genitore come “la persona britannica più gentile che abbia mai incontrato”, madre di due figli (uno vivo, uno morto), caregiver di un marito malato, al cui fianco è apparsa anche nel ruolo di consigliere Tory. Mentre scrivo», continua la Pearson, «quella donna non solo sta scontando una pena che molti esperti legali considerano scandalosamente dura, ma le viene negata anche l’opportunità di trascorrere del tempo a casa con la sua famiglia, cosa che viene concessa ai compagni di prigione che la circondano e che sono colpevoli di effettivi danni fisici. “Hai fatto arrabbiare un sacco di gente, Lucy” le ha spiegato un agente di sorveglianza quando ha chiesto perché le venisse negato il Rotl (rilascio con licenza temporanea)». Lucy ha un figlio di 12 anni, un marito con una grave malattia del sangue. Ha perso un altro figlio di appena 19 mesi, probabilmente a causa della malasanità, un dramma che le ha provocato un disturbo post traumatico diagnosticato e che l’ha resa terribilmente sensibile a ogni fatto più o meno violento che coinvolga i bambini. Comprensibile che la strage di Southport l’abbia turbata. Dopo aver letto le notizie riguardanti il massacro, Lucy scrisse in effetti un commento molto pesante: «Deportazione di massa ora, incendiate tutti i fottuti hotel pieni di stronzi per quel che mi riguarda, mentre ci siete portatevi dietro il governo traditore e i politici. Mi sento fisicamente male sapendo cosa dovranno sopportare queste famiglie. Se questo mi rende razzista, così sia». Frasi violente, come no. Dopo averle scritte, la donna uscì a passeggio con il cane, si calmò, e una volta rientrata decise di cancellare il post. Il suo commento rimase online circa quattro ore, ma tanto è bastato perché qualcuno facesse uno screenshot e lei finisse nel mirino della polizia. Dopo il suo arresto, le forze dell’ordine e il Crown prosecution service britannico hanno diffuso un comunicato stampa in cui sostenevano che Lucy si fosse dichiara ostile all’immigrazione. In realtà, come documenta la Pearson, Lucy disse cose molto diverse nel corso del colloquio con la polizia. «Sono ben consapevole che abbiamo bisogno di immigrati», dichiarò. «Sono ben consapevole che se vado in ospedale ci sono immigrati che lavorano lì e l’ospedale non funzionerebbe senza di loro. Sono [anche] ben consapevole della differenza tra immigrati legali e immigrati illegali e che questi non vengono controllati, né lo è ciò che potrebbero aver fatto nel loro paese di origine: è una questione di sicurezza nazionale e sono un pericolo per i bambini». Una opinione legittima, ma tanto è bastato per identificare la donna come razzista impenitente. Ricordare i suoi trascorsi personali e i problemi psichici non è servito a evitare la condanna. «Ho capito che le cose si stavano mettendo male quando Starmer e il ministero dell’Interno hanno iniziato a parlare di estrema destra, avevano ovviamente un programma», ha detto al Telegraph Ray, il marito di Lucy, raccontando come la donna sia stata pubblicamente mostrificata. Era diventata «la moglie razzista di un consigliere conservatore». Se al processo si fosse dichiarata colpevole, avrebbe probabilmente ottenuto uno sconto di pena, ma comprensibilmente la donna non ha voluto farsi etichettare come odiatrice e fomentatrice di disordini. Si è scusata pubblicamente, ha cancellato il post sostituendolo con un altro in cui sosteneva che «la violenza non è la soluzione». Ma è finita in carcere con una condanna a più di due anni. Tutto per un post sulla Rete nel democratico Occidente. Lo stesso Occidente che frigna per i dazi di Trump e vuole muovere guerra ai presunti nemici della libertà.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
Un robotaxi a guida autonoma Pony.ai