2022-12-13
Concita in delirio: «Liliane come la Ferragni»
Concita De Gregorio (Imagoeconomica)
La penna di Repubblica difende il «diritto alla moda» e le foto hot di Lady Soumahoro, accostandola all’influencer. Fesseria che ignora i diversi ruoli delle due. E che mostra la deriva sposata dai progressisti: la commercializzazione di corpo e intimità per lucro.Ci aspettavamo tutto, ma non questo livello di ingratitudine. Dopo tutte le battaglie che Chiara Ferragni ha condotto a sostegno del sindaco di Milano, Beppe Sala, e più in generale a sostegno della sinistra italiana, fa un po’ male vederla infilzata così a tradimento, per altro sulla prima pagina di Repubblica, quotidiano che ne celebrò l’impegno per la nobile penna di Michele Serra. Eppure è accaduto, e ad opera di un’altra firma di punta, Concita De Gregorio. Nel tentativo di difendere Liliane Murekatete, compagna di Aboubakar Soumahoro, la Concita nazionale ha sacrificato la povera Ferragni sull’altare della polemica. L’editorialista si è chiesta «in cosa divergano, a parte gli esiti, le aspirazioni di Liliane Murekatete […], esibita e irrisa in tv come colpevole di aver posato dieci anni fa seminuda e di amare, oggi, abiti di marca, e quelle di Chiara Ferragni, la più popolare influencer italiana al mondo, una trentina di milioni di follower su Instagram, imprenditrice di sé stessa, prossima co-conduttrice al Festival di Sanremo e riferimento per milioni di giovani donne». La questione è talmente surreale che si potrebbe liquidarla con un paio di sghignazzi, ma siccome Concita prega tutti noi di «discuterne anziché insultare», allora proviamo a prendere tutto molto sul serio, e a spiegare quale sia - a nostro avviso - il problema riguardante la signora Murekatete. Rapida premessa: non abbiano nulla contro il lusso, e lungi da noi ogni tendenza moralizzatrice. Liliane ha diritto di fare ciò che vuole con il suo corpo e con il suo denaro. E qui però sorge la prima questione: da dove veniva il denaro utilizzato dalla donna per comprare abiti firmati? È abbastanza normale che qualcuno se lo domandi, dopo aver letto di come le cooperative gestite dalla di lei madre abbiano ottenuto 62 milioni di euro dallo Stato per gestire i migranti. Poiché una parte di questi denari sembra che siano finiti a vari parenti per scopi molto discutibili (tra cui l’arricchimento personale), è sacrosanto domandarsi se la dolce vita di madame Soumahoro fosse gentilmente finanziata da soldi pubblici. E anche se non lo fosse stata, giova ricordare che la signora si era accomodata nel consiglio di amministrazione della coop che non pagava i dipendenti e gestiva malamente i centri di accoglienza. Poteva non sapere che cosa avveniva in quel giro opaco? E con che faccia se ne andava in giro abbigliata da gran mondana mentre i migranti - laureati compresi - erano ridotti alla fame?Se volete è una riflessione semplicistica, basica. Ma al contempo estremamente concreta, e da sola basterebbe a rispondere a quanti, oggi, assumono la difesa d’ufficio della Murekatete e del suo «diritto alla moda», come l’ha definito Soumahoro.Oltre a questa, tuttavia, s’impongono ulteriori considerazioni che non riguardano soltanto l’elegante Liliane, ma pure il suo innamorato e la sinistra tutta. Considerazioni molto serie, che invitiamo la De Gregorio - semmai ci leggesse - a prendere in altrettanto seria considerazione. Da un certo punto di vista, l’editorialista di Repubblica ha ragione. Al netto degli eventuali reati, delle indagini e di tutta la questione giudiziaria (comunque molto rilevante, e determinante), esiste una sovrapposizione fra il modello culturale incarnato dalla Ferragni e quello in cui la Murekatete si riconosce. Un modello che si basa sul consumo del corpo.Lady Soumahoro, come è noto, si è fatta fotografare - ormai alcuni anni fa - in mutandine e reggiseno in pose che non sfigurerebbero su Onlyfans. Passi che il fotografo autore degli scatti sembra non sia stato pagato (inossidabile abitudine, a quanto risulta), qui al centro c’è proprio il «corpo delle donne» su cui i cari progressisti hanno martellato per anni. Concita lo ammette: la Ferragni, scrive, «ha esibito sé stessa per avere popolarità, ha pubblicizzato abiti altrui fino a essere corteggiata dai grandi marchi e, quando è diventata abbastanza celebre, ha messo in commercio il suo. Un talento imprenditoriale celebrato dalle femministe come esempio di emancipazione. Il metro sono i soldi, naturalmente: è un criterio mercantile. […] Non vedo perché una giovane donna arrivata in questo Paese dal Ruanda non debba prendere appunti e provare a imitarla. Chiedo. Se il gioco è questo, è così che si fa». Già, il gioco è questo. Ed è un brutto gioco biopolitico, che tratta il corpo da moneta vivente, che mette in vendita l’intimità, il privato, la vita stessa. La logica è la commercializzazione dell’esistente che si nasconde pure dietro pratiche come l’utero in affitto, e che in fondo dà vita al meccanismo dell’immigrazione di massa: anche in quel caso sono i corpi a essere sfruttati, a diventare merce di scambio e consumo.Il problema, qui, non è che la Ferragni mostri «le tettine» o la Murekatete esibisca «il culetto». Il punto è che i loro scatti non sono erotici, non celebrano il desiderio, ma tentano malamente di suscitarlo e manipolarlo a fini commerciali, alimentando un sistema che è di fatto prostitutivo, perché mette sul mercato ciò che invece dovrebbe essere gratuito, perché consegna nelle mani del potere ciò che dovrebbe appartenere alle singole persone.La Ferragni lo fa senza violare la legge e ne trae profitto? Affari suoi, ma pure delle ragazzine che le prendono a modello. In questo caso, però, più che criticare lei c’è da criticare i puri liberal-progressisti i quali, alla disperata ricerca di consenso, l’hanno presa come testimonial, consegnando alla sua superficialità temi meritevoli di ben altra trattazione.Dice bene, ancora, la De Gregorio: il mondo funziona così. Vero, ma funziona così anche perché il pensiero dominante - quello che Concita e il suo giornale veicolano da tempo - impone e alimenta tali logiche. Le ha alimentate in passato anche una presunta destra? Certo: e ha fatto malissimo, si è resa complice. Oggi come allora, il nodo non è la difesa femminista del corpo delle donne dal patriarcato o la difesa bigotta di una inesistente morale che vorrebbe la femmina coperta fuori e disponibile in casa. Il nodo è il corpo trasformato in merce, l’umano reso oggetto di consumo e commercio.Ed è qui che arriviamo a Soumahoro. L’uomo che si è presentato come paladino degli ultimi, che ha fatto carriera citando Gramsci e Di Vittorio, deve chiarire prima di tutto come abbia ottenuto un bel finanziamento per compare la casetta condivisa con la splendente Liliane. Ma deve giustificare - politicamente - la sua adesione totale, nel privato, al modello di consumo neoliberista che in pubblico tanto criticava. Lo sfruttamento del corpo dei migranti non è - sul piano ideologico - lo stesso che la Murekatete ha messo in pratica su sé stessa aderendo al «modello Ferragni»? E con quale faccia egli si è presentato agli elettori come gran moralizzatore e nemico dei poteri forti? E con quale coraggio la sinistra giornalistica - il gruppo per cui lavora Concita, per intendersi - lo ha indicato come punto di riferimento al fine di ribadire la propria superiorità morale?Il cuore del problema è tutto qui. Ciascuno, sul serio, ha diritto alla moda, e certo - come la De Gregorio ribadisce - «la cura del proprio corpo è un gesto di amor proprio». Ma qui si tratta di soldi, soltanto di soldi. Di un meccanismo di sfruttamento che i liberal-progressisti un tempo contestavano, e che ora invece hanno abbracciato con gioia nascondendosi dietro i presunti «diritti», i quali in fondo non sono altro da una strategia commerciale. Sulla Murekatete non si infierisce per razzismo, o per becera soddisfazione nell’esibire l’avversario politico con le chiappe al vento. Lei non è colpevole di essere moglie, compagna o figlia. Qui la colpa ricade tutta sull’ideologia propagandata dalla sinistra, che si finge contraria allo sfruttamento solo quando lo sfruttamento non le fa comodo. E che divide il mondo fra buoni e cattivi pur collocandosi regolarmente dalla parte del male.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)