2021-02-06
Con «Uffizi da mangiare» i quadri diventano squisite ricette
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«Dispensa con botte, selvaggina, carni e vasellami». Jacopo Chimenti detto l'Empoli (Courtesy of Uffizi)
Il museo fiorentino lancia un progetto video che riunisce l'arta e la gastronomia, con l'aiuto di chef e personaggi del mondo enogastronomico. Come preparare la perfetta bistecca alla fiorentina, ispirandosi alla «Dispensa» di Jacopo Chimenti. Lo spiega il «poeta della carne» Dario Checchini. Lo chef Fabio Picchi prepara una maionese fatta in casa da accompagnare alla granseola del «Ragazzo con cesta di pesci» di Giacomo Ceruti.Debora Massari, figlia di Iginio, crea un dessert partendo dal «Tondo Doni» di Michelangelo. Una fragrante frolla guarnita con confettura di zucca gialla e marmellata di limoni, frutto succoso e genuino, come l'amore. Lo speciale contiene quattro articoli e gallery fotografiche.Per Anthelme Brillat-Savarin, la cucina è «l'arte più antica, perché Adamo è nato a digiuno», mentre per Daniel Pennac «in cucina funziona come nelle più belle opere d'arte». Poco sorprende allora che le Gallerie degli Uffizi di Firenze abbiano deciso di introdurre un nuovo progetto che unisce arte e gastronomia.«Uffizi da mangiare» è un format video - disponibile sulla pagina Facebook del museo - che prova a intersecare il mondo dell'arte e quello dell'alimentazione. Frutta, verdura, carni, pesce escono dalla loro forma pittorica e diventano ingredienti di un piatto dal forte retrogusto artistico, creato da noti chef e personaggi del mondo enogastronomico.«Negli ultimi decenni, il vincolo tra arte e gastronomia è diventato una vera e propria scienza e materia di una seria indagine storica» ha spiegato Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi. «Il nostro intento, in questi video, è quello di creare un legame ancora più stretto con le opere del Museo, inserendole in un contesto attuale e vitale. Il cibo dipinto e quello cucinato si incontrano così su un piano di verità che stimola l'attenzione dell'osservatore e porta alla ribalta i significati profondi e inaspettati nascosti nelle scene e nelle nature morte create dai pittori».Sono quattro le ricette ideate durante l'iniziativa «Uffizi da mangiare»: Fabio Picchi, patron del Cibrèo di Firenze e celebre volto in tv della cucina toscana, si è confrontato con il «Ragazzo con pesce» del settecentesco Giacomo Ceruti; Dario Cecchini, macellaio e ristoratore di Panzano in Chianti, già noto per aver portato in cucina i versi della Divina Commedia dantesca, ha invece servito la sua versione della «Dispensa con botte, selvaggina, carni e vasellame» di Jacopo Chimenti detto L'Empoli, pittore fiorentino del Cinquecento; la chef stellata Valeria Piccini, del ristorante Da Caino, a Montemerano nel grossetano, ha invece proposto una sua ricetta da una «Natura morta» dell'Empoli, mentre Marco Stabile, altro chef stellato di L'ora d'Aria a Firenze, “sfiderà" in tavola niente di meno che i «Peperoni e uva» di Giorgio De Chirico.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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