
Il deputato di Leu, Stefano Fassina: «Se la missiva del 2 luglio è ancora valida, qualunque governo non potrà che fare provvedimenti regressivi». E il suo partito lamenta: «Troppa continuità con il renzismo, i grillini hanno perso qualunque carica rivoluzionaria».«Una insostenibile continuità». Le parole di Stefano Fassina piombano sul sostegno di Leu al nuovo governo giallorosso ancora in fase di «gestazione». «Fassina chi?», ri-chiederebbe sprezzante Matteo Renzi come fece a gennaio 2014, quando era segretario del Pd e Fassina, in contrasto con la sua linea del partito, presentò le dimissioni irrevocabili lasciando l'incarico di viceministro dell'Economia sotto il ministro Fabrizio Saccomanni nel governo Letta. Poi, uscì proprio dal Partito democratico ed essendo uno sportivo (da ragazzo ha vinto due campionati giovanili con la Nettuno Baseball) è andato più in là di Renzi e oggi oltre a essere consigliere in Campidoglio è deputato di Leu, ma ha anche annunciato che la sua associazione, Patria e Costituzione, è diventata un movimento politico autonomo. Insomma, non è stato mai tenero dentro e fuori la sinistra, negli ultimi mesi ha maturato posizioni sempre più critiche verso il partito guidato da Nicola Fratoianni, in particolare sui temi europei, ma è sempre stato convinto della necessità di dialogo tra la sinistra e il M5s per «fare politica. Se invece ci accontentiamo di fare testimonianza, possiamo anche risparmiarci questa fatica». Ma ieri in tv a L'Aria che tira non ha risparmiato critiche al governo Conte bis. «Il tentativo serio, da me auspicato, sta andando in una direzione sbagliata. Tutti si riempiono la bocca con termini come discontinuità, svolta, novità», ha affondato il deputato cinquantratreenne, «dopo di che l'unico elemento certo è la continuità, a cominciare dal presidente del Consiglio, per arrivare al Pd, che schiera i protagonisti di governo della scorsa legislatura, quelli che hanno fatto il jobs act, la buona scuola e la revisione costituzionale strabocciata dagli elettori». E Fassina li conosce bene, uomini e provvedimenti, visto che proprio dopo l'approvazione di jobs act e buona scuola uscì dal Pd e si collocò nella sinistra radicale. Del resto anche del «Piano per l'Italia» di Nicola Zingaretti disse: «Il nuovo programma del Pd è in linea col renzismo. Nessuna svolta, sono le stesse facce. Serve un radicale cambiamento di paradigma». Nel suo intervento televisivo di ieri, l'economista ha preso di mira anche i pentastellati. «Il M5s è allo sbando», ha detto, «hanno perso le priorità discontinue su con cui avevano raccolto un sacco di voti e ora si affidano al premier Conte che è il presidio di quel vincolo esterno che tanti guai ha portato all'Italia». Tanto è vero che poi ha spiegato: «Sono giorni che pongo al presidente Conte una domanda: la lettera del 2 luglio che lui ha firmato insieme a Tria, con la quale si impegna sugli obiettivi del Patto di stabilità e crescita sul deficit del 2020 vale ancora o non vale più? Perché quella lettera se vale ancora c'è assoluta continuità e la manovra non potrà che essere regressiva ». E pensare che presentando insieme a Tommaso Nencioni e Ugo Boghetta il «Manifesto per la sovranità costituzionale» disse: «Fa comodo a tanti dire che stiamo scimmiottando Salvini sul suo terreno, ma l'insostenibilità della globalizzazione liberista e la richiesta di protezione politica attraverso lo Stato nazionale, domina ovunque. Bisogna recuperare una dimensione nazionale e in Europa con una confederazione di democrazie nazionali. Il M5s è un interlocutore privilegiato».Tornando all'esperimento del governo giallorosso, ieri piuttosto in crisi per gli ultimatum del pentastellato Luigi Di Maio, l'esponente di Leu, nonostante sia stato un sostenitore del «tentativo» ha sostenuto: «Non mi pare che ci siano gli elementi di discontinuità necessari al Paese per affrontare le cause che hanno portato tanto consenso alla Lega. Prevale una continuità rispetto anche alla scorsa legislatura perché la discontinuità non riguarda soltanto il governo di Giuseppe Conte ma anche la legislatura precedente». E al conduttore che gli chiedeva se il suo pensiero fosse un passo indietro di Leu, che pure sembrava disposto a sostenere il Conte bis, il deputato ha risposto: «La valutazione definitiva si potrà fare quando sapremo le linee programmatiche e la squadra di governo. Per quanto mi riguarda ora vedo una insostenibile continuità». Quindi soltanto se «nascerà« il governo giallorosso sapremo che farà l'esponente di Leu. E pensare che un pentastellato come il senatore Gianluigi Paragone, da sempre contro l'alleanza M5s-Pd, ha affermato: «Non voto la fiducia a questo governo a meno che non entrino Stefano Fassina o Emiliano Brancaccio al ministero dell'Economia. Questa sì che sarebbe discontinuità profonda». Peraltro Fassina, da economista laureato alla Bocconi, lo scorso anno diede ragione al ministro Paolo Savona sulla necessità di «politiche espansive in Europa a partire dalla Bce, peccato che, alle parole del ministro per le politiche europee non seguano i fatti dal ministero per l'Economia, Giovanni Tria, che per la legge di Bilancio propone il congelamento della spesa corrente: nessuna politica espansiva, ma il rigore di montiana memoria». Ieri il fondatore di Patria e Costituzione ha lanciato le sue Frattocchie patriottiche dal 6 all'8 settembre. Una due giorni di formazione politica nella località che per decenni ha ospitato l'istituto di studi comunisti dove avveniva la formazione dei dirigenti Pci. «Nessuna nostalgia, ma una ripartenza dai fondamentali nel nome di Alfredo Reichlin, (oggi si parla della figlia Lucrezia all'Economia, ndr) senza ansie da prestazione elettorale». Poi ci sarà l'assemblea degli iscritti che sarà anche il passaggio «costituente» di Patria e Costituzione come movimento autonomo a tutti gli effetti.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.