2021-03-06
Con meno potere e poltrone, il Pd è esploso
Nicola Zingaretti è il decimo segretario saltato in 14 anni. Un partito di plastica nato dalla nostalgia del comando degli ex democristiani e dalla bramosia di contare degli ex comunisti ma tenuto insieme da un unico obiettivo: i posti. Con Mario Draghi, il collante si è dissoltoDopo Barbara D'Urso assurta al ruolo di anchorwoman preferita poteva mancare nel Pd un riferimento a Maria De Filippi? Al Nazareno: «C'è posta per te». È arrivata ieri la lettera di Nicola Zingaretti che ha formalizzato le sue dimissioni da segretario: il decimo in 14 anni, una bella media. Verso mezzogiorno si era riunita con i «regionali» online la segreteria del partito per la presa d'atto che il capo ha annunciato di essersi rotto i cabasisi, per dirla con Montalbano impersonato dal fratello Luca, di risse e di guerre di logoramento. La sintesi più efficace l'ha data lo stesso Nicola Zingaretti - ha ribadito che la sua decisione è irrevocabile, ma che rinnoverà a breve la tessera del partito, che Matteo Salvini deve stare tranquillo perché non ci saranno contraccolpi sul governo - dettando: «Mi vergogno che nel Pd si parli solo di poltrone». Verrebbe da dire: e te ne sei accorto solo ora? Arrivano pure le sardine a chiedere al Pd di ripensarci; Andrea Orlando che è ministro del Lavoro, ma resta vicesegretario ha chiesto: «Nicola resta». Ci mancava «nun me lassà» e la sceneggiata era completa dacché il coro dei contriti è sterminato. Il 13 e il 14 faranno l'assemblea nazionale, Stefano Bonaccini sospinto dagli ex renziani ci prova, ma la battaglia è aperta. Per la verità non è mai finita: dura da quattordici anni e non è azzardato dire che il Pd ha più ipocrisia che voti, più scissioni che successi. Perché è un partito di plastica, anzi un'emulsione mal riuscita tra la nostalgia del potere ex democristiano e l'orgasmo da potere ex comunista tenuta insieme da un unico catalizzatore, le poltrone appunto. Ora le ha perse e la maionese è impazzita. Lo scrivemmo 14 anni fa quando Uolter Veltroni annunciò urbi et orbi la sua creatura. Nel 2008 il partito neonato cominciò a praticare l'inciucio con il governo di Franco Marini abortito, poi cercò in tutti i modi di evitare le elezioni che al partito democratico stanno indigeste. C'era allora presidente della Repubblica l'ex comunista Giorgio Napolitano. Si andò comunque alle urne e presero una botta elettorale senza precedenti, e Veltroni saltò. Ma Giorgio Napolitano nel 2011 disarciona Silvio Berusconi e riporta il Pd al potere col governo di Mario Monti e a sventolare la bandiera europeista (col Pd spaccato a Strasburgo tra gli ex margheriti col Ppe e gli ex comunisti con i socialisti). Si arriva alle elezioni del 2013 segretario è lo smacchiatore di giaguari Pier Luigi Bersani che prova a fare un governo non avendo vinto le elezioni. Dopo di lui, pur non avendo i voti, il Pd inanella i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Si arriva alle elezioni del 2018, il Pd è ridotto ai minimi termini e Matteo Renzi abdica da segretario. Ma il purgatorio dura lo spazio del Conte 1 perché immediatamente il Pd torna a governare. Si genuflette a Giuseppe Conte. Anche la ricerca del papa straniero è un riflesso pavloviano del Pd memore di quando i comunisti non potevano aspirare a governare. Con l'arrivo di Mario Draghi però il collante che tiene insieme il partito di plastica si dissolve. Hanno cominciato le donne, poi i capicorrente (ce ne sono 5 di ex comunisti, 4 di vario opportunismo, una ma granitica di ex democristiani), poi gli ex renziani che volevano impallinarsi il povero Zinga. E lui ha staccato la spina. Ma c'è un altro elemento che ha fatto deflagrare il Pd. Non avendo nessuna idealità il partito di plastica si è inventato l'europeismo fideistico e ideologico come tratto identitario. Veniva comodo autodichiararsi argine alla Lega di Salvini e «alle destre sovraniste». Ma l'Europa ha fatto flop con i vaccini, il Mes e il controllo esterno non sono arrivati, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti hanno dismesso i panni dei «barbari all'assalto di Bruxelles». E questo ha fatto chiedere ai dem: chi siamo? dove andiamo? Di dove vengono lo sanno: ex democristiani che hanno enormi responsabilità nella svendita dell'Italia, ex compagni di quel Palmiro Togliatti che nel 1930 disse «come cittadino sovietico sento di valere dieci volte di più del migliore italiano». Sicuramente non è allegro Sergio Mattarella che ha fatto di tutto per evitare che la Lega andasse al governo, la zingarettata è per lui un'amara eterogenesi dei fini. Esce sconfitto Dario Franceschini, vero uomo di potere del Pd che ha sempre tenuto in pugno i democristiani del Nazareno. Aveva ambizioni quirinalizie ora svanite. E oggi o Mario Draghi ascolta il centrodestra oppure si va verso le urne con il Pd ridotto a rincorrere Giuseppe Conte che per Zingaretti è un «punto fortissimo di riferimento per tutte le forze progressiste». Nel centenario della nascita del Pci (Livorno 21 gennaio 1921) è un traguardo che dice tutto.