2024-04-03
«La tv si è appiattita, con me ci si divertiva»
Parla il conduttore e ideatore di quiz Jocelyn : «Ho lavorato con Brel e Dalla, portai i Beatles in Francia. Sanremo? Posso farne a meno. Non ho mai amato la fredda Parigi, lì fui vittima di atteggiamenti antisemiti. Porterei a cena il vostro direttore e Renato Zero».Nella sua lunga carriera nel mondo dello spettacolo, Jocelyn ha fatto di tutto, avvicinandosi in gioventù agli ambienti del teatro, del cinema e della musica, diventando poi volto popolare di Rai e Telemontecarlo. Ha tradotto la sua iperbolica fantasia nell’ideazione di giochi e quiz di successo capaci di far impennare l’audience. È stato tra i primi disk e video-jockey, giocoliere di brani e video musicali, ha condotto Discoring, cantato, conosciuto i grandi del pop, colleziona strumenti musicali, Tullio De Piscopo gli regalò la sua batteria, George Harrison la chitarra. Nato a Tunisi, Jocelyn Hattab, di origini israelite, dopo due precedenti matrimoni, si è sposato, il 20 settembre 2019, con Alessandra Chianese, romana, giornalista con dottorato in psicologia. Insieme hanno condotto un programma radio su Rtl. Vivono a Montecarlo, sfornano nuovi progetti e sprizzano buonumore. Jocelyn, l’impressione è che abbia sempre visto il lavoro come un grande gioco…«Questo è un mestiere che, se ti diverti tu, si diverte anche chi ti guarda. Altrimenti bisogna cambiare mestiere». Fu assistente di produzione per la prima edizione francese di Giochi senza frontiere. Nacque lì la sua passione per i giochi tv?«Sì, ma non facevo solo questo. All’epoca ero anche assistente di noti registi cinematografici (come Roger Vadim, Anatole Litvak, André Cayatte, ndr). Sono un uomo di spettacolo, più che di televisione». Ideò Caccia al tesoro, su Rai 1 nel 1983-84. Una coppia in studio doveva risolvere un enigma e trovare tre oggetti. Lei viaggiò dovunque, con aerei, elicotteri, motoscafo, cavallo, deltaplano. Pericoloso. «Per una puntata mai trasmessa, perché si fermò al primo tesoro, rimasi bloccato nelle pareti dell’Alhambra, in Spagna. L’imbragatura si bloccò. Appeso per tre quarti d’ora con un polso. Mi salvò il cameraman, che ha avuto la forza di portare i miei 80 chili. Ne uscii con un braccio danneggiato. Poi mi sono ripreso. Le mie discese le facevo sempre al mondo circense, perché mi sono allenato al circo di Liana Orfei. Pericoloso e difficile, ma spettacolare».Affascinante anche Se io fossi Sherlock Holmes, 1994-97. È vero che immaginò il programma quando, a New York, s’imbatté in un portafogli smarrito? «Assolutamente sì. Nel portafogli c’erano solo la carta sanitaria e quella per il carburante. Con due lenti d’ingrandimento lessi il microchip sulla carta sanitaria di questo signore. C’erano nome e data di nascita, nient’altro. Seppi che aveva sempre vissuto nella città di nascita, che non ricordo. Chiamai il 411, lo rintracciai e gli lasciai il suo portafoglio al desk del palazzo dove abitava. Lasciò un biglietto, “Thanks to the driver”. Pensava fossi il tassista e la cosa mi fece un po’ arrabbiare». Quando restituì il portafoglio le diede una ricompensa? «Se me l’avesse proposta, non l’avrei accettata».In quel quiz il concorrente aveva a disposizione gli elenchi telefonici di tutta Italia per investigare. Oggi, con Internet e i cellulari, le cose sono molto diverse…«Con Alessandra lo abbiamo riscritto, aggiornandolo con i mezzi attuali. È una proposta che abbiamo in saccoccia, per chi volesse interessarsi».Il grande gioco dell’oca, su Rai 2 nel 1993-94, un successo. Prove fantasiose per i concorrenti, come entrare in un tunnel con serpenti o cibarsi di un piatto disgustoso. «Quel piatto disgustoso era un’opera d’arte. L’effetto visivo era disgustoso, ma era a base di caramello, zucchero filato. Dietro le quinte, finiva subito, perché se lo mangiavano o i tecnici o i concorrenti stessi. L’abbiamo rivisitato con Alessandra, quel programma, è già pronto, nuovi giochi e tecnologie avanzate, come led nel passaggio delle caselle». Sa usare la telecamera e altri strumenti della tv. «Sono passato da tutti gli step della tecnologia dello spettacolo, luci, audio, camere, ho studiato e lavorato molto su questo. Quando parlo, so di cosa parlo. Per me lo studio non è una sala prova».Non di rado, giochi e quiz di oggi sono un po’ pacchiani. «C’è stato un appiattimento, nel senso che nel porre delle domande non c’è niente di nuovo, se non la scenografia che cambia. Qualche programma alza il livello, ma molti lo fanno scendere a un livello molto, molto basso». È vero che ha fatto incontrare Indro Montanelli e Renato Zero? «Assolutamente! Durante la prima esibizione da solista di Renato, a colori, con capelli fino a metà schiena con boccoli tipo Luigi XIV, un enorme registratore Nakamisci e cuffie da pilota di aereo dove ascoltava musica e una cassetta di Paul McCartney. Aveva solo due titoli, Madame e Mi vendo. Indro Montanelli faceva l’editoriale. Nel mio studio in regia c’era un divanetto e si sedette lì a scrivere. Renato mi truccava, facendo le sue gag. A un certo punto Indro alzò lo sguardo, dicendo: “Interessante questo ragazzo”. E allora mi venne l’idea di portarli a mangiare in un ristorante a Montecarlo, dove ho passato una delle più belle serate della mia vita».Che si dissero?«Renato parlava di suo padre poliziotto e faceva domande a Indro sul fascismo. C’era qualche diversità di vedute, ma fu formidabile. Poi pensai a un programma che non ho venduto, mettere insieme, per un week-end, due persone che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, senza orologio, in un appartamento. Quelle 48 ore sarebbero diventate un programma, rimontato, di un’ora e mezza». Se dovesse farlo oggi un programma così, chi farebbe incontrare?«Maurizio Belpietro, il vostro direttore, e Renato Zero». Come dj, cosa metterebbe in onda ora?«C’è tanta roba. Stiamo preparando una webradio sulla buona musica mondiale. Con Alessandra, Gianni Riso e Mauro Micheloni, dopo l’esperienza a Rtl, sono entrato nel gioco che Gianni e Mauro ci hanno proposto». E qualche noto chansonnier francese, tipo Brel o Brassens, l’ha conosciuto?«In francese gli chansonnier sono persone tipo Checco Zalone, non i cantautori. A Parigi ho lavorato con Jacques Brel, ero il suo direttore di scena, sono stato anche direttore di scena del Theatre du Chatelet e dell’Olympia di Parigi».Un ricordo di Jacques Brel? «Un giorno eravamo a Divonne Les Bains, piccola città in Francia, al confine svizzero, dove c’è un casinò. Doveva arrivare un giornalista della Tribune de Genéve. La prima domanda a Jacques Brel, in maniche di camicia e quasi in mutande, fu su Ne me quitte pas, che diceva “Non mi lasciare / diventerò l’ombra del tuo cane…”. Il giornalista gli fa: “che bella canzone d’amore…”. Brel s’infuriò come una belva, quasi buttandolo fuori dalla porta: “questa non è una canzone d’amore, ma sulla vigliaccheria dell’uomo”».Cosa non fanno gli uomini per convincere una donna… «Da qui è nata Nun me rompe er ca’ di Proietti».Racconti. «Eravamo in un albergo sul lago di Garda. Gigi Proietti cantava accompagnato da Pippo Baudo al pianoforte. A un certo punto Gigi dice “facciamo una canzone in francese per Jocelyn” e così cominciò Non me rompe er ca’, sulla traccia di Ne me quitte pas, che poi fece parte del suo spettacolo». Portò anche i Beatles in tournée in Francia. «Quando sono arrivati in Francia dalla Germania, nel 62’-63’, per 10-12 giorni. All’epoca avevano solo Love me do, i suoni li facevano con un mixer, che oggi farebbe ridere, due microfoni e nient’altro, esattamente il suono del disco. Era fantastico». E Lucio Dalla?«Io ho anche cantato, fatto dei dischi. Me ne vergogno un po’. Facevo una canzone un po’ idiota, con una specie di batteria, il rototom. Lucio stava registrando, nello studio accanto, l’album dove c’è Balla balla ballerino. Passava di lì e, sentendo quello che stavo combinando, si mise a suonare il rototom. È registrato sul disco».L’ha visto l’ultimo Sanremo? Può anche dire di no.«Sì, posso anche dire di no, ma l’ho visto, perché Alessandra vuole vederlo. Io posso farne a meno». Dedichi un pensiero a sua moglie.«È la persona che ho cercato per tutta la mia vita. Ho fatto tanti errori per arrivare al risultato giusto». Per lei fatto per lei qualche follia d’amore? «Più di una ma, non le posso raccontare. Prima di tutto me la sono sposata nel giro di tre mesi. (Interviene Alessandra): “No, un anno, da maggio dell’anno prima a maggio dell’anno dopo”. (Replica Jocelyn): “Avevamo problemi amministrativi da risolvere. Lei si era rotta il piede. Per farle passare il dolore, le ho chiesto di sposarmi”. (Alessandra): “Mi sono rotta il piede e mi ha chiesto la mano”». Cosa più le piace di Montecarlo e cosa di meno?«Quella che mi piace di più è di avere 3 dei miei 4 nipoti qui a Montecarlo. La cosa che mi piace di meno è che li vedo molto poco, anche se abitiamo vicino». È vero che, essendo di origini ebree, subì atteggiamenti antisemiti?«In Tunisia no. Successe arrivando in Francia, nel freddo di Parigi. Non amo Parigi, che la cosa sia chiara. Appena ho potuto, nel 1965, sono andato via. Dal 1965 sono a Monaco, definitivamente, pur con una pausa di otto anni».Politicamente come si colloca?«Sono apolitico. Non sopporto gli estremismi. Per dire, ho sposato una cattolica, abbiamo amici musulmani».Lei resta di religione ebraica? «Mi definisco aperto, di religione ebraica, ma noi festeggiamo sia le ricorrenze ebraiche sia le cattoliche». Ma crede nell’esistenza di una vita ultraterrena? «La spero. Sento la presenza dei miei genitori, entrambi molto coraggiosi. Hanno sofferto per crescere tre figli in modo eccellente. Ho un fratello e una sorella, degli amori, io sono il peggiore dei tre. Mia sorella è a Parigi e mio fratello a 400 chilometri da me». Si può vivere senza musica? «No, la musica è l’aria che ti permette di respirare e di vivere».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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