2020-08-05
Con la scusa del virus Giuseppi blinda i suoi poteri nei servizi
Con il decreto Covid, Conte rivoluziona le norme statutarie dei servizi, su cui mantiene la delega. Parlamento tenuto all'oscuro: il premier potrà dosare i rinnovi a piacimento.«Una proroga allo stato di emergenza legata al rischio pandemia è inevitabile», ha esordito così il 28 luglio scorso Giuseppe Conte di fronte ai banchi del Senato. Per sua scelta e per raffreddare le polemiche sui pieni poteri, il premier ha deciso di chiedere preventivamente l'autorizzazione alle due Camere per poter prorogare le deleghe e i poteri straordinari di Palazzo Chigi fino al prossimo 15 ottobre. Il Senato dopo averlo ascoltato ha detto sì con 157 voti. Opposizione contraria anche alla Camera, ma senza riuscire a smontare lo schema. Infatti, dopo aver elencato le prerogative valide fino all'autunno, Conte si è presentato in Cdm e ha fatto approvare il decreto, firmato poi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e finito in Gazzetta Ufficiale tre giorni fa. Ma la trasparenza non è il forte del presidente del Consiglio che si è dimenticato una novità non da poco. Il dettaglio non l'ha raccontato preventivamente all'Aula, né l'ha comunicato a fine Cdm con la consueta nota di Palazzo Chigi. Eppure il comma 6 dell'articolo 1 del decreto sull'emergenza cambia in modo strutturale la legge che norma gli apparati di sicurezza e amplia in modo spropositato il ruolo della politica. O meglio, il ruolo dello stesso Conte che fin dal suo primo incarico con i gialloblù tiene saldamente tra le mani le deleghe ai servizi. Adesso con la scusa del Covid è riuscito a fare ancor di più. Il testo del decreto va a modificare un passaggio della legge 124 del 2007, considerata la bibbia statutaria delle agenzie di intelligence. Le parole «una sola volta» sono state sostituite da una frase più ampia: «Con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni». Tradotto, fino a tre giorni fa i vertici dei servizi venivano nominati di prassi per due anni e poi potevano essere rinnovati per una sola volta. In teoria la durata complessiva di un incarico poteva essere di otto anni totali, nella prassi (sempre rispettata dagli ultimi governi) tra incarico e rinnovo non si andava mai oltre i quattro anni complessivi. Non un calcolo a caso, ma una scelta basata sull'equilibrio delle istituzioni democratiche. I direttori delle agenzie non potevano avere incarichi troppo brevi per permettere loro di svolgere serenamente gli incarichi e non potevano aver incarichi troppo lunghi per evitare che la durata superasse quella della singola legislatura. Adesso, invece, Conte potrà rinnovare più volte i capi dell'intelligence anche per brevi periodi di un anno e prima di andarsene potrebbe rinnovare un suo preferito affinché sia operativo anche quando arriverà un successore a Palazzo Chigi. Ieri mattina il portavoce Rocco Casalino ha tenuto a diffondere una breve nota nel tentativo di smentire l'articolo del Corriere della Sera che ha fatto lo scoop. Nella nota si spiega che il mandato complessivo non potrà andare oltre gli otto anni e che tali limiti non sono stati modificati. Esatto. Ma il tema non è questo. Anzi, ci mancherebbe fosse questo. L'accrescimento del potere politico non sta nel consentire periodi più lunghi, giacché vorrebbe dire equipararci a Stati come il vecchio Iraq o il Venezuela, dove i vertici dei servizi stanno in carica per periodi indefiniti se non spariscono nel nulla prima. Ma sta nella possibilità di fare rinnovi mirati per brevi periodi (e quindi implicitamente far pesare la direttiva politica) o permettere un ulteriore rinnovo a fine legislatura. In molti hanno visto in questa mossa un segno o meglio la possibilità per Conte di prolungare il capo del Dis, Gennaro Vecchione per un periodo ben oltre la prassi già il prossimo novembre, quando sarà al primo giro di boa. In realtà il blitz notturno del premier sembra destinato ad andare a sanare un problema non da poco che si è formato all'Aisi, guidato dal generale dei carabinieri Mario Parente. Il responsabile del servizio interno è stato prorogato a metà giugno per mezzo di un atto amministrativo. Nel Dpcm si spiegava la scelta per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale in fase post Covid. Il problema è però sorto quando, prima del decreto emergenziale, la Corte dei conti ha bocciato il Dpcm ritenendolo un veicolo non idoneo per rinnovare un direttore dei servizi. A quel punto il governo si è ritrovato con una patata bollente da gestire. Ed ecco la soluzione. Inserire senza avvisare, come abbiamo detto sopra, il Parlamento, e per giunta nemmeno il Copasir, la modifica sostanziale allo statuto dell'intelligence. Con una soluzione dal punto di vista di Palazzo Chigi molto efficace, visto che la norma è studiata bene. A chi si chiede come possa essere retroattiva e quindi mantenere in carica Parente (si può rinnovare una nomina già scaduta?) la risposta sta nei cavilli. Le tre paroline «con successivi provvedimenti» stanno a indicare sia con successivi rinnovi, ma anche con successivi interventi o decreti. Molto semplice. Resta però da porsi la domanda finale. Perché Conte sente la necessità di blindare i suoi poteri nell'apparato dei servizi con tale dedizione? Non solo non molla le deleghe, ma dal punto di vista politico le raddoppia. Abbiamo un Parlamento, dovrebbe spiegarlo senza omettere nulla.