2020-05-24
Con la scusa del virus arriva l’utero in affitto
Mentre in un hotel di Kiev vengono parcheggiati 60 neonati in attesa di essere venduti, in Italia Monica Cirinnà prova a dare la spallata. La senatrice dem riapre il dibattito sulla gestazione per altri. Come se l'emergenza potesse giustificare una pratica disumana. In un salone dell'hotel Venice di Kiev, radiosa struttura di proprietà della compagnia ucraina Biotexcom, ci sono almeno 60 bambini parcheggiati come fossero pacchi postali in attesa di spedizione. Sono i piccoli messi al mondo dalle madri surrogate ucraine per conto di coppie provenienti da 14 Stati nel mondo, tra cui l'Italia. Figli comprati e prodotti tramite utero in affitto, che i committenti non hanno potuto «ritirare» a causa del lockdown dovuto all'emergenza Covid-19.E parliamo soltanto dei piccini della Biotexcom: in Ucraina ce ne sono molti altri, forse un migliaio, e il numero è ovviamente destinato ad aumentare, sia a Kiev che in altre zone del mondo. Conosciamo la situazione di questi bambini da settimane, e le loro foto hanno fatto il giro del mondo. Qualche coscienza, dalle nostre parti, si è smossa. Numerosi politici ed ex politici hanno firmato un appello proposto da Carlo Giovanardi, Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello che chiede all'Italia di studiare assieme all'Ucraina la possibilità di dare immediatamente i bambini in adozione, internazionale o nazionale. Il leghista Simone Pillon ha presentato un'interrogazione parlamentare sull'argomento e persino Luigi Di Maio, giorni fa, è intervenuto chiedendo che «i bambini nati a Kiev con maternità surrogata nel pieno rispetto delle norme in materia in vigore in Ucraina, possano esser congiunti con i loro genitori italiani senza ulteriori indugi». Certo, per prima cosa bisogna pensare alla contingenza e risolvere la situazione dei bambini in deposito come merci. Ma questa storia orrenda dovrebbe suggerirci qualche ulteriore riflessione sulla pratica dell'utero in affitto, che la legge italiana ancora condanna, nonostante i tentativi di aggirarla siano fin troppo numerosi. Pure alcuni membri del Parlamento ucraino hanno chiesto di mettere fine alla pratica della surrogazione. La garante dei diritti umani, Lyudmyla Denisova, ha dichiarato che a Kiev esiste un'industria «massiva e sistemica» che presenta i bambini come «un prodotto di alta qualità». Insomma, la vista dei piccoli stipati nell'albergo ha mostrato in tutta la sua lampante evidenza l'orrore del commercio della vita umana. Nonostante questo, dalle nostre parti c'è chi si ostina a chiedere la legalizzazione della cosiddetta «gestazione per altri». Nello specifico parliamo di Monica Cirinnà, senatrice arcobaleno del Partito democratico, che nei giorni scorsi si è già parecchio esposta a favore della legge anti omofobia. La signora approfitta dell'emergenza Covid e del disastro che essa ha causato con i bimbi ucraini per dire che bisogna «avviare una discussione franca e il più possibile laica sul tema della gestazione per altri». A suo parere, si dovrebbe iniziare a discutere «di una buona regolazione della Gpa, capace di tutelare la libertà e la dignità di tutte le persone coinvolte e, in primo luogo, della donna gestante e del nato». La trappola contenuta in questo discorso è fin troppo evidente. La Cirinnà sta dicendo: la chiusura dovuta al coronavirus ha causato un problema, e l'assenza di regolamentazione della Gpa lo ha complicato. Se la pratica fosse regolamentata, anche nei casi estremi sarebbe più semplice evitare guai. Piccolo problema: non c'è alcun bisogno, in Italia, di una «buona regolazione della Gpa», perché le nostre leggi sull'argomento sono chiarissime. L'utero in affitto è vietato, punto. «Sarebbe allora forse il momento di iniziare a discutere del merito delle questioni», insiste la Cirinnà. «Non è più il caso di indugiare su posizioni solo e soltanto ideologiche. Manteniamo come faro quell'autodeterminazione del proprio corpo per cui le donne si sono sempre battute e continuano a battersi. Quella stessa autodeterminazione che non può essere banalizzata, strumentalizzata, né calpestata, sia che si tratti di completare una gravidanza, sia che si tratti di interromperla». Chiama in causa i diritti delle donne, la senatrice. Certo: il diritto di farsi sfruttare esercitato dalle donne che vivono in Ucraina, la nazione più povera d'Europa. No, non c'è alcun bisogno di discutere e di pensare a una nuova legge. Se si vogliono evitare casi aberranti come quello di Kiev, c'è solo una cosa da fare: rispettare la legge italiana. Smettere con i tentativi di aggirarla recandosi all'estero per commissionare bambini che si cercherà poi di portare qui sperando nell'approvazione di qualche tribunale ideologizzato. In questo caso non c'entrano i «diritti». C'è solo il dovere di non sfruttare un'emergenza odiosa nel tentativo di sostenere gli interessi di una lobby.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)