2021-04-22
Con Biden Israele si sente più isolato. Meglio che con Obama.
Joe Biden e Benjamin Netanyahu (Ansa)
Una visita avvenuta in un momento di parziale attrito tra il neo presidente americano e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ricordiamo che, appena pochi giorni prima dell’arrivo di Austin, Washington avesse avviato dei negoziati indiretti a Vienna con Teheran, per cercare di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Mossa, questa, che ha fatto seguito a una promessa elettorale di Biden ma che è stata accolta con estrema preoccupazione da parte israeliana. D’altronde, a inizio marzo –in piena campagna elettorale– Netanyahu aveva indirettamente criticato il nuovo inquilino della Casa Bianca sulla questione. «La realtà internazionale è cambiata. C'è l'intenzione di tornare a questo pericoloso accordo. Sono l'unico che si schiererà contro il mondo intero», aveva detto. Il premier aveva poi aggiunto che l'Iran volesse sviluppare armi nucleari per distruggere Israele, chiedendosi infine: «Chi vi difenderà dall'annientamento? Non esiterò a fare qualsiasi cosa contro chi minacci il nostro Paese».
Del resto, al di là dello specifico problema dell’accordo sul nucleare, è l’intero approccio al Medio Oriente che, con Biden, sta cambiando da parte americana. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha raffreddato i rapporti con l’Arabia Saudita, riaperto all’Iran e rilanciato le relazioni con la Giordania. Una netta sconfessione della linea del suo predecessore, Donald Trump, che aveva invece puntato sull’asse israeliano-saudita per mettere Teheran sotto pressione e costringerla a una radicale rinegoziazione dell’accordo sul nucleare. Israele si sente quindi più isolato, ma è plausibile che Biden non voglia neppure tornare alle turbolenze che caratterizzarono l’amministrazione Obama nei suoi rapporti con Netanyahu. È quindi probabilmente in tal senso che va letto il recente viaggio di Austin: un segnale al premier israeliano, per sottolineare la vicinanza di Washington.
Il capo del Pentagono ha innanzitutto incontrato il suo omologo, Benny Gantz, il quale ha dichiarato: «Israele vede gli Stati Uniti come un partner a pieno titolo in tutti i teatri operativi, non ultimo l'Iran». «E», ha proseguito, «lavoreremo a stretto contatto con i nostri alleati americani per garantire che qualsiasi nuovo accordo con l'Iran garantisca gli interessi vitali del mondo e degli Stati Uniti, prevenga una pericolosa corsa agli armamenti nella nostra regione e protegga lo Stato di Israele». Austin, dal canto suo, ha provato a rassicurare la controparte proprio sul dossier iraniano. In particolare, ha detto che l'amministrazione Biden continuerà a garantire il «vantaggio militare qualitativo» di Israele in Medio Oriente come parte di un «forte impegno nei confronti di Israele e del popolo israeliano». «La nostra relazione bilaterale con Israele in particolare è centrale per la stabilità e la sicurezza regionale in Medio Oriente. Durante il nostro incontro ho riaffermato al ministro Gantz il nostro impegno nei confronti di Israele è duraturo ed è ferreo», ha aggiunto Austin.
Il capo del Pentagono ha poi avuto modo di incontrare lo stesso premier israeliano, il quale ha comunque ribadito le proprie preoccupazioni su Teheran. «In Medio Oriente, non c'è minaccia più grave, più pericolosa, più pressante di quella rappresentata dal regime fanatico in Iran», ha dichiarato. «L'Iran» ha proseguito, «continua a sostenere i terroristi di tutto il mondo nei cinque continenti, minacciando i civili ovunque. L'Iran non ha mai rinunciato alla sua ricerca di armi nucleari e missili per consegnarle. L'Iran chiede costantemente e in modo oltraggioso l'annientamento di Israele e lavora per questo obiettivo».
Nel frattempo, il sabotaggio della centrale iraniana di Natanz ha complicato la già difficile posizione degli Stati Uniti. La Repubblica Islamica ha incolpato Israele dell’accaduto, mentre Washington – dal canto suo – ha voluto precisare di non essere coinvolta. L’episodio ha comunque portato, la scorsa settimana, ad alcuni colloqui strategici sull’Iran tra il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, e il suo omologo israeliano, Meir Ben Shabbat. Tutto questo, mentre sembrerebbe che i negoziati viennesi stiano facendo progressi per un rilancio dell’accordo: ad esprimersi in tal senso sono stati, nelle scorse ore, funzionari dell’Unione europea e della Russia.
Insomma, è abbastanza chiaro che la Casa Bianca stia cercando di portare avanti una strategia del pendolo tra Israele e Iran. Il problema è che, avendo preventivamente messo all’angolo l’Arabia Saudita, la nuova Casa Bianca ha lasciato maggiore potere negoziale a Teheran. Il che complica ulteriormente il raggiungimento di quell’equilibrio che Biden sembra stia cercando tra israeliani e iraniani.
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Il Segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, si è recentemente recato in Israele, in quella che è stata la prima visita di un alto esponente dell'amministrazione Biden nel Paese. Una visita avvenuta in un momento di parziale attrito tra il neo presidente americano e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ricordiamo che, appena pochi giorni prima dell’arrivo di Austin, Washington avesse avviato dei negoziati indiretti a Vienna con Teheran, per cercare di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Mossa, questa, che ha fatto seguito a una promessa elettorale di Biden ma che è stata accolta con estrema preoccupazione da parte israeliana. D’altronde, a inizio marzo –in piena campagna elettorale– Netanyahu aveva indirettamente criticato il nuovo inquilino della Casa Bianca sulla questione. «La realtà internazionale è cambiata. C'è l'intenzione di tornare a questo pericoloso accordo. Sono l'unico che si schiererà contro il mondo intero», aveva detto. Il premier aveva poi aggiunto che l'Iran volesse sviluppare armi nucleari per distruggere Israele, chiedendosi infine: «Chi vi difenderà dall'annientamento? Non esiterò a fare qualsiasi cosa contro chi minacci il nostro Paese». Del resto, al di là dello specifico problema dell’accordo sul nucleare, è l’intero approccio al Medio Oriente che, con Biden, sta cambiando da parte americana. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha raffreddato i rapporti con l’Arabia Saudita, riaperto all’Iran e rilanciato le relazioni con la Giordania. Una netta sconfessione della linea del suo predecessore, Donald Trump, che aveva invece puntato sull’asse israeliano-saudita per mettere Teheran sotto pressione e costringerla a una radicale rinegoziazione dell’accordo sul nucleare. Israele si sente quindi più isolato, ma è plausibile che Biden non voglia neppure tornare alle turbolenze che caratterizzarono l’amministrazione Obama nei suoi rapporti con Netanyahu. È quindi probabilmente in tal senso che va letto il recente viaggio di Austin: un segnale al premier israeliano, per sottolineare la vicinanza di Washington. Il capo del Pentagono ha innanzitutto incontrato il suo omologo, Benny Gantz, il quale ha dichiarato: «Israele vede gli Stati Uniti come un partner a pieno titolo in tutti i teatri operativi, non ultimo l'Iran». «E», ha proseguito, «lavoreremo a stretto contatto con i nostri alleati americani per garantire che qualsiasi nuovo accordo con l'Iran garantisca gli interessi vitali del mondo e degli Stati Uniti, prevenga una pericolosa corsa agli armamenti nella nostra regione e protegga lo Stato di Israele». Austin, dal canto suo, ha provato a rassicurare la controparte proprio sul dossier iraniano. In particolare, ha detto che l'amministrazione Biden continuerà a garantire il «vantaggio militare qualitativo» di Israele in Medio Oriente come parte di un «forte impegno nei confronti di Israele e del popolo israeliano». «La nostra relazione bilaterale con Israele in particolare è centrale per la stabilità e la sicurezza regionale in Medio Oriente. Durante il nostro incontro ho riaffermato al ministro Gantz il nostro impegno nei confronti di Israele è duraturo ed è ferreo», ha aggiunto Austin. Il capo del Pentagono ha poi avuto modo di incontrare lo stesso premier israeliano, il quale ha comunque ribadito le proprie preoccupazioni su Teheran. «In Medio Oriente, non c'è minaccia più grave, più pericolosa, più pressante di quella rappresentata dal regime fanatico in Iran», ha dichiarato. «L'Iran» ha proseguito, «continua a sostenere i terroristi di tutto il mondo nei cinque continenti, minacciando i civili ovunque. L'Iran non ha mai rinunciato alla sua ricerca di armi nucleari e missili per consegnarle. L'Iran chiede costantemente e in modo oltraggioso l'annientamento di Israele e lavora per questo obiettivo». Nel frattempo, il sabotaggio della centrale iraniana di Natanz ha complicato la già difficile posizione degli Stati Uniti. La Repubblica Islamica ha incolpato Israele dell’accaduto, mentre Washington – dal canto suo – ha voluto precisare di non essere coinvolta. L’episodio ha comunque portato, la scorsa settimana, ad alcuni colloqui strategici sull’Iran tra il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, e il suo omologo israeliano, Meir Ben Shabbat. Tutto questo, mentre sembrerebbe che i negoziati viennesi stiano facendo progressi per un rilancio dell’accordo: ad esprimersi in tal senso sono stati, nelle scorse ore, funzionari dell’Unione europea e della Russia. Insomma, è abbastanza chiaro che la Casa Bianca stia cercando di portare avanti una strategia del pendolo tra Israele e Iran. Il problema è che, avendo preventivamente messo all’angolo l’Arabia Saudita, la nuova Casa Bianca ha lasciato maggiore potere negoziale a Teheran. Il che complica ulteriormente il raggiungimento di quell’equilibrio che Biden sembra stia cercando tra israeliani e iraniani.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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