2020-09-04
Compie un anno il Conte bis. Pateracchio voluto dal Colle per tenere a freno Salvini
Temendo che la Lega vincesse le elezioni, Sergio Mattarella benedisse l'esecutivo basato solo sui numeri d'Aula, ignorando il sentimento degli elettori. Ma oggi come può sostenerlo?Il misfatto accadeva esattamente un anno fa. Ce lo ricorda, con prosa neutra e anodina, un lancio Ansa di quel giorno, il 4 settembre 2019: «Il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte ha sciolto la riserva sulla composizione del nuovo governo. Lo ha comunicato il segretario generale della presidenza della Repubblica Ugo Zampetti, aggiungendo che a breve Conte comunicherà la lista dei ministri». E in effetti, di lì a poco, l'avvocato di Volturara Appula si sarebbe presentato davanti a taccuini e telecamere per leggere la formazione, il dream team - si fa per dire - che abbiamo imparato a conoscere. E aggiungendo subito dopo parole enfatiche, che, rilette un anno dopo, hanno il sapore di una grottesca presa in giro: «Forti di un programma che guarda al futuro, dedicheremo le nostre migliori energie, le nostre competenze, la nostra passione, a rendere l'Italia migliore nell'interesse di tutti i cittadini». Dodici mesi dopo, quella maggioranza raccogliticcia è già al collasso. I sondaggi prospettano per i giallorossi un esito da incubo delle regionali del 20 settembre: su sette Regioni in ballo, solo una (la Campania) è univocamente attribuita dai sondaggi alla sinistra, o meglio al governatore uscente Vincenzo De Luca; quasi tutte le altre vedono un pronostico orientato dalla parte del centrodestra; e la battaglia è sorprendentemente aperta perfino nella rossa Toscana, dove si profila un testa a testa in altri tempi impensabile tra la leghista Susanna Ceccardi e lo stanco Eugenio Giani (sui social, già ribattezzato sleepy, un po' come Joe Biden). I grillini sono balcanizzati, con risse ormai incontenibili e un'assemblea congressuale alle viste di cui non si conoscono nemmeno le regole. Il Pd è già ai materassi, con un Nicola Zingaretti nervosissimo, che si sente accerchiato da Stefano Bonaccini, Giorgio Gori e altri avversari interni non ancora venuti allo scoperto. I difensori d'ufficio di Conte & c. obietteranno: ma c'è stato il Covid. Vero: il problema, però, è che il governo non ha delineato per tempo nessuna strategia né sanitaria né economica. E ora rischiamo di assistere a un autunno infernale: da un lato, uno tsunami di fallimenti e licenziamenti; dall'altro, il caos della scuola, con milioni di famiglie appese a un'incertezza intollerabile, a dieci giorni dalla riapertura. Tutto questo, con un governo che mostra oggi - se possibile ancora accentuati - i vizi che lo contraddistinguevano visibilmente sin dall'inizio: una coalizione minoritaria nel Paese, ostile a partite Iva e lavoratori autonomi, e quasi del tutto assente nel Nord produttivo. E intanto, per sovrammercato, che fanno i nostri eroi? Litigano tra di loro, giochicchiano con la legge elettorale, si armano nei palazzi, per un verso blindando l'informazione Rai e per altro verso stringendo il loro controllo su servizi e apparati di sicurezza. Le domande, a questo punto, nascono spontanee: è soddisfatto il presidente Sergio Mattarella, che un anno fa trasformò il Quirinale nella sala parto che diede vita - in nome del parlamentarismo - a questo esperimento politico? Rivista un anno dopo, quella decisione fu saggia, come ci venne raccontata da commentatori zelanti e quirinalisti ossequiosi? A maggior ragione dopo un'eventuale disfatta alle regionali, sarà dura, per i giornaloni che avevano dedicato paginate intere a lodare la mitica «saggezza del Colle», nei giorni in cui nasceva il Conte bis, rimanere adesso sul medesimo registro. Inutile girarci intorno: il Colle più alto aveva assunto la regia delle operazioni di agosto e inizio settembre 2019. Poteva - come ha fatto - accontentarsi dell'aritmetica parlamentare, che, in termini di legittimità formale, autorizzava la nascita di questo governicchio; oppure avrebbe potuto - e, come si sa, non lo ha fatto - attestarsi sulla linea storicamente sostenuta da Costantino Mortati. Mortati (che fu anche autorevolissimo membro dell'Assemblea costituente) sottolineò un dovere del capo dello Stato: farsi interprete del sentimento degli elettori, evitare soluzioni palesemente in contrasto con la volontà popolare, accertare la «concordanza tra corpo elettorale e parlamentare», evitare «gravi disarmonie». Comunque la si sia vestita e raccontata, un anno fa il Quirinale diede semaforo verde all'unione degli sconfitti di tre mesi prima, alle europee del 26 maggio 2019, contro i vincitori certificati dalle urne. E lo fece - ricordiamolo senza ipocrisie - sulla base del timore di un certo establishment della possibile vittoria elettorale anche alle politiche di Matteo Salvini e del centrodestra. Ma è stata una buona cosa sacrificare il ricorso democratico al corpo elettorale solo perché qualcuno temeva un responso non gradito? Un anno dopo, pare proprio il caso di rispondere di no. E adesso, chi volle quella soluzione si trova davanti a un esercito in rotta, molto probabilmente battuto e mortificato alla prossima prova elettorale regionale. Un serio motivo di imbarazzo anche per il presidente della Repubblica, che si troverà alle prese con una cartina geografica che potrebbe vedere 16 (o addirittura 17!) Regioni su 20 governate dall'attuale opposizione parlamentare. Se le cose andranno in questo modo, nelle prossime settimane leggeremo molti retroscena sulle «inquietudini» del Colle. Ma, letteratura doloristica a parte, c'è da chiedersi se abbia senso proseguire in questo tipo di navigazione, e lasciare che il barcone guidato da Conte - che prende acqua da tutte le parti - continui il suo viaggio. È un'avventura sempre più pericolosa per il Paese: e piano piano, lo comprendono anche alcuni scafisti della politica romana, pur abituati alle traversate più impervie, irregolari e incerte. Già l'Italia è chiamata a prove difficilissimi nei prossimi mesi. Affrontarle con un governo totalmente sconnesso dalla volontà e dal sentimento popolare sarebbe un azzardo assoluto.