
I gol nel recupero sono diventati una firma per Milan e Inter. Ma per segnare allo scadere la fortuna non basta, serve rabbia. Nerazzurri e rossoneri, senza recupero, avrebbero rispettivamente quattro e tre punti in meno in classifica.All'ultimo respiro, quando hai solo un penny da puntare sul rosso o sul nero e punti deciso sul rossonero. All'ultimo respiro, quando sei a un centimetro dall'abisso e la riprende Vecino con una zuccata o un cross da Garrincha. È tutto qui lo stupendo autunno di Milano, con quella luce calda che arriva da San Siro. È tutto qui, dentro una classifica che torna ad avere un senso per due squadre ritrovate, seconda e quarta, protagoniste in Serie A, attorno alle quali perfino i giornaloni con il baricentro dentro Exor hanno ricominciato ad argomentare con rispetto.Quando la partita si spegne, la vista si annebbia e le forze ti abbandonano, fino a ieri Inter e Milan perdevano, oggi vincono. Sembra facile, ma c'è un mondo di distanza. Per condizione atletica, solidità mentale, affidabilità dei giocatori è cominciata un'altra storia. Milan: sei punti nel recupero delle ultime due partite (Genoa e Udinese) con due gol del centravanti più imprevedibile, Alessio Romagnoli, che di mestiere fa il centrale di difesa. Il modo migliore per esorcizzare la sconfitta più devastante, quella nel derby, maturata allo stesso modo: 92', cross pennellato di Matias Vecino, pasticcio di Gigio Donnarumma e di Mateo Musacchio, Mauro Icardi che segna e consegna agli interisti quel sorrisetto beffardo la mattina al bar per i prossimi quattro mesi (caffè macchiato con sfottò). Il cammino dell'Inter è egualmente caratterizzato dall'adrenalina dell'ultimo secondo. È stato in quella sospensione temporale dell'esistenza che Marcelo Brozovic ha segnato il gol decisivo alla Sampdoria, che Vecino ha impallinato il Tottenham in Champions, che Icardi ha fatto piangere mezza Milano. Inter e Milan, senza recupero, avrebbero rispettivamente quattro e tre punti in meno in classifica. Milano ha ritrovato la bellezza nella forza, nell'umiltà, nel lavoro. Il ringhio di un Gennaro Gattuso mai contento è pura musica: «Non eravamo scarsi prima, non siamo diventati bravi adesso. A Udine anche sul gol di Romagnoli siamo stati là a cazzeggiare in area. Voglio vedere più veleno». È la cattiveria agonistica, quella che ti fa arrivare all'ultimo minuto con la voglia di vincere. Quella che, se sei Lewis Hamilton, ti fa alzare il piede dall'acceleratore un millesimo di secondo dopo Sebastian Vettel. Sfiniti al traguardo, ma con i tre punti in mano. Mai nel Milan di Sinisa Mihajlovic e in quello di Vincenzo Montella si era vista la stessa determinazione. Poi gli uomini fanno sempre la differenza. E gente come Gonzalo Higuain, Patrick Cutrone, Lucas Biglia, Franck Kessié, lo stesso Romagnoli, quel guerriero ritrovato di Musacchio (che fino a un mese fa era stato giustamente dimenticato in panchina) sembra costruita apposta per dare solidità vincente al delizioso vapore acqueo di Suso e Calhanoglu. E per finalizzare le tonnellate di cattiveria buona che Gattuso riversa in campo dalla panchina.All'Inter la mutazione genetica è avvenuta prima. Il club ha cominciato a programmare due anni fa, i giocatori arrivati a Milano hanno un senso e un destino, Luciano Spalletti li ha assemblati con coscienza lasciandosi soltanto uno sbaffo pittorico da astrattista, Ivan Perisic, l'unico a poter decidere da solo quando accendere e spegnere la luce. Gli altri sembrano militari di carriera, commandos con la faccia sporca di fango come da film americano. Vecino, Icardi, Radja Nainggolan, Milan Skriniar, Kwadwo Asamoah hanno grinta da vendere. Ma davanti a due nerazzurri è indispensabile fermarsi per capire il senso di una crescita collettiva, di un ritorno fra i top club d'Italia: sono Matteo Politano e Joao Mario. Il primo arrivava dal Sassuolo per scaldare la panchina in un reparto sovraffollato come quello degli esterni: dopo dieci partite è inamovibile. Caparbio, intelligente, capace di coprire e scattare, dotato di un tiro al curaro, ha scalzato Antonio Candreva dalla fascia destra e macina chilometri con il sorriso. L'altro, il portoghese con i tacchi a spillo, dopo due anni da oggetto misterioso gioca e segna. Era un fallimento vivente. Sembrava adatto a una squadra francese di mezza classifica, sempre in punta di piedi e attento a non sporcare la maglietta; vederlo arruolato fra i barbari sognanti è incredibile e dà il senso di una tangibile evoluzione di gruppo, accompagnata dal pubblico più numeroso d'Italia (in media sono 60.000).All'ultimo respiro si rivede Milano e il campionato ne guadagna in fascino. Poiché tutto nella vita è relativo, le due squadre galleggiano a sei (Inter) e dieci punti (Milan) dalla Juventus dei marziani. Giusto dirlo per non indurre il tifoso a credere che il più sia fatto. In Serie A si continua a giocare per il secondo posto, difficile che il mood cambi nei prossimi mesi. E proprio perché i giudizi, nello sport, vengono messi in dubbio un secondo dopo essere stati sfornati («Nel calcio non c'è niente di più provvisorio del definitivo», copyright Gianni Brera), ecco che per le milanesi ritrovate si stagliano all'orizzonte due montagne gigantesche. L'Inter stasera ha la prova del fuoco in Champions: arriva il Barcellona che ha già strapazzato i nerazzurri (come tutti gli altri in fila indiana) al Camp Nou due settimane fa. Leo Messi potrebbe rischiare il rientro lanciando il gesso nel Naviglio, gli 80.000 sugli spalti faranno parte dello spettacolo. Di solito contro i catalani la garra non basta, bisogna giocare la partita perfetta. Quanto al Milan, giovedì è a Siviglia in Europa league contro il Betis che espugnò San Siro, e domenica riceve la capolista. Contro Barcellona e Juventus aspettare l'ultimo respiro è un azzardo, si rischia di rimanere senza fiato (e senza punti) prima.
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.