2022-01-21
Colle, Fico apre all'ipotesi del voto al drive in
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Un'inversione a U, che potrebbe portare nei parcheggi di Montecitorio. È quella che è arrivata, nella riunione dei capigruppo della Camera di ieri mattina rispetto alla possibilità dei grandi elettori positivi o in quarantena, di esprimere il proprio voto per il presidente della Repubblica.Correggendo l'iniziale linea intransigente, infatti, Roberto Fico ha aperto all'ipotesi dell'installazione di un seggio ad hoc per i parlamentari positivi nell'area di Palazzo Montecitorio normalmente adibita a rimessa per i veicoli di servizio, come ad esempio auto di rappresentanza, ambulanze, mezzi dei corrieri, delle forze dell'ordine o della nettezza urbana, nell'adiacente via della Missione. Questo perché, oltre all'ipotesi del seggio per i grandi elettori positivi o quarantenati, potrebbe esserci quella di una sorta di seggio «drive-through», che funzioni un po' come quelli sperimentati per test Covid.In questo modo, hanno sottolineato dalla presidenza della Camera, sarebbero soddisfatti i requisiti per la regolarità del voto presidenziale fatti presente più volte nei giorni scorsi dallo stesso Fico, e che in un primo momento erano stati evocati per sostenere la tesi dell'impossibilità di far votare i positivi. Tali requisiti sono la segretezza, la sicurezza e la contestualità del voto, «le stesse – hanno evidenziato dallo staff di Fico - che sono assicurate all'interno dell'aula ed è coerente con le disposizioni costituzionali dettate a presidio delle libertà dei parlamentari». Il parcheggio di Montecitorio è infatti ubicato all'interno del Palazzo, non distante dall'aula ed è quindi un'area di pertinenza della Camera dei deputati e le operazioni di voto dei parlamentari positivi sarebbero supervisionate da due segretari d'aula e da alcuni funzionari.Tutto risolto, dunque? Non esattamente, perché tra le affermazioni di buona volontà del presidente Fico e la concreta realizzazione del seggio ad hoc ci sarebbe di mezzo una «leggina» da far approvare dal governo il prima possibile. Un intervento normativo che permetta ai positivi di spostarsi per giungere nella Capitale dalla propria residenza, in deroga alle norme generali. In realtà, anche nei giorni scorsi i sostenitori del diritto di tutti i grandi elettori di esprimere il voto avevano citato una circolare del ministero della Salute datata 13 gennaio che disciplinava alcuni casi in cui sono consentiti gli spostamenti dei positivi, ma quest'ultima è stata ritenuta dai più incompatibile con la fattispecie dell'elezione del Capo dello Stato.La palla passa quindi al governo, che era presente in capigruppo nella persona del ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D'Incà e tra l'altro si riunisce stamani per licenziare una serie di misure contro il caro-bollette, potendo così approfittare dell'occasione per approvare la norma in ballo. Quel che è certo, è che i tempi stringono e che ogni ulteriore ritardo rispetto a quelli finora accumulati potrebbero rendere vani gli impegni dell'ultima ora presi da Fico. Sempre nei giorni scorsi, aveva destato qualche perplessità la proposta di quest'ultimo di mantenere il «niet» sul voto ai positivi, aprendo invece a quello di chi fosse giunto a Montecitorio con la febbre, purché negativo, tanto che FdI aveva presentato in aula un ordine del giorno per consentire a tutti di votare.Poi, la svolta nella riunione di ieri mattina, che ovviamente è stata accolta in modo positivo dagli esponenti del centrodestra, da quelli di Iv ma anche da qualche voce isolata nel centrosinistra, la cui maggioranza aveva invece frenato sulla ricerca di una soluzione. Quando mancano tre giorni all'inizio delle votazioni, i parlamentari positivi o in quarantena sarebbero circa 35, di cui una trentina tra le fila dei deputati.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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