2025-02-04
        I corazzieri della stampa scivolano sulle colate di bava per Mattarella
    
 
Tutti i giornali si calano le braghe per i dieci anni al Colle dello «statista pop» che «addestra i barbari». Nessuno che però chiami questo record con il suo nome. Cioè anomalia non prevista dalla Costituzione.«Cerniera». «Cerniera flessibile». «Timone». «Timone moderato». «Meccanico con la cassetta degli attrezzi». «Motore di riserva». «Icona pop». «Statista pop». «Icona social». «Rockstar». «Gattopardo». «Nostro Burt Lancaster». «Prudente regista». «Principe delle istituzioni». «Addomesticatore di barbari». «Arbitro col cartellino rosso». «Levatrice». «Fideiussione». Fossi nel presidente Sergio Mattarella inviterei i corazzieri della stampa italiana a darsi un contegno: da una settimana stanno cercando di superarsi l’un l’altro nella gara dell’adulazione e così rischiano di scivolare su fiumi di saliva. Quelle che abbiamo appena elencato, infatti, sono solo alcune delle sobrie metafore con cui è stato indicato l’inquilino del Quirinale negli ultimi giorni. E noi siamo sinceramente preoccupati: passino «motore», «timone», «rockstar» e «fideiussione». Ma quando si arriva a toccare la cerniera, si sa, c’è il rischio di rimanere in mutande. Le celebrazioni per i dieci anni al Colle di Mattarella sono cominciate da almeno una settimana: decine e decine di pagine, servizi tv, omaggi commossi e riverenze editoriali, perché come si sa «il presidente festeggia sobriamente l’anniversario». E chissà che cosa sarebbe successo se non l’avesse festeggiato sobriamente. Peraltro tutti gli illustri editorialisti e super esperti di Quirinale si premurano di far sapere che questi dieci anni sono «un record», il «mandato più longevo», un risultato «mai toccato da alcun predecessore» perché «nessuno nella storia ha rivestito il ruolo di presidente per un tempo così lungo». Naturalmente non c’è nessuno che chiama questo record con il suo nome, nessuno che dica che è un’anomalia non prevista dalla Costituzione, una forzatura del gioco democratico. Altrimenti si sa, i festeggiati, per quanto sobri, se ne potrebbero avere a male. Soprattutto in quanto «rockstar».Del resto, come ci spiegano i nostri colleghi, assai più saggi e avveduti di noi, Mattarella non voleva la rielezione. Macché. «Come un meteorologo che fiuta l’aria e sente il cattivo tempo arrivare. Il Presidente se ne andò con la figlia Laura a visitare il nuovo appartamento che avrebbe dovuto sostituire le stanze del Quirinale», scrive Federico Geremicca sulla Stampa, spiegandoci che il «prudente regista» temeva di «non riuscire a lasciare la carica». Per questo fece «filtrare la notizia che era indisponibile». E quando uno è indisponibile, è indisponibile, ovvio. Infatti tre mesi dopo fu disponibile per essere rieletto. E l’appartamento al quartiere Salario rimase tristemente vuoto. Che ci volete fare? Lui «fiuta l’aria», ma il «cattivo tempo» non lo può evitare. Nemmeno quando piovono poltrone. Ovviamente «suo malgrado». Che poi, bisogna dirlo, anche col cattivo tempo, quello vero, il presidente Mattarella dà il meglio di sé. Come non ricordare, infatti, come fa il Messaggero, «la resistenza sotto la pioggia a Parigi» durante la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi? Proprio così: la resistenza. Contro la pioggia. Stamattina, mi sono svegliato e ho trovato l’acquazzon. Il presidente è così, bagnato e insieme asciutto, icona pop (Il Messaggero) e meccanico con la cassetta degli attrezzi (il Giornale), Gattopardo (Foglio) e fideiussione (Corriere). Ha la «forza della mitezza» (Corriere), la «fermezza mite» (Avvenire), la «spinta gentile», lui «alza la voce tenendola bassa» (Marzio Breda, Corriere). Niente meno: alza la voce tenendola bassa. Avanti di questo passo tra poco canterà rimanendo zitto, volerà con i piedi per terra, mangerà digiunando. Non è un uomo: è un mistero gaudioso. Naturalmente il meglio dei miracoli lo esercita, sempre sobriamente s’intende, quando ci sono le crisi politiche. Durante le quali ricopre quel ruolo di «cerniera» e financo «cerniera flessibile» (La Stampa) che tiene insieme anche ciò insieme sembra non poter stare. Lui, per dire, come ci spiega ancora Geremicca sulla Stampa, non avrebbe immaginato un governo fra Cinque stelle e Pd. E tanto meno avrebbe immaginato tutti i partiti insieme «all’ombra del governo Draghi». Non lo poteva immaginare sebbene, spiega sempre La Stampa nella colonna a fianco, quel governo lo «ha estratto dal suo cilindro». Sim Sala Sergin: il prestigiatore Mattarella è riuscito a estrarre dal suo cilindro, ovviamente «con un colpo di magia», un governo che «non avrebbe immaginato». L’ha estratto solo con la forza del pensiero, ma a insaputa anche del pensiero. Un uomo soprannaturale, insomma. Infatti «si è ingigantito nell’immaginario collettivo», perfino «nella gestualità, nella postura del corpo». Parla persino a braccio, per dire, senza leggere i discorsi. E per farsi capire meglio, quando incontra gli studenti per strada risponde parlando in latino. Ma con una sola parola, «Olim», così si capisce meglio. In ogni caso è un idolo delle folle, una popstar, una rockstar, insomma, oltre che un’«autorità morale», un «equilibratore delle stravaganze» che «sollecita la politica rompendo la barriera dell’arrocco» (qualsiasi cosa voglia dire), ovviamente «mai schierato con i partiti» (mai, sicuro: quello che militava nella sinistra Dc era probabilmente un suo lontano cugino), che però ha la «postura tipica del cattolicesimo democratico» (arridaglie con la postura). Per questo opera «all’incrocio dei venti proprio lì dove si rischia di bruciarsi vivi» (con il permesso di Francesco De Gregori) e ha capito che «se vogliamo che tutto resti com’è, bisogna che tutto cambi», proprio come il principe di Salina. Ma sicuro: in nome del Gattopardo, la democrazia è salva. Anzi, saliva.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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