
No all’emendamento degli esperti, sì del Consiglio al testo che punta sulla contrattazione. Cgil e Uil votano contro.Se il documento elaborato dal Cnel e approvato a maggioranza dall’assemblea con 39 sì, 15 contrari e 8 consiglieri che non hanno partecipato alla consultazione sui 62 presenti, servirà ad aumentare i salari degli italiani è ancora presto per dirlo. Certo è invece che ha spaccato i sindacati e che ha messo un punto definitivo sull’idea di una retribuzione minima oraria, visto che l’ultimo blitz, l’emendamento presentato dai 5 saggi nominati del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che chiedevano la sperimentazione di un salario minimo orario per le categorie fragili, donne giovani e immigrati, è stato respinto al mittente. Anche per il lavoro domestico, uno dei pochi settori nei quali la retribuzione oraria minima è inferiore ai 9 euro lordi, perché rischierebbe di far crescere il nero. In questo settore il Cnel consiglia di ragionare su un bonus parametrato all’Isee familiare né la grande questione del lavoro povero, né la pratica del dumping contrattuale, né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva». Quindi? «La contrattazione collettiva», si legge ancora, «è la sede da privilegiare e valorizzare per la fissazione dei trattamenti retributivi adeguati». Certo, ma come? Il Cnel propone «un piano di azione nazionale a sostegno, anche con proposte di legge, di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva che risponda tanto alla questione salariale quanto al nodo della produttività, che sono tra di loro strettamente intrecciati». Non solo. Secondo il nuovo Cnel presieduto dall’ex ministro Renato Brunetta sarà essenziale il rinnovo dei contratti scaduti (oggi più del 50% dei lavoratori è in questa condizione) e l’individuazione di regole per la rappresentatività delle parti sociali. Si dovrebbe lavorare a un accordo sulla politica dei redditi come accadde nel 1993 con Ciampi-Giugni per «gestire in termini dinamici e coerenti con le peculiarità di ogni settore produttivo le criticità dei ritardi nei rinnovi contrattuali, prevedendo adeguati meccanismi di salvaguardia del potere d’acquisto dei lavoratori con eventuali misure di incentivazione economica. In questa sede si dovrebbero individuare i criteri per stabilire in modo uniforme per tutti i settori economici e produttivi la rappresentatività delle parti contraenti».Fin qui i contenuti del testo che Brunetta ha poi consegnato alla Meloni che a sua volta ha confermato che quella della contrattazione è la strada che il governo intende perseguire. Il testo, come si poteva facilmente pronosticare, ha suscitato polemiche. Da una parte per la divisione dei sindacati. Non è la prima volta che i destini della Triplice si dividono, ma la separazione nel parlamentino del Cnel fa sicuramente più rumore. I rappresentanti di Cgil, Uil (anche l’Usb) infatti hanno votato contro. Peccato che la Cgil che oggi si straccia le vesti per il salario minimo è lo stesso sindacato che fino a non molti mesi fa lo vedeva come fumo negli occhi. Mentre la Cisl, da questo punto di vista, ha mantenuta una posizione coerente dicendo no alla fissazione di una soglia minima oraria. Veniamo quindi agli emendamenti della discordia. Passa quello presentato dal consigliere esperto Carlo Altomonte per il quale il Cnel dovrebbe usare uno «specifico, puntuale e sistematico monitoraggio» relativamente alle aree di maggiore criticità ed in relazione ai gruppi marginali e fragili di lavoratori. Niente da fare invece per il testo degli altri 5 esperti nominati dal presidente della Repubblica, Marcella Mallen, Enrica Morlicchio, Ivana Pais, Alessandro Rosina e Valeria Termini, che chiedevano la sperimentazione di un salario minimo orario per le categorie fragili, da affiancare alla proposta elaborata dalla Commissione d'informazione presieduta da Michele Tiraboschi. Per i saggi i due strumenti potrebbero integrarsi, secondo il Cnel lo scopo di alzare i minimi salariali viene assolto nel migliore rafforzando la contrattazione.
Leone XIV (Ansa)
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