
L’ex ministro accusato di abuso d’ufficio per il via libera allo stabilimento di Rosignano. Subito richiesto il proscioglimento.L’ex ministro dell’ambiente del governo Draghi, Roberto Cingolani, è indagato dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio. Con l’iscrizione nel registro delle notizie di reato - inviata al tribunale dei Ministri, la Procura di Roma contestualmente ha provveduto a chiedere l’archiviazione. L’atto prevede, per l’ex ministro, la facoltà di presentare memorie, o di chiedere di essere ascoltato, al collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Roma. La vicenda riguarda il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per lo stabilimento Solvay di Rosignano, in Toscana. Il fascicolo prende spunto da una denuncia presentata nel giugno del 2022 da Giuseppe Bivona ed Elio Lannutti, all’epoca senatore eletto con i 5 stelle.La date da tenere a mente in questa storia sono quattro. La prima risale al mese di febbraio del 2021, quando Roberto Cingolani da Chief technology & innovation officier di Leonardo chiude un accordo con la multinazionale belga Solvay per la creazione di «un laboratorio di ricerca congiunto dedicato allo sviluppo di materiali termoplastici e di nuovi processi di produzione, fondamentali per il futuro dell’industria aerospaziale. «La collaborazione con Solvay», sottolineava in quei giorni lo scienziato, «è un passo significativo nella ricerca sui materiali avanzati. L’ambito di ricerca, centrale per Leonardo, è un fattore chiave di competitività...». Un paio di settimane dopo, non di più, lo stesso Cingolani viene nominato ministro per la Transizione ecologica del governo Draghi. In primis dall’emergenza Covid, ma poi anche dai «guasti» dell’emergenza climatica. I salvatori della patria dovrebbero però essere irreprensibili anche dal punto di vista formale, così il 20 gennaio del 2022, quando da ministro firma un decreto con il quale rinnova l’autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l’esercizio dell’impianto chimico della Solvay nello stabilimento di Rosignano Marittimo (Livorno) in molti storcono il naso. Il colosso belga della chimica che produce soda e sversa i residui nel mare è da tempo accusato di inquinare il territorio, tant’è che nella precedente Aia venivano evidenziate tutta una serie di problematicità e di interventi da effettuare che nella nuova versione (quella dal 2022) non si trovano più. Un esempio su tutti: si suggeriva «di effettuare lo scarico delle acque reflue tramite un appropriato diffusore in acque marine profonde, in modo che le correnti disperdano gli inquinanti e non li riportino verso riva». E ora non più. La nuova Aia viene inoltre anticipata rispetto alla scadenza originaria datata 2027. Bivona, partner della società di consulenza basata a Londra Bluebell Capital, è noto alle cronache per le sue iniziative (anche giudiziarie) sul caso Monte dei Paschi. Anche su Solvay, quotata in Belgio, Bluebell aveva avviato una serie di iniziative da fondo attivista proprio per l’inquinamento prodotto dallo stabilimento di Rosignano, dove viene prodotto carbonato e bicarbonato di sodio e i cui scarti di lavorazione hanno prodotto il fenomeno delle cosiddette «spiagge bianche». Il 6 settembre dello scorso anno, Solvay e Bluebell hanno annunciato di aver raggiunto un accordo con il quale il gruppo belga «ha annunciato l’intenzione di ridurre in modo significativo il rilascio di residui di calcare direttamente in mare dal suo stabilimento di Rosignano, in Italia, nonché un obiettivo a lungo termine di investire in un nuovo processo di produzione di carbonato di sodio destinato ad essere adottato a livello globale. Questo nuovo processo dovrebbe consentire a Solvay di ridurre ulteriormente le proprie emissioni di CO2 e ridurre a zero qualsiasi scarico di residui di calcare entro il 2050». Nell’ambito dell’intesa, un comunicato del gruppo belga ha anche aggiunto che «Solvay e Bluebell hanno raggiunto un accordo per porre fine alla campagna One-Share Environmental, Social and Governance (Esg) di Bluebell relativa a Solvay». La denuncia di Bivona e Lannutti va però ricordato essere precedente e non chiama in causa l’operato del gruppo, ma solo gli atti dell’allora ministro. Che nel frattempo, la quarta data fa riferimento al 9 maggio 2023, è diventato ceo della stessa Leonardo.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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