2019-11-07
Ci vuole una scheggia di tradizione per non affogare nel mondo globale
L'ultimo libro di Paolo Del Debbio illustra le difficoltà esistenziali di una generazione in crisi e senza radici. E racconta degli emigranti che, per non perdere identità, conservavano frammenti della statua del patrono.Da una parte c'è l'infinito della rete. Dall'altra una piccola scheggia di legno. Chi è che ha più informazioni? Chi dà più sicurezze? Chi dà più certezze? Se leggerete (e ve lo consiglio) l'ultimo libro di Paolo Del Debbio (Cosa rischiano i nostri figli, Piemme, p.175) potreste sorprendervi nel dare la risposta che non avreste mai immaginato: ci sono più informazioni, Vico Pancellorum è un piccolo borgo, seicento metri sul mare, circondato da boschi di castagni e di noci, non troppo distante da Lucca. Al centro del paese, fin dall'875, c'è una bella pieve, all'interno della quale si trova una statua lignea del XV secolo, che raffigura San Paolo, il santo patrono. Si tramanda che gli emigranti di Vico Pancellorum, prima di lasciare la loro terra, passassero in chiesa per affidarsi alla protezione celeste. E prima di uscire, dopo essersi lungamente raccolti in preghiera, genuflessi davanti all'altare maggiore, si inginocchiassero una seconda volta, dietro la statua del santo e con un coltellino incidessero il legno, ricavandone una piccola scheggia. La mettevano in un astuccio di stoffa, preparato appositamente dalle donne del paese e benedetto dal parroco. Lo attaccavano con un bottone ai pantaloni e lo portavano con sé per tutta la durata di quello che sentivano come un esilio. Gli uomini di Vico Pancellorum, scrive Paolo Del Debbio, «sapevano bene che la scheggia ricavata dalla statua del santo non avrebbe fatto miracoli». E, del resto, non era nemmeno nelle loro intenzioni chiederne. Ma dentro quella scheggia c'era tutto quello che serviva a sopravvivere in una terra lontana, a non perdere contatto con le proprie radici. C'era la fede, c'era la tradizione, il legame con la propria famiglia. La propria storia. Così anche Ermanno, uno degli uomini di Vico Pancellorum, che parte dalla Toscana per l'America porta con sé, avvolto in un pezzo di stoffa, il suo piccolo pezzo di legno. E così facendo porta con sé tutto il suo mondo, quello che gli era stato tramandato, un patrimonio di modi di vivere, di sentire, di comportarsi. Porta con sé una scheggia forte, come scrive Del Debbio, «che avrebbe resistito all'usura del tempo e alle avversità della vita». Perché questa storia ci dice molto oggi? Perché una volta tutti avevano una piccola scheggia di legno in tasca, o almeno nel cuore. Gli uomini di Vico Pancellorum ce l'avevano fisicamente. Altri simbolicamente. Spiritualmente. Ma, per anni, in Italia tutti hanno avuto «una scheggia ideale che li ha accompagnati nella loro vita». «I nostri figli», si chiede Paolo Del Debbio, «che scheggia avranno nella loro tasca? E ancora più radicalmente ce l'avranno una scheggia? Se no, come si può vivere senza una scheggia in tasca quale essa sia?».È un viaggio angosciante quello che fa Paolo Del Debbio partendo da questa domanda. Un viaggio angosciante ma anche pieno di speranza. Il conduttore televisivo, filosofo e professore universitario, entra nel mondo dei ragazzi con delicatezza e profondità. E racconta le storie di una generazione in crisi, senza radici, scossa, indebolita, a volte malata di troppo Internet. Una generazione che sembra avere il mondo a disposizione di clic, ma che poi ha perduto ciò che conta di più. E cioè «la carne, le ossa, quelle vere». La Rete in effetti ha dentro tutto, ma non avrà e non potrà mai avere l'umanità di un corpo. E così alla fine, travolti come siamo dall'indigestione virtuale di questi anni, è bello scoprire che per sopravvivere c'è solo una strada, e cioè quella di fare un salto all'indietro. Un'immersione nella vita vera. Perché, per quanto assurdo possa sembrare, c'è più vita in una piccola scheggia di legno che in tutto l'infinito web.