
Il sì di Elisabetta al premier Boris Johnson: il Parlamento sospende i lavori per salvare la democrazia sostanziale sulla Brexit.Nelle stesse ore in cui Sergio Mattarella riceveva le delegazioni parlamentari in vista della formazione di un governo giallorosso che rispetta sì i principi della democrazia italiana ma ignora gli esiti delle ultime elezioni e dei recenti sondaggi, dall'altra parte della Manica, nel Regno Unito, Elisabetta II, una regina cioè per definizione una figura ben più lontana dalla democrazia rispetto al presidente della Repubblica, dava il suo assenso alla forzatura dei cardini della democrazia formale per restituire voce al suo popolo, che tre anni fa ha votato a maggioranza per lasciare l'Unione europea.Il premier britannico Boris Johnson l'aveva annunciato nel suo tour europeo della scorsa settimana conclusosi con il G7 di Biarritz: i leader dell'Unione europea non confidino nella possibilità che il Parlamento di Londra tolga dal tavolo l'ipotesi del «no deal». Promessa mantenuta, anche se ricorrendo ai modi forti. Ieri mattina il primo ministro aveva chiesto alla regina Elisabetta II di sospendere i lavori alla Camera dei Comuni pochi giorni dopo il rientro dei parlamentari dalla pausa estiva per riprenderli due settimane prima della scadenza della Brexit fissata per il 31 ottobre. E nel pomeriggio dopo un incontro del suo privy council la sovrana, facendo irritare ancor di più le opposizioni che già avevano parlato di «irresponsabilità», «oltraggio», «minaccia alla democrazia» e «vergogna costituzionale», ha dato il suo via libera: la cosiddetta prorogation della pausa estiva inizierà non prima di lunedì 9 settembre e non più tardi di giovedì 12 settembre per finire il 14 ottobre, quando si terrà il consueto discorso della Regina, con il quale la sovrana presenta il programma di governo.Elisabetta II ha approvato la mossa del premier Johnson. Avrebbe potuto opporsi ma per convenzione non si è mai fatto, e neppure la Brexit vale un'eccezione secondo la sovrana. «Serve ad andare avanti con i piani per far progredire il Paese», aveva affermato Johnson in tv confermando le indiscrezioni di ieri mattina. Un modo per bloccare la discussione sulla Brexit e favorire il «no deal»? «Falso, stiamo presentando nuove leggi su crimine, ospedali, istruzione. Ci sarà tutto il tempo dopo il vertice del 17 ottobre per dibattere sulla Brexit», ha ribattuto il premier.Ignorando le oltre 500.000 firme della petizione online per evitare la prorogation, Johnson ha tirato dritto facendo arrabbiare le opposizioni, infastidite dalla chiamata in campo della sovrana. «Sono inorridito dalla sconsideratezza del governo Johnson, che parla di sovranità e che tuttavia sta cercando di sospendere il Parlamento per evitare l'esame dei suoi piani per una spericolata Brexit senza accordo. Questo è un oltraggio e una minaccia per la nostra democrazia», ha detto il leader laburista Jeremy Corbyn. Di «vergogna costituzionale» ha parlato lo speaker della Camera dei Comuni, il conservatore europeista John Bercow. «Giornata nera per la democrazia britannica» secondo il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che è tornata a parlare di indipendentismo scozzese dopo la sconfitta dei sì nel referendum del 2014.Ma il primo ministro britannico ha ottenuto anche il sostegno del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in questi giorni prodigo di endorsement via Twitter come quelli al premier italiano Giuseppe Conte e al presidente brasiliano Jair Bolsonaro. «Sarebbe molto dura per Jeremy Corbyn, il leader del Partito laburista, cercare un voto di sfiducia contro il nuovo primo ministro Boris Johnson, specialmente alla luce del fatto che Boris è esattamente ciò che il Regno Unito cercava, e dimostrerà di essere un grande!». Già al G7 i due erano parsi molto vicini tra promesse di accordi commerciali post Brexit e pacche sulla schiena al biondo premier britannico, «l'uomo giusto» per la Brexit secondo Trump.C'è chi, come Repubblica, tira in ballo il Seicento, Carlo I che «imbavagliò il Parlamento, scatenando la Guerra civile inglese e alla fine della battaglia il re venne decapitato dopo la vittoria dei Parlamentari stessi». Ma, senza farsi prendere dalle tifoserie né stracciarsi le vesti, ci sono due considerazioni. La prima: c'è una strada per le opposizioni, stretta ma c'è. Infatti, il Parlamento aprirà il 3 settembre e la sospensione inizierà non prima del 9. A questa settimana di lavori si aggiungono le due tra la riapertura del 14 e il giorno della Brexit, il 31. I tempi per dibattere dell'uscita dall'Unione europea ma anche per presentare e votare una sfiducia nei confronti di Johnson ci sono. La seconda: con la mossa di ieri il successore di Theresa May a Downing Street ha fatto capire che il «no deal» è solo l'extrema ratio, che lui vuole un'accordo per fare la Brexit il 31 ottobre, ma riscrivendo alcune parti. Togliendo la possibilità al Parlamento britannico di imporre al governo il «no deal», Johnson conserva così una carta negoziale preziosa: quello scenario è, infatti, temuto a Londra quanto a Bruxelles. Che ora potrebbe davvero cedere qualcosa sul confine irlandese pur di evitare un divorzio senza intesa, che danneggerebbe in primis l'economia tedesca.
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