L’Aifa li rivela all’Ema ma non agli italiani. Eppure ci sono, e anche seri, sebbene in percentuale sottostimati rispetto al resto dei Paesi europei. C’è il sospetto che la sorveglianza non sia così efficiente. E che non se ne voglia parlare per non turbare la campagna di iniezioni, l’unico totem al quale si aggrappano Speranza & C.
L’Aifa li rivela all’Ema ma non agli italiani. Eppure ci sono, e anche seri, sebbene in percentuale sottostimati rispetto al resto dei Paesi europei. C’è il sospetto che la sorveglianza non sia così efficiente. E che non se ne voglia parlare per non turbare la campagna di iniezioni, l’unico totem al quale si aggrappano Speranza & C.C’è un pensiero che mi perseguita da ieri, dopo aver letto l’articolo del nostro Antonio Grizzuti. Il collega ha pubblicato sulla Verità di giovedì un articolo in cui rivela che l’Agenzia del farmaco da quattro mesi non rende pubblici i dati sugli effetti collaterali del vaccino anti Covid. In principio avevo pensato alla solita lentezza della burocrazia italiana, che non risparmia neppure la Salute e non cambia neanche in periodi di emergenza come quelli dettati dalla pandemia. Poi però ho visto che l’Aifa non pubblica i dati sul suo sito, ma in compenso li invia all’Ema, cioè all’Agenzia europea. Dunque, non è una questione di ritardi nell’approntare il dossier, ma proprio di mancata trasparenza. E qui c’è il pensiero che mi perseguita: perché un organismo pubblico deve nascondere dati che dovrebbero essere resi noti in quanto interessano la collettività? Si sa che le segnalazioni sono state 24.000 e che una su sei risulta grave. Certo, dal punto di vista statistico 24.000 possono apparire poche se si considera che 47 milioni di italiani si sono vaccinati con prime, seconde e anche terze dosi. E sicuramente 4.000 casi «gravi» rappresentano all’incirca un caso ogni 100.000 dosi somministrate e dunque l’incidenza potrebbe essere considerata minima. Ma dietro a quelle reazioni avverse, che sulla carta vengono definite importanti, ci sono delle persone in carne e ossa, italiani che si sono sottoposte all’iniezione per non contagiarsi e non finire in terapia intensiva. I quali, dopo la puntura, hanno avuto conseguenze «serie»: miocarditi, pericarditi, embolie polmonari, trombosi. Ovvero non proprio robetta, non, per intenderci, una febbriciattola o un’eruzione cutanea. In qualsiasi Paese normale sarebbe logico parlare di tutto ciò e discutere di questi cosiddetti effetti collaterali, per capire se sono scatenati dal solo farmaco o da una predisposizione. In qualsiasi Paese normale ci sarebbe un dibattito aperto e altrettanto aperte sarebbero le fonti per ottenere informazioni. Al contrario, da noi tutto è secretato, quasi fosse un mistero da tenere nascosto, perché non si sappia che cosa ha scatenato la reazione. Eppure, nelle pagine di cronaca quasi ogni giorno si ha notizia di un ragazzo che non si è ancora ripreso, di un atleta che ha avuto problemi, di difficoltà alle articolazioni o alla muscolatura. Ma un quadro completo della situazione non c’è o, se c’è, l’Aifa lo tiene ben stretto, evitando di metterlo a disposizione della stampa. Le notizie le dà all’Ema, non agli italiani. Ma oltre a essere inseguito dalla domanda sulla necessità di tanta segretezza, dopo aver letto l’articolo di Grizzuti è sorto spontaneamente un altro quesito e riguarda il sistema di segnalazione degli effetti collaterali e la differenza percentuale dei dati denunciati in altri Paesi. Mi spiego. Dopo aver scoperto che l’Aifa non pubblica i bollettini sui danni da vaccino mi sono chiesto che cosa accade nel resto d’Europa e così ho gettato l’occhio alle statistiche rese note dall’Ema, scoprendo un fatto sorprendente. Ci sono Paesi che hanno tassi di segnalazione molto alti. In Islanda, ad esempio, si sono registrati più di 1.400 casi ogni 100.000 abitanti, in Olanda più di 1.000, in Austria 800, in Norvegia più di 500. Da noi i casi avversi sono meno di 200, sotto la media calcolata dall’Ema, che però tiene conto anche di Paesi come Slovenia, Bulgaria, Slovacchia, Romania e Polonia, che non sono quasi mai tra i più efficienti nella gestione della pandemia e, probabilmente, anche dei suoi effetti. Ciò che mi sono chiesto dopo aver visto i numeri è la ragione di tanta differenza nelle segnalazioni di effetti collaterali. Come mai in alcuni Paesi si registrano numerosi casi di reazioni avverse e da noi, quando va bene, meno della metà della Danimarca e dell’Estonia, due terzi di quelli segnalati in Svezia o in Germania? Forse gli italiani reagiscono meglio o soffrono di minori allergie ai farmaci? Certo, sarebbe bello poterlo credere, ma pur non avendo prove per dimostrarlo ho la sensazione che il motivo per cui in Italia denunciamo minori effetti collaterali è che il sistema di raccolta dei dati è meno efficiente di quello in funzione in altri Paesi. Sono a conoscenza di persone che dopo l’iniezione anti Covid hanno avuto problemi, ma nessuno si è preso la briga di occuparsi di loro, né il medico di base né l’ospedale cui si sono rivolti, e dunque penso che i loro casi, seri ma non gravissimi, non siano confluiti nel database dell’Aifa. Insomma, ho il sospetto che i nostri dati siano sottostimati e che nessuno abbia voglia di parlare della questione, temendo che influisca sulla campagna vaccinale, rallentando l’inoculazione della terza dose. Tuttavia, gli italiani che hanno patito gli effetti collaterali, pochi o tanti che siano, non si possono cancellare: esistono e un ministro della Salute degno del ruolo non dovrebbe aspettare che un giornale denunci l’assenza di informazioni sugli effetti avversi. Per quanto l’Italia faccia di tutto per sembrare un Paese retto da un regime di sorveglianza sanitaria, siamo ancora una democrazia liberale, dove gli italiani hanno diritto a essere informati. Anche se questo non piace al senatore a vita Mario Monti.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






