2021-02-24
        Bonaccini apre alla Lega e fa a pezzi il Pd
    
 
Rispetto all'era Conte, il premier tenta il cambio di passo, ma sulle aperture il governo è ancora timido. Sui vaccini, l'ex banchiere guarda al modello inglese. Il Cts frena sulla ripartenza di palestre e piscineIl governatore plaude alla Lega e si mette contro mezzo partito L'obbiettivo è riconquistare il Nord per puntare alla segreteriaLo speciale contiene due articoliAnche quella di oggi rischia di non essere affatto una buona giornata per gli «aperturisti», che culminerà con l'intervento in Aula di Roberto Speranza, alle 17. È prevedibile che il ministro della Salute non cercherà provocazioni politiche, ma sembra altrettanto chiaro che si attesterà su una strenua difesa - e se possibile sulla richiesta di inasprimento - della sua tradizionale linea «chiusurista». Il mantra di Speranza sarà, secondo le indiscrezioni circolate ieri: «Non è il momento di abbassare la guardia». Certo, però, balza agli occhi un'evidenza piuttosto bizzarra per chiunque sia affezionato a una politica fact-based e data-driven, cioè basata sui fatti e sui dati. Più che di indici in peggioramento, siamo in presenza di timori e incertezze (magari giustificate, nessuno può escluderlo) sulle varianti e sul loro eventuale sviluppo. Ma, se si adottasse una logica del genere per tutto il tempo necessario alla campagna vaccinale, e quindi se si accentuassero le restrizioni davanti ad ogni eventuale o potenziale variante, allora l'Italia avrebbe davanti altri 8-9 mesi di lockdown strisciante. Un incubo, oltre che un'apocalisse economica. E ieri il Cts ha sparso altra paura, consegnando a Draghi, a quanto pare, la richiesta di non riaprire palestre e piscine: segnale assai cupo, anche perché già mesi fa, quando quelle strutture erano aperte, si attenevano a protocolli molto rigorosi. Sta di fatto che, in vista della relazione di Speranza di oggi, Mario Draghi ha convocato ieri sera una riunione con alcuni ministri in rappresentanza dei partiti della coalizione (Giancarlo Giorgetti, Stefano Patuanelli, Roberto Speranza, Dario Franceschini, Maria Stella Gelmini, Elena Bonetti), a cui hanno partecipato anche i vertici del Cts Silvio Brusaferro, Agostino Miozzo e Franco Locatelli. Ma allora cosa c'è di diverso nell'approccio al Covid tra Giuseppe Conte e Draghi? Giuridicamente, è apprezzabile che l'altro ieri Draghi sia partito con un decreto-legge (firmato ieri da Sergio Mattarella), quindi con un atto necessariamente sottoposto a scrutinio parlamentare. Dei dpcm verranno (il primo già molto presto, dopo il dibattito parlamentare di oggi), ma sembra probabile che si tenderà a non abusarne. Ancora, è abissale la differenza tra la nuova fase draghiana e tra la comunicazione martellante, ansiogena, ossessiva, orchestrata da Rocco Casalino, tra pagine Facebook, caccia al like, conferenze a orari improbabili (e poi regolarmente rinviate per sdraiarsi sui palinsesti tv), più il circo dell'improvvisa «apparizione» delle bozze prima di ogni provvedimento. In qualche misura, si è passati a un approccio eccessivo in senso inverso: mutismo, riserbo assoluto, gran silenzio. Peraltro, è abbastanza curioso che gli stessi media che esaltavano il primo approccio ora si dichiarino innamorati del secondo: potenza dell'italica propensione al servo encomio. Come si diceva, invece, il più preoccupante elemento di continuità sta nell'approccio «chiusurista». Su questo, finora, i ministri di centrodestra registrano una sconfitta secca, confermata anche dai retroscena sul Cdm di lunedì, con le posizioni «aperturiste» schiacciate in sandwich tra i no iniziali di Speranza e Andrea Orlando e il no finale, sia pure più sfumato e transitorio, di Draghi stesso, preoccupato di valutare nei prossimi giorni l'impatto delle varianti. Se, dentro questa cornice di sconfortante continuità, vogliamo cercare un elemento di ottimismo che possa non precludere esiti diversi, c'è da sottolineare il fatto che ora quasi tutti sembrino orientati a escludere chiusure troppo estese. Sembra farsi strada (e questo sarebbe ragionevole) l'idea di chiusure mirate, riservate ai singoli focolai: lo chiede in particolare Matteo Salvini (che ieri ha esplicitamente detto: «Se c'è un problema a Brescia, non chiudi tutta Italia da Bolzano a Catania»). Un'inversione di rotta sembra annunciarsi, e questo è certamente l'aspetto più consolante, in materia di vaccini. Come questo giornale sollecitava da mesi, pare farsi strada il modello britannico. Negli ultimi giorni, sia la rivista The Lancet sia le autorità mediche Uk hanno confermato che posporre nel tempo il richiamo potrebbe perfino giovare. Allora, diventa possibile ipotizzare che l'Italia usi a tappeto (per la prima iniezione) tutte le dosi in arrivo: sono attesi 5 milioni di dosi Astrazeneca entro fine marzo (e, sempre entro fine marzo, le dosi complessivamente giunte da inizio anno arriveranno al numero di 15 milioni, soprattutto tra Pfizer e Astrazeneca), mentre da aprile a giugno (considerando Pfizer, Astrazeneca, Johnson & Johnson, Moderna, ecc) sono attese altre 52 milioni di dosi. La strategia del governo sembra essere quella di usarle a raffica per la prima vaccinazione, riservando al richiamo sia le consegne successive sia l'eventuale produzione nazionale da avviare (tema su cui è al lavoro il dicastero di Giorgetti). Adottando questo modello, il tema delle dosi non sarebbe più un problema insormontabile, mentre tornerebbe in gioco l'irrobustimento di un'adeguata macchina organizzativa. Ed è su questa sfida logistica che il governo Draghi sarà rapidamente giudicato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chiusure-mirate-e-dpcm-solo-se-serve-ecco-il-metodo-anti-covid-di-draghi-2650729759.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bonaccini-spacca-il-pd-sui-ristoranti-ha-ragione-salvini" data-post-id="2650729759" data-published-at="1614120771" data-use-pagination="False"> Bonaccini spacca il Pd «Sui ristoranti ha ragione Salvini» Stefano Bonaccini lancia l'opa su quel che resta del Pd, e lo fa nella maniera più clamorosa: una virata a dritta (ovvero a destra, per chi non è appassionato di vela) che fa suonare l'allarme rosso nella sinistra dem, capitanata dal ministro del Lavoro Andrea Orlando. Il presidente dell'Emilia Romagna, ieri mattina, sgancia la bomba: «La proposta di Matteo Salvini», dice Bonaccini a L'Aria che tira, su La7, «sui ristoranti aperti anche a cena è ragionevole, laddove nel territorio non si hanno troppi rischi di contagio. Dove le cose vanno in maniera migliore», aggiunge Bonaccini, «si può ragionare, con controlli più serrati, dove ci sono meno rischi, per dare ossigeno a qualche attività». Apriti cielo: Bonaccini sulla linea del leader del centrodestra? Lo stesso Bonaccini che fino a tre giorni fa chiedeva la zona arancione per tutta Italia, facendo imbestialire, oltre a Salvini, milioni di imprenditori? Proprio lui: il presidente dell'Emilia Romagna, che è anche il leader della Conferenza delle Regioni, cambia linea e si converte sulla via del congresso dem, che sembra sempre più vicino. Passano un paio d'ore, e Salvini, diabolicamente, sui social newtork rilancia le parole di Bonaccini, con tanto di card con fotografia stilizzata del governatore dem, omaggio grafico che solitamente il leader della Lega riserva agli intellettuali di centrodestra: «Fa piacere», commenta Salvini, «trovare consenso trasversale su una proposta di assoluto buonsenso, che salvaguardi sia il diritto alla salute che il diritto al lavoro». La sinistra del Pd schiuma rabbia: a esprimere apertamente il suo dissenso nei confronti della svolta di Bonaccini è Marco Miccoli, responsabile nazionale Lavoro del Pd, vicinissimo a Orlando: «Dico a Bonaccini», scrive Miccoli su Facebook, «che le proposte di Salvini non sono mai ragionevoli, sono sempre strumentali. Siamo in una fase difficile e la politica deve saper coniugare le esigenze del Paese a quelle della lotta alla pandemia. Più che a Salvini mi affiderei ai tecnici e alla scienza». È evidente il tentativo di Bonaccini di smarcarsi dall'ala sinistra del partito, quella che guarda all'alleanza strategica con il M5s e Leu, ancora nostalgica dei bei (?) tempi di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, e di candidarsi alla guida del partito con una piattaforma politica opposta, che contempli il riavvicinamento con Matteo Renzi, con il quale il presidente dell'Emilia-Romagna conserva rapporti eccellenti, così come con Carlo Calenda. È bene ricordare che in occasione delle regionali del gennaio 2020, quando Bonaccini, senza allearsi con il M5s, ha battuto la candidata leghista Lucia Borgonzoni, né Italia viva né Azione hanno presentato i loro simboli, ma hanno preferito irrobustire con i loro candidati la lista «Bonaccini presidente». «Bonaccini», dice alla Verità un dirigente dem di peso, «è in corsa per la segreteria del Pd dal giorno dopo la vittoria delle regionali. La sua idea è quella di un asse del Nord, con sindaci come Giorgio Gori e Dario Nardella, e con agganci importanti in Base riformista, la corrente di ex renziani guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Bonaccini nasce bersaniano, ma parliamo del pleistocene: si è subito avvicinato a Renzi, che nel 2014, quando era premier, fece ritirare Matteo Richetti, a lui all'epoca legatissimo, dalle primarie per il candidato alla presidenza dell'Emilia Romagna per il Pd, con la famosa frase “avete fatto un bel casino", riferita alla doppia candidatura. Bonaccini», aggiunge la fonte, «si prepara a sfidare Andrea Orlando al congresso». Sfida che arriverà molto presto: il mandato di Nicola Zingaretti scade tra due anni, ma in realtà lo stesso segretario ammette che il redde rationem è assai vicino: «Il congresso? Io credo», dice Zinga a Radio Immagina, «che noi all'assemblea nazionale che avremo fra qualche giorno decideremo, non c'è dubbio che va riaperto un dibattito sull'identità del Pd, sulle scelte fondamentali, sull'Italia, oggi si può fare a testa alta». La piattaforma con la quale Bonaccini si candiderà alla leadership è già pronta: vocazione maggioritaria, addio alleanza strategica con un M5s disintegrato, apertura al centro, attenzione ai ceti produttivi. Ovviamente, da segretario, Bonaccini sarebbe protagonista dell'elezione del prossimo presidente della Repubblica e, d'intesa con Salvini, bloccherebbe ogni tentativo di ritornare al proporzionale. «Adesso dobbiamo aiutare il Paese», sottolinea Bonaccini, «e cercare di mettere da parte le divisioni. Verrà il tempo in cui la Lega e il Pd torneranno a dividersi». Verrà il tempo: nella primavera del prossimo anno, quando Bonaccini e Salvini si sfideranno per la premiership, come spera (o sogna) il governatore dell'Emilia Romagna, Regione che confina con la Toscana, dove la segretaria regionale, Simona Bonafè, esponente di Base riformista, ha appena epurato gli esponenti zingarettiani dalla segretaria, a partire dal suo vice, Valerio Fabiani. Il congresso del Pd è già iniziato, anzi non è mai finito.
        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
    
        Francesca Albanese (Ansa)
    
        Emanuele Fiano (Getty Images)