2021-08-11
I tribunali pasticciano e un giornale chiude
Dietro lo stop alle pubblicazioni della «Gazzetta del Mezzogiorno» un doppio cortocircuito giudiziario. Prima le false accuse di mafia allo storico editore Ciancio, poi le lungaggini sulla scelta tra le offerte per la nuova proprietà. Intanto il foglio è congelato dal 1° agosto.Un errore giudiziario ha quasi mandato a gambe all'aria un giornale storico del Sud Italia. Il successivo pasticcio ora rischia di ucciderlo. Nella storiaccia della procedura fallimentare de La Gazzetta del Mezzogiorno, giornale fondato nel 1887 a Bari, che pubblicava edizioni in Puglia e Basilicata e che ha formato migliaia di cronisti prima di fermare le rotative per cause di giustizia l'1 agosto, ci sono due tappe ben precise che potrebbero condizionarne l'esistenza. La prima è un sequestro preventivo con finalità di confisca. La doccia fredda ha una data precisa: il 24 settembre 2018. La Procura antimafia di Catania notifica il sequestro dei beni e delle società a Mario Ciancio Sanfilippo, discendente per via paterna dei baroni Ciancio di Adrano e nipote di Domenico Sanfilippo, fondatore del quotidiano La Sicilia. Il magistrato Antonino Fanara in udienza sostenne che «c'era stato un patto tra Ciancio e alcuni esponenti di Cosa nostra». E nello specifico con Nitto Santapaola. «A loro», ebbe a dire il pm, Ciancio «consentiva di presentarsi con maggior forza, disponendo di contatti con le istituzioni, cioè politici, imprenditori e magistrati». Toghe indagate per questo caso, però, non ne risultano. C'è invece una girandola di dichiarazioni di pentiti che sembra aver tirato su un castello di sabbia. I rapporti con Cosa nostra, inoltre, secondo l'accusa, vanno fatti risalire al lontano 1982. Il sequestro, però, arriva dopo 36 anni, quando Mario Ciancio Sanfilippo ha la bellezza di 86 anni. La gestione del quotidiano pugliese, che Ciancio aveva preso nel 2001 pagando 40 miliardi di lire tondi tondi ai vecchi editori, nel frattempo, viene affidata dal Tribunale di Catania a due custodi giudiziari, Angelo Bonomo e Luciano Modica, che prendono in mano le redini con un piglio da burocrati. I due, per dirla come i giornalisti della Gazzetta, si sono subito rivelati «inadeguati a guidare una azienda così complessa». Ma la vera sorpresa arriva in appello. I giudici annullano il sequestro dei beni e delle società di Ciancio e in tre punti fanno a pezzi la sentenza di primo grado: «Non può ritenersi provata l'esistenza di alcun attivo e consapevole contributo arrecato da Ciancio Sanfilippo in favore di Cosa nostra catanese. Non può ritenersi provata alcuna forma di pericolosità sociale né è risultata accertata e provata alcuna sproporzione tra i redditi di provenienza legittima di cui il preposto e il suo nucleo familiare potevano disporre e la liquidità utilizzata nel corso del tempo». Arrivederci e grazie con conferma della sentenza in Cassazione. Ma nel frattempo a Bari stava per avviarsi il calvario. Ciancio, rientrato in possesso delle sue quote, sceglie di mettere in liquidazione l'azienda. Inevitabile, a quel punto, senza un imprenditore in grado di rilevare i beni, la via del declino finale. Ci ha provato il socio di minoranza, l'imprenditore e immobiliarista Valter Mainetti, che con la società Denver ha gestito il 30 per cento del pacchetto azionario della Edisud. Mainetti nel luglio 2019 si è dichiarato disponibile a ricoprire il ruolo di assuntore di un concordato, procedura alternativa al fallimento e finalizzata a salvare il giornale dai debiti accumulati per anni. Prometteva di prendere tutte le azioni della Edisud con le garanzie finanziarie di un «primario istituto di credito», che poi si è rivelato essere la Banca popolare di Bari. Con il crac dell'istituto di credito (con il quale la Denver era già esposta per 35 milioni di euro), Mainetti ha ritenuto di non poter mantenere gli impegni. A quel punto si è mossa la Procura di Bari, chiedendo il fallimento del giornale e accompagnando la richiesta con l'autorizzazione all'esercizio provvisorio. Il 15 giugno 2020 il Tribunale decreta il fallimento delle due aziende che detengono la testata (Mediterranea) e le attività editoriali di giornalisti e poligrafici (Edisud), con perdite stimate in circa 50 milioni di euro, e il giorno dopo nomina i curatori fallimentari. Esaurite le risorse per l'esercizio provvisorio, l'unico modo per mantenere in edicola il giornale è predisporre un bando di affitto del ramo di azienda Edisud. Il 20 novembre, la Ledi Srl si aggiudica il bando e subentra il 10 dicembre come editore affittuario. Dead line fissata al 31 luglio 2021. Ma in vista di questa scadenza il giudice autorizza la curatela fallimentare a una ulteriore proroga di tre mesi. Qui, però, c'è l'ennesimo colpo di scena: la Ledi si dichiara prima disponibile a tirare avanti per un mese, fino al 30 agosto, poi, il 30 luglio, a sole 24 ore dalla scadenza dell'affitto, comunica di non voler proseguire col contratto. E la palla è finita nel campo dei creditori che, entro il 28 agosto, dovranno votare il piano della stessa Ledi e quello dell'altra società che ha presentato una proposta, la Ecologica Spa della famiglia Miccolis. Il Tribunale, ed è qui il secondo cortocircuito, avrebbe potuto troncare i tempi, fissando, senza proroghe, la data per la valutazione delle proposte editoriali. Invece giornalisti e poligrafici sono finiti in cassa integrazione a zero ore. E la Gazzetta non è più in edicola.