2022-02-02
Le discoteche simbolo della disfatta dei governi
Altro che riapertura, il divieto dura fino al 10 febbraio. Centinaia vicine al fallimento.Se si toglie il filtro orwelliano, si scopre quale sia la vera la notizia. Ieri si leggeva un po’ ovunque: «Il 10 febbraio riaprono le discoteche». In realtà, non c’è una riapertura, bensì una proroga della chiusura. Sono dettagli, certo, però la differenza è sostanziale. Lo spiega bene Gianni Indino, presidente del Silb Fipe dell’Emilia Romagna, che rappresenta i gestori dei locali: «Vedo il bicchiere mezzo vuoto», ci dice. «Perché se domani, per qualsiasi motivo, il governo dovesse decidere un’ulteriore proroga avrebbe tutti gli strumenti per metterla in atto. Per ora non abbiamo alcun provvedimento che stabilisca davvero una riapertura».I numeri che snocciola Indino fanno impressione. «Le discoteche sono chiuse dal 27 febbraio del 2020», sospira. «Nelle poche finestre che abbiamo avuto a disposizione per lavorare abbiamo contato circa 20 serate utili. Solo tra Natale e Capodanno, un periodo che vale circa il 25% del fatturato annuo, sono andati persi 300.000 milioni di euro. Per i ristori sono stati stanziati 20 milioni. Se li dividiamo per i 3.000 locali circa che ci sono in Italia, vuol dire circa 6.300/6.500 euro al mese per ogni discoteca, quando solo per tenere chiuso un gestore spende tra i 20.000 e i 25.000 euro al mese in bollette, Tari, affitto… Se continua così ci saranno tra le 300 e le 500 attività che non riapriranno più».Il quadro depressivo, purtroppo, è in parte simile a quello di molti (troppi) altri settori. Le discoteche, però, hanno qualcosa di diverso dal resto delle attività. Sono costrette, da due anni, a sopportare un peso simbolico devastante: sono diventate, loro malgrado, l’emblema dei fallimenti dell’ideologia sanitaria e della follia pandemica, il luogo in cui tutti i nodi vengono al pettine e tutte le mistificazioni si concentrano.Della manipolazione mediatico politica sulla riapertura abbiamo detto, ma questo è solo l’ultimo degli artifici, e probabilmente il meno importante. I locali da ballo sono, in primo luogo, la dimostrazione in cemento armato del fallimento del green pass. Il lasciapassare, è bene ricordarlo, era stato presentato come lo strumento salvifico che avrebbe consentito di rientrare in pista in sicurezza. Da oltre un anno a questa parte abbiamo letto montagne di articoli e fiumi di dichiarazioni su dichiarazioni sullo stesso tema: «Grazie alla carta magica riprenderemo a ballare!». E invece niente. Dato che il green pass (nemmeno quello super, chiaramente) garantisce l’abbattimento dei contagi, i locali sono rimasti sprangati. A ogni riunione del Cts o del Consiglio dei ministri si assisteva alla stessa pantomima: «Forse si riapre, magari con capienza ridotta… Ah no, non si può fare».Nel frattempo, specie nei mesi caldi, si è ballato ovunque, soprattutto nei rave illegali, ma pure per le strade e negli appartamenti privati. Solo che la beffa - insultante per migliaia di operatori del settore - è passata quasi inosservata. Il fatto è che le discoteche sono state - e sono ancora - il crogiuolo dei pregiudizi alimentati dalla Cattedrale Sanitaria. Sono state accusate del tutto ingiustamente di avere provocato (nel brevissimo periodo in cui sono state riaperte con varie limitazioni) una nuova ondata di pandemia. Ancora adesso c’è chi ama ripetere la leggenda nera, come fa il consulente di Roberto Speranza, Walter Ricciardi, nel suo ultimo libro.Luoghi di ritrovo per untori o giovinastri irresponsabili, dunque. Ma anche luogo del divertimento, che il puritanesimo medicalizzato dei santoni del virus ha deciso di mettere al bando. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere? «Ci sono i morti e voi pensate a divertirvi!», berciavano indignati opinionisti d’ogni ordine e grado, così la condanna morale si aggiungeva alla pseudo scienza. Ne sanno qualcosa i gestori di tutta Italia, che si sono ripetutamente sentiti dipingere come caricature di Flavio Briatore. «Forse qualcuno pensa che abbiamo tutti lo yacht», dice Gianni Indino. «Invece c’è chi ha dovuto ipotecare la casa per saldare i conti». Finché non si è potuto dare ai no vax la colpa di ogni disastro, le discoteche sono state il capro espiatorio perfetto. Come noto, sin dall’inizio si è affermata una concezione quasi magica della pandemia, una visione premoderna della malattia come colpa, secondo cui il virus colpisce chi è più deprecabile. La superstizione sanitaria, di conseguenza, ha subito identificato i locali da ballo come i ricettacoli del vizio e del peccato: a chi può dispiacere se Sodoma e Gomorra vengono rase al suolo? A nessuna anima bella, di sicuro. E pazienza se i locali - prima che spazi di godimento - sono imprese che creano lavoro e ricchezza.Il risultato è che oggi, dopo oltre due anni, le discoteche sono il grande rimosso, la disfatta più clamorosa che si vorrebbe far finta di non vedere, la presa in giro che si tenta di occultare e sminuire. Sono ancora sbarrate, sì, ma in qualche modo incutono timore, soprattutto ai politici: sono i monumenti in metallo e mattoni al disastro governativo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)