2018-07-05
Chi vende i beveroni non è un evasore
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Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano ha attaccato Juice Plus, multinazionale americana che vende prodotti dietetici tramite un network di distributori italiani. L'accusa è di non pagare le tasse. Ma il nostro ordinamento tributario prevede specifiche deroghe per le organizzazioni piramidali.Questa volta nel mirino di Selvaggia Lucarelli è finita una multinazionale americana che vende e distribuisce prodotti alimentari e dietetici con il sistema del multilevel marketing: la Juice Plus. In un articolo sul Fatto Quotidiano, la Lucarelli ha ventilato, invitando la Guardia di finanza ad indagare, sistematiche evasioni fiscali all'interno del network in quanto i compensi riconosciuti ai distributori sarebbero corrisposti da una società svizzera del gruppo e non verrebbero fatturati. La giornalista, da tempo attiva contro il bullismo in Rete, sostiene che alcuni venditori affiliati al network e organizzati in gruppi, pur di piazzare i loro prodotti, offenderebbero e bullizzerebbero chi è sovrappeso. Inoltre, venderebbero in modo spregiudicato l'illusione di una facile ricchezza, secondo una specie di dottrina di comunicazione basata sull'ostentazione del successo suggerita dall'azienda stessa.Il settore del network marketing a livello mondiale nel 2017 ha sviluppato un giro d'affari di circa 190 miliardi di dollari, con 117 milioni di incaricati alle vendite. In Italia questo mercato l'anno scorso ha impiegato 561.000 incaricati generando un fatturato di 2,9 miliardi di euro. È quindi un settore che ha importanti ricadute economiche. Senza nulla togliere alla meritoria campagna di contrasto al bullismo in Rete, cerchiamo di capire meglio cosa dice la legge italiana. Il network marketing non è vietato, a patto che ci sia qualcosa di sostanziale da vendere: l'articolo 5 della legge 173/2005 proibisce esclusivamente le cosiddette catene di Sant'Antonio, in cui il guadagno scaturisce in modo prevalente o esclusivo dal mero reclutamento di nuovi aderenti alla piramide. La semplice organizzazione piramidale, quindi, non comporta di per sé l'illiceità del sistema. Questo modello di distribuzione si caratterizza per basarsi su una rete di venditori indipendenti che, da un lato guadagnano vendendo direttamente al consumatore finale e dall'altro lato possono costruirsi una rete di distribuzione, con altri venditori indipendenti, sulle cui vendite percepiscono una provvigione.Sul piano fiscale, sono previste varie semplificazioni: sulle provvigioni percepite attraverso la piramide, fino a un reddito imponibile massimo di 5.000 euro l'anno (che corrisponde ad un importo lordo di 6.410,26 euro che include un forfait del 22% deducibile in automatico) l'attività viene considerata come prestazione occasionale e viene tassata attraverso una ritenuta del 23% sull'imponibile (pari al primo scaglione di imposta): somme trattenute direttamente dalla casa madre. Oltre questa soglia, scatta l'obbligo di aprire una partita Iva e il distributore è tenuto a tutti i normali adempimenti: emissione di fattura, registrazione, presentazione della dichiarazione Iva. Il sistema resta comunque semplificato, perché continua a operare il meccanismo di ritenuta da parte della casa madre, rimane ferma l'aliquota del 23%, e non c'è obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi (che sono tassati mediante la ritenuta): lo prevede l'articolare 25 bis del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973. Inoltre, superata questa fatidica soglia, scatta l'obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps e il conseguente obbligo di versamento dei contributi.Con questo tipo di sistema è virtualmente impossibile (o quanto meno è da suicidio) evadere il fisco: tutti i pagamenti sono tracciati per via bancaria e un controllo sui conti bancari (che il fisco può svolgere senza particolari difficoltà) rivelerebbe eventuali omissioni. Il sistema delle ritenute, inoltre, garantisce che il fisco percepisca il dovuto direttamente dalla società, senza dover inseguire i singoli venditori e non è plausibile che, quando il venditore entra nel regime di applicazione dell'Iva, la società che eroga i pagamenti non richieda l'emissione della fattura per poter dedurre i relativi costi. Dunque, un tentativo di evasione fiscale sarebbe poco plausibile e anche molto ingenuo.Nel caso di Juice Plus, il business in Europa è gestito dalla società The Juice Plus+ Company Europe GmbH, con sede a Basilea, e in Italia dalla The Juice Plus+ Company Srl, che fattura circa 74 milioni di euro. A stretta regola, il rapporto tra gli incaricati alla vendita e l'azienda dovrebbe essere instaurato con la società italiana e quindi pagamenti, ritenute e fatture, quindi, verrebbero regolati nel modo descritto. Ma cosa accadrebbe se, come scrive la Lucarelli, i venditori si rapportassero, per esempio, direttamente alla società svizzera? In questo caso vengono meno tutte le semplificazioni previste dalla legge: l'attività del venditore non rientra più nella sfera di applicazione della legge 173/2005. La società estera può legittimamente svolgere attività di distribuzione in Italia senza avere una sua stabile organizzazione o un codice fiscale italiano: sono molte le aziende di network marketing che operano in questo modo. Per i singoli venditori o distributori, però, scattano tutti gli obblighi che gravano ordinariamente su un imprenditore individuale: dovrà aprire la partita Iva, tenere e istituire tutte le scritture contabili, i suoi redditi faranno cumulo con eventuali altri redditi e scatteranno le aliquote crescenti, dovrà presentare la dichiarazione dei redditi, eccetera. Diventa più difficile per il fisco monitorare eventuali evasioni mediante controlli sul soggetto estero, che non ha obblighi fiscali verso l'Italia, ma resta agevole il controllo su ciascun venditore, perché i pagamenti avvengono per via bancaria.Tutto questo, però, resta nella sfera di responsabilità dei singoli affiliati al network a meno che non si provi che esiste una precisa strategia studiata e incoraggiata dall'azienda. Inutile dire che se si riscontrassero simili violazioni l'azienda ne risulterebbe in ogni caso gravemente screditata sul piano dell'immagine. E soprattutto, l'intero settore subirebbe un grave contraccolpo. Come si è detto, questo è un settore con numeri importanti e una campagna di capillare caccia all'evasore che esponga le migliaia di operatori potrebbe spaventare e scoraggiare anche chi svolge questa attività in modo pienamente rispettoso della legge. Insomma, il rischio è che criminalizzando acriticamente il sistema di vendita si butti via insieme all'acqua anche il bambino.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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