2021-03-02
Chi traghetta immigrati fa un mare di soldi
I magistrati ragusani accendono i fari su un'attività che ci era sempre sembrata sospetta: come mai un gruppo di sedicenti soccorritori senza scopo di lucro tira sul prezzo per imbarcare naufraghi? Lo diceva anche Salvatore Buzzi: è un business meglio della droga Quante volte abbiamo scritto che nel via vai di migranti dalle coste africane a quelle italiane c'è un lato oscuro e un vero e proprio business di migliaia di euro? Innumerevoli, così come abbiamo cercato di capire quale fosse la ragione per cui alcune navi sostassero nelle acque mediterranee in attesa di caricare presunti profughi. Ora i nostri dubbi trovano sostegno in un'inchiesta della Procura di Ragusa, che ieri ha disposto perquisizioni a Trieste, Venezia, Palermo, Bologna, Lapedona, Mazara del Vallo, Montedinove e Augusta. Su mandato dei pm, la polizia giudiziaria ha bussato alla porta di soci, dipendenti e amministratori della società proprietaria e armatrice del rimorchiatore Mare Jonio, una delle navi della Mediterranea saving humans, tra le Ong più attive di fronte alla Libia. L'accusa dei magistrati è piuttosto pesante: gli inquirenti, infatti, ipotizzano che la Mare Jonio si sia fatta pagare per soccorrere una trentina di migranti. Tutto risalirebbe all'11 settembre dello scorso anno, dopo che un cargo battente bandiera danese salvò 27 persone. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la Maersk Etienne avrebbe raccolto i profughi 37 giorni prima rispetto alla data dichiarata e qualche giorno prima della metà di settembre li avrebbe ceduti al rimorchiatore della Ong che li avrebbe sbarcati in Italia. La strana operazione sarebbe avvenuta dopo la conclusione di un accordo commerciale tra le società armatrici delle due navi in virtù del quale, per la Procura, «la Mare Jonio ha percepito un'ingente somma come corrispettivo». Insomma, soldi in cambio di migranti: un traffico sulla pelle di decine di disperati, venduti a peso d'oro da una nave all'altra. Le indagini dei pm di Ragusa sarebbero «corroborate da intercettazioni telefoniche, controlli finanziari e riscontri documentali». Altro, dunque, che organizzazioni senza scopo di lucro, mosse dalla volontà di aiutare il prossimo. Il sospetto è che i profughi fossero solo un vero affare. Del resto, non sarebbe una scoperta, visto che nel passato la magistratura romana scoperchiò un business che si alimentava proprio con l'arrivo di extracomunitari da aiutare. Salvatore Buzzi, il re di quell'organizzazione che gli inquirenti ribattezzarono «Mafia capitale», in una conversazione captata dalle microspie disposte dalla magistratura rivelava che i migranti erano meglio della droga, perché rendevano di più. Un affare pulito, senza sporcarsi le mani con il traffico di stupefacenti. Un traffico umano, altro che aiuti umanitari.Dalle indagini della Procura di Ragusa sarebbe emerso che il trasbordo delle persone a bordo della nave danese sarebbe stato effettuato dall'equipaggio della Mare Jonio «senza nessun preventivo raccordo con le autorità maltesi» competenti per quella zona marittima, ma senza nemmeno alcuna autorizzazione della Guardia costiera italiana. Non solo: da quanto emerso, il trasbordo fu giustificato da una situazione d'emergenza di natura sanitaria, che sarebbe stata documentata da un report medico stilato da un gruppo di soccorritori imbarcatosi illegittimamente a bordo della Mare Jonio. Le accuse contestate agli indagati sarebbero di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e di violazione del codice della navigazione. Ma al di là dei reati, ciò che emerge dall'inchiesta è la volontà di portare in Italia il maggior numero di migranti, a qualunque costo, anche aggirando la legge. E non solo per motivi ideologici o umanitari, ma anche per ragioni di semplice interesse. Soldi insomma, come sospettavamo. Naturalmente sarà la magistratura a stabilire chi ha commesso reati, ma la ricostruzione dei fatti fin qui fornita, fa capire quali interessi ci siano in gioco e come dietro all'apparente volontariato ci siano persone che speculano e lucrano sulla tragedia dell'immigrazione. Chi attraversa il mare, spingendosi al largo su imbarcazioni di fortuna messe a disposizione da organizzazioni malavitose, non sempre finisce per essere soccorso da una nave delle Ong: non di rado finisce in fondo al Mediterraneo. Per questo, ancor di più, la vicenda nel mirino dei pm appare disgustosa. Sapevamo che qualche cosa non quadrava nell'ondata migratoria che negli ultimi anni ci ha colpito e avevamo la certezza che alcune strane cooperative avessero fatto affari d'oro. Su quelli messi in atto da alcune Ong invece, avevamo solo dubbi e, come dicevamo, li avevamo manifestati più volte senza che nessuna autorità avesse avuto voglia di metterci il naso. Ci si arriva con molto ritardo, ma basta seguire la traccia dei soldi e molte cose diverranno più chiare.
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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