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2018-07-20
Chi si rivede, è tornata lady Moas e da Twitter spara contro il governo
Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.
Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.
Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio.
E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese.
Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?».
Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».
Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.
Fabio Amendolara
Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero
L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania.
Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio.
Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra.
Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno.
Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica?
Alessandro Rico
Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee»
Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti.
Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco».
Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto.
A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia».
Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente.
Carlo Tarallo
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Regina Catrambone, la facoltosa «salvatrice» di immigrati, aveva spostato le sue navi nel Sudest asiatico per sfuggire ai sospetti di relazioni pericolose con gli scafisti. Ora rompe il silenzio, ovviamente contro Matteo Salvini.Alle Ong non importa se l'Egeo è un cimitero. Da anni al largo delle coste di Turchia e Cipro si susseguono i naufragi, ma i volontari non sembrano accorgersene. Forse ai professionisti dell'accoglienza interessano solamente quelle vittime di cui possono servirsi per incolpare Salvini.Giuseppe Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee». Al Comitato politico e di sicurezza del Consiglio Ue il governo tiene duro sugli attracchi di chi soccorre i naufraghi. L'asse con Austria e Germania intanto si rafforza: la priorità sono i confini del nostro Paese.Lo speciale contiene tre articoli.Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio. E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese. Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?». Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alle-ong-non-importa-se-legeo-e-un-cimitero" data-post-id="2588204369" data-published-at="1766943302" data-use-pagination="False"> Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania. Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio. Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra. Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno. Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica? Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="conte-non-molla-sul-piano-sophia-porti-chiusi-alle-navi-europee" data-post-id="2588204369" data-published-at="1766943302" data-use-pagination="False"> Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee» Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti. Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco». Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto. A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia». Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente. Carlo Tarallo
Massimo Giannini (Ansa)
Se a destra la manifestazione dell’indipendenza di pensiero ha prodotto sconcerto e un filo d’irritazione, a sinistra ha causato brividi di sconcerto e profondo stupore. Particolarmente emozionato Massimo Giannini di Repubblica, il quale ha intuito di aver assistito a qualcosa di importante ma non ha capito bene di che si tratti. Il noto editorialista ieri ha pensato di parassitare il pensiero di Veneziani e di aggrapparsi ai commenti di altre voci libere come Mario Giordano, Franco Cardini e Giordano Bruno Guerri per sputare un po' di veleno sul governo. «Se rimettiamo insieme le parole e le opere della premier e della sua milizia», ha scritto Giannini, «qual è la svolta culturale che segna il cambio d’epoca? La Ducia Maior: qualche frasetta sciolta di Roger Scruton in Parlamento, qualche citazione a caso di Thomas Eliot al meeting di Rimini. I gerarchi minori: qualche intemerata su Peppa Pig da Mollicone, qualche pièce teatrale di Mellone. Per il resto, fuffa ideologica e poltronificio».
Liquidati i nemici politici, Giannini si è messo a parlare della sinistra, e lo ha fatto secondo il più classico copione della rampogna progressista. Funziona così: prima si ribadisce l’inevitabile superiorità morale, poi si finge di avanzare una critica per dimostrare d’essere fedelissimi ma pure un po' pensosi. «Nonostante le disfatte elettorali, la rive gauche è ancora popolata di scrittori e attori, registi e opinionisti», dice Giannini. «Ma con due differenze fondamentali rispetto all’altra sponda. La prima è che nessuno li alleva: non c’è più il Pci di Berlinguer, che organizzava gli stati generali della cultura convocando intellettuali di ogni ordine e grado. La seconda è che nessuno li criminalizza: se di qua sono di casa la critica distruttiva al Pd e la satira abrasiva sul campo largo, di là non capita mai nulla di simile».
A ben vedere, sono false entrambe le affermazioni. Vero che non esiste più il Pci con la sua cultura d’apparato, ma è vero pure che a intrupparsi i creativi sinistrorsi ci pensano da soli, seguendo alla lettera le indicazioni di un comitato centrale evanescente ma sempre autoritario che si è incistato nei loro cervelli: fedeli alla linea anche quando la linea non c’è. E infatti non appena qualcuno esce dal seminato, subito i rimasugli del progressismo intellettuale lo crocifiggono in sala mensa. Che si tratti di Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Carlo Rovelli, Lucio Caracciolo, Angelo D’Orsi, Luca Ricolfi o altri venerati maestri, poco importa: chi tradisce la paga cara, e solo dopo appropriata quarantena può tornare a dirsi presentabile.
Ed è esattamente qui che sta il punto. Giannini e gli altri del suo giro non hanno i galloni per fare la morale a chicchessia. S’attaccano alla stoffa altrui - quella di Veneziani nello specifico - perché difettano della propria. Se la destra non ha brillato per originalità, la sinistra in questi anni si è risvegliata dal coma soltanto per chiedere la censura di questo o quell’altro, per infangare e demonizzare, per appiccare roghi e costruire gogne. Infamie di cui hanno fatto le spese autori di ogni orientamento: di destra, soprattutto, ma pure di sinistra, se indipendenti e intellettualmente onesti.
Giannini resta comprensibilmente ammirato dalla tempra dei Veneziani, dei Cardini e dei Giordano perché dalle sue parti non esiste, e se esiste è avversata con ferocia (altro che le sfuriate infantili viste a destra negli ultimi giorni). E infatti l’editorialista di Repubblica che fa? Prende le parti del nemico solo nella misura in cui sono utili alla sua causa. Non celebra l’onestà e il piglio avventuroso: li perverte per metterli - per altro senza riuscirci - al servizio della sua ortodossia. Sfrutta l’indipendenza altrui per ribadire la propria servitù.
Tutto ciò sarebbe decisamente poco interessante se non donasse una lezione anche alla destra, ai patrioti e ai conservatori o sedicenti tali. Il problema, per usare un nannimorettismo oggi di moda, non è Giannini in sé, ma Giannini in noi. Tradotto: per imporre l’egemonia soffocando la libertà basta e avanza Repubblica. E se il carro dei vincitori somiglia a quello dei perdenti, tanto vale perdere, almeno ci si risparmia la spocchia.
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Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il professor Lorenzo Castellani, ricercatore e docente di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss di Roma, nonché autore di Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere (2024), su X sintetizza così: «Checco Zalone ha spianato i petulanti stand up comedian (quasi tutti «impegnati» a sinistra); Corona sfida i media tradizionali con un linguaggio da uomo qualunque e fa decine di milioni di visualizzazioni; la Zanzara riempie i teatri ed è la trasmissione più ascoltata del Paese. Si è detto per anni che la sinistra sia egemone nell’alta cultura (vero, diciamo, all’80%), ma la «non-sinistra» (non la chiamerei semplicemente destra) ha interamente in mano la cultura e il linguaggio popolare».
Professor Castellani, quindi vorrebbe dirci che la cultura non è più solo ad appannaggio della sinistra?
«Se guardiamo alle istituzioni della cultura ovvero ai luoghi ufficiali della stessa è sempre la sinistra a primeggiare. Ma se guardiamo alla cultura in senso ampio, allora cambia tutto. L’alta cultura è predominante nelle istituzioni ufficiali della sinistra ma in altri ambiti l’ideologia di sinistra viene sconfitta da altre manifestazioni culturali che incontrano di più i gusti del Paese».
Si riferisce a Zalone?
«Certo, anche. Zalone è sempre stato apolitico, non ha mai ceduto al politicamente corretto. Fa un cinema che fa riflettere e non vuole indottrinare nessuno, non fa moralismi a senso unico come capita ad altri tipi di comicità di sinistra».
Sanremo è di destra o di sinistra? A volte legare la politica a certe forme di spettacolo non fa scadere nel ridicolo?
«Anche a Sanremo non c’è più una forma di piena differenziazione tra alta cultura e cultura nazionale popolare. A me piace parlare di cultura in senso ampio, non solo di alta cultura, la “Kultur alla tedesca”, che permea nel popolo e permette riflessioni ampie».
Di che tipo?
«Sembra sempre ci sia questa contrapposizione tra il mondo dell’alta cultura, cinema, teatri, fondazioni, fiere del libro, case editrici, think tank nelle università, dove c’è oggettivamente sempre il predominio della sinistra, del mondo progressista, nelle sue varie sfaccettature, e grandi fenomeni di cultura di massa dove prevale l’esatto contrario rispetto all’etica progressista e a quell’atteggiamento pedagogico-educativo e moralistico che il mondo di sinistra tende ad avere nei confronti del popolo. L’idea di fondo della sinistra è stata sempre quella che bisogna civilizzare gli italiani e portarli con la mano come bimbi verso comportamenti più virtuosi».
Ma oggi non è più così. Ci sono vari altri casi giusto?
«Esatto, abbiamo un Fabrizio Corona che su YouTube, con un linguaggio molto politicamente scorretto, attacca il potere in tutte le sue forme e ha un successo enorme. Lo fa in maniera qualunquistica ma è questo che piace alla gente. Si occupa di questioni di cultura di massa, fenomeni che riguardano il crime, il trash, che non rientrano certamente nell’alta cultura ma che creano fenomeni di massa che hanno più visibilità e rilevanza di certi argomenti che trattano tv o giornali».
E non è il solo.
«La Zanzara, che adesso riempie anche i teatri e che offre un interessante esperimento sociale. Cruciani e Parenzo sostengono tutto il contrario del catechismo del politicamente corretto, sicuramente molto al di fuori dei perimetri della cultura ufficiale di sinistra. Ma per questo funziona ed è un fenomeno molto partecipato».
Anche dalla sinistra stessa presumo.
«Certo. Io ci sono andato ed è pieno di studenti della mia università, dirigenti d’azienda, professori, è un fenomeno trasversale che ha conquistato pezzi della classe dirigente».
Insomma, la presunta alta cultura della sinistra è in crisi perché risulta noiosa al grande pubblico?
«Sicuramente la cultura in senso ampio arriva di più alla gente».
Un po’ come in politica?
«Certi politici usano linguaggi più semplici e diretti e vengono capiti più facilmente. È quello che succedeva a Grillo e oggi alla Meloni. Ci sono fenomeni di massa che vengono seguiti da milioni persone e che rigettano l’idea che ci sia una rigida morale comportamentale linguistica da seguire che invece appartiene alla sinistra».
Anche nella musica?
«Certo, le canzoni che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelle vicine al genere trap, che parlano di consumismo, esaltano il machismo, usano linguaggi volgari e una completa assenza di morale, nulla a che fare con il mondo progressista. Però quelle canzoni arrivano e funzionano. Tanto è vero che anche Sorrentino nel suo ultimo film ha dato un ruolo centrale a Gue Pequeno e alle sue canzoni che fa cantare anche a Servillo».
Quindi la cultura appartenuta da sempre alla sinistra è in caduta perché non arriva più alla gente comune?
«Non credo che la destra debba sfidare la sinistra sull’alta cultura. Però penso che siano in atto nella cultura popolare di massa delle forme di anti-progressismo e anarchismo, dei movimenti spontanei che sono in contrasto con l’alta cultura principalmente di sinistra e che vengono maggiormente capiti dalla gente e da qui il loro enorme successo. C’è questo contrasto tra cultura ufficiale e quella di massa nazional popolare; due mondi che sembrano non parlarsi.
Per la sinistra è come un boomerang?
«In effetti il tentativo di indottrinare della sinistra ha prodotto una reazione ancor più forte nella destra. Più la sinistra ha cercato di catechizzare la gente, più questi fenomeni sono cresciuti. La regola di doversi comportare in un certo modo, oggi è più fallita che mai».
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Ignazio La Russa (Ansa)
È appena il caso di ricordare che La Russa nel 1971, ovvero la bellezza di 54 anni fa, era già responsabile a Milano del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno», dice La Russa nel video, «la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini, che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l'Italia fascista, non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire. Accettarono il sistema democratico e fondarono un partito, il Movimento sociale italiano, che guardava al futuro. I fondatori ebbero come parola d'ordine un motto che posso riassumere brevemente: dissero non rinnegare, cioè non rinnegavano il loro passato, ma anche non restaurare, cioè non tornare indietro. Non volevano ripetere quello che era stato, volevano un'Italia che marciasse verso il futuro».
«Quello che è importante ricordare oggi», aggiunge ancora La Russa, «è che allora, 26 dicembre 1946, scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso. Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella di ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Un modo come un altro per far felici gli elettori di Fdi che sono rimasti fedeli al partito da sempre, e che magari non si ritrovano pienamente nel nuovo corso della destra italiana, soprattutto in politica estera, ma anche su alcuni aspetti della strategia economica e sociale del governo. Per garantire una buona presenza sui media del messaggio nostalgico di La Russa, occorreva però qualche attacco da sinistra, che è subito caduta nella trappola: «Assurdo. Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa», attacca il deputato del Pd Stefano Vaccari, «rivendica la nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano. Addirittura il senatore La Russa parla di continuità di quella storia evocando la fiamma tricolore, simbolo ben evidente nel logo di Fratelli d'Italia, il suo partito. Sapevamo delle difficoltà del presidente La Russa a fare i conti con il suo passato, visti i busti di Mussolini ben visibili nella sua casa, ma che arrivasse ad una sfrontatezza simile non era immaginabile». Sulla stessa lunghezza d’onda altri parlamentari dem come Federico Fornaro, Irene Manzi e Andrea De Maria, il deputato di Avs Filiberto Zaratti. Missione compiuta: La Russa è riuscito nel suo intento di riscaldare (con la fiamma) il cuore dei vecchi militanti missini, e di trascinare la sinistra nell’ennesima polemica completamente a vuoto.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
Non hanno alternative Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, se non quella di passare al contrattacco visto che, giorno dopo giorno, sembrano scivolare sempre di più nella morsa dei giudici, dei periti e degli operatori della salute mentale. Oltre alle valutazioni sui minori da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare eventuali carenze, sono sotto esame le «capacità genitoriali» dei coniugi ma anche le loro propensioni «negoziali», troppo limitate secondo i servizi, e persino la loro personalità ritenuta «troppo rigida».
Non solo. Sebbene la famiglia abbia detto sì alle richieste del tribunale per spostarsi in una casa più adeguata, completare i cicli vaccinali, ricevere una maestra a domicilio per il percorso di home schooling, cercando dunque una mediazione tra la propria filosofia educativa e le richieste dello Stato, gli sforzi non sono bastati. E l’asticella è salita sempre più in alto. Quindi non rimane che provare a smontare le accuse. E così, dopo che lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza, il giorno prima di Natale, i legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno deciso di controbattere ad alcuni dei punti dirimenti per i giudici.
Uno su tutti il rifiuto del sondino naso-gastrico nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale nel settembre 2024, verosimilmente per via del materiale plastico. Un episodio significativo per i giudici in quanto «denoterebbe l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali». Per tutta risposta, gli avvocati hanno allegato alcune foto dei bambini mentre mangiano un gelato utilizzando cucchiaini di plastica, dunque smentendo l’iniziale resistenza da parte della madre nei confronti di certi oggetti. In altre immagini i piccoli giocano nel centro commerciale e sono al parco in compagnia di alcuni coetanei. Anche qui scene di «normalità» per smontare il ritratto apposto dai giudici alla famiglia, descritta come un gruppo di eremiti avulsi dai contesti sociali.
In un altro scatto si lavano le mani nel bagno di un locale pubblico. L’ennesima immagine che sconfesserebbe il teorema dei servizi secondo cui i piccoli Trevallion avrebbero paura della doccia e rifiuterebbero di lavarsi.
Nell’istanza i legali rispondono anche alle accuse rivolte contro la madre australiana, descritta come incline allo scontro con gli operatori. Secondo i legali, alla base del giudizio negativo dei servizi sociali vi sarebbe frizioni con l’assistente sociale che avrebbe interpretato come oppositivi alcuni suoi comportamenti. In particolare l’abitudine di svegliare i bambini la mattina prima dell’orario prestabilito. Un’accusa respinta con forza dalla madre che dice di passare solo a controllarli. Qualora dormano, spiega, si reca in cucina per preparare il porridge, per restituire ai figli un’atmosfera di casa. A quanto pare, peraltro, il più delle volte i fratellini sono già svegli perché non dormono bene.
Come rivelato da Il Centro, in alcuni messaggi inviati agli amici, la madre si dice preoccupata perché hanno delle ferite alle mani, in particolare la più grande. «Si mordono di continuo, è segno di un’ansia profonda», scrive.
Nel frattempo, in vista dei test psicologici, i legali hanno nominato come consulenti di parte la psicologa Martina Aiello e lo psichiatra Tonino Cantelmi, cattolico militante e professore associato all’Università Gregoriana che nel 2020 era stato individuato da papa Francesco come «membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale». Per il suo curriculum, oltre a sostenere la coppia nelle valutazioni psicologiche disposte dal tribunale, potrebbe accompagnarla nell’assunzione di una posizione meno radicale. Per i test, però, ci vorranno almeno 120 giorni. Altri quattro mesi in cui i piccoli dovranno stare nella casa famiglia.
Uno scenario di fronte al quale uno dei commenti più duri arriva dal vicepremier Matteo Salvini: «Non avrò pace fino a che non troveremo il modo legale di riportare a casa quei bimbi. Oggi 16.000 famiglie italiane hanno scelto l’home-schooling, che facciamo, li portiamo via tutti perché qualcuno ritiene che i bambini siano dello Stato? È orribile e sovietico. Non socializzavano o potevano diventare dei bulli? Chi dice queste cose vada sulle metro o in certe periferie e faccia due chiacchiere con i tredicenni armati di coltello che fanno stupri di gruppo: magari hanno avuto tanta socialità, però non hanno mai incontrato un assistente sociale».
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