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2018-07-20
Chi si rivede, è tornata lady Moas e da Twitter spara contro il governo
Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.
Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.
Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio.
E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese.
Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?».
Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».
Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.
Fabio Amendolara
Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero
L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania.
Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio.
Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra.
Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno.
Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica?
Alessandro Rico
Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee»
Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti.
Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco».
Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto.
A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia».
Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente.
Carlo Tarallo
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Regina Catrambone, la facoltosa «salvatrice» di immigrati, aveva spostato le sue navi nel Sudest asiatico per sfuggire ai sospetti di relazioni pericolose con gli scafisti. Ora rompe il silenzio, ovviamente contro Matteo Salvini.Alle Ong non importa se l'Egeo è un cimitero. Da anni al largo delle coste di Turchia e Cipro si susseguono i naufragi, ma i volontari non sembrano accorgersene. Forse ai professionisti dell'accoglienza interessano solamente quelle vittime di cui possono servirsi per incolpare Salvini.Giuseppe Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee». Al Comitato politico e di sicurezza del Consiglio Ue il governo tiene duro sugli attracchi di chi soccorre i naufraghi. L'asse con Austria e Germania intanto si rafforza: la priorità sono i confini del nostro Paese.Lo speciale contiene tre articoli.Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio. E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese. Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?». Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alle-ong-non-importa-se-legeo-e-un-cimitero" data-post-id="2588204369" data-published-at="1766740107" data-use-pagination="False"> Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania. Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio. Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra. Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno. Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica? Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="conte-non-molla-sul-piano-sophia-porti-chiusi-alle-navi-europee" data-post-id="2588204369" data-published-at="1766740107" data-use-pagination="False"> Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee» Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti. Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco». Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto. A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia». Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente. Carlo Tarallo
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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Vincent Van Gogh, Campi di grano con falciatore, Auvers, 1890.Toledo Museum of Art, acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey
Figura che ama stupire, questa volta Goldin ha ideato un’esposizione che « va cronologicamente a ritroso »: parte dall'astrazione americana del secondo Novecento (con artisti come Richard Diebenkorn, Morris Louis e Helen Frankenthaler), prosegue con l'astrazione europea ( rappresentata da opere di Piet Mondrian, Paul Klee e Ben Nicholson) e si conclude con il passaggio dal Novecento all’Ottocento, con focus su natura morta, ritratto e paesaggio. Tre temi fondamentali, pur nelle loro molteplici declinazioni, rappresentati, in mostra, dalle sfumature poetiche delle nature morte di Giorgio Morandi e Georges Braque e dai ritratti e dalle figure di Matisse, Bonnard e Vuillard, sino ad arrivare a De Chirico e Modigliani (di grande intensità il ritratto di Paul Guillaume del 1815) e alla famosa Donna con cappello nero, uno splendido Picasso cubista del 1909. Davvero straordinaria anche la parte (l’ultima di questo originale percorso al contrario…) dedicata al paesaggio, che regala al visitatore le meravigliose visioni veneziane di Paul Signac, la Parigi di Robert Delaunay e Fernand Léger e una strepitosa sequenza di paesaggi impressionisti e post-impressionisti, tra cui spiccano una delle ultime versioni (forse la più bella… ) delle Ninfee di Monet, accanto a capolavori assoluti di Gauguin, Cezanne, Caillebotte, Renoir e Sisley, a Treviso con il suo celebre L’acquedotto a Marly, realizzato nello stesso anno della prima mostra impressionista, il 1874. A chiudere questo anomalo e ricchissimo percorso espositivo, l’artista più amato e studiato da Goldin: Vincent Van Gogh.
Solitario, a dominare su tutto, quasi a congedare il pubblico, quel capolavoro che è Campo di grano con falciatore ad Auvers del 1890, l’opera con cui l’artista olandese dice addio alla vita e che rappresenta con largo anticipo l’arte futura, quella modernità già raggiunta da Van Gogh nell’incomprensione quasi totale del suo tempo… E sempre a lui, inarrivabile e tormentato genio pittorico , è dedicato film scritto e diretto da Goldin Gli ultimi giorni di Van Gogh, proiettato a ciclo continuo nella sala ipogea del museo trevigiano. Con questa poetica proiezione si conclude il percorso espositivo, che splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art dell’Ohio, il quotatissimo museo americano (nominato nel 2025 il miglior museo degli Stati Uniti) che ha reso possibile questa prestigiosa esposizione, che da sola merita almeno un giorno a Treviso…
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