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2018-07-20
Chi si rivede, è tornata lady Moas e da Twitter spara contro il governo
Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.
Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.
Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio.
E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese.
Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?».
Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».
Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.
Fabio Amendolara
Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero
L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania.
Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio.
Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra.
Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno.
Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica?
Alessandro Rico
Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee»
Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti.
Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco».
Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto.
A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia».
Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente.
Carlo Tarallo
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Regina Catrambone, la facoltosa «salvatrice» di immigrati, aveva spostato le sue navi nel Sudest asiatico per sfuggire ai sospetti di relazioni pericolose con gli scafisti. Ora rompe il silenzio, ovviamente contro Matteo Salvini.Alle Ong non importa se l'Egeo è un cimitero. Da anni al largo delle coste di Turchia e Cipro si susseguono i naufragi, ma i volontari non sembrano accorgersene. Forse ai professionisti dell'accoglienza interessano solamente quelle vittime di cui possono servirsi per incolpare Salvini.Giuseppe Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee». Al Comitato politico e di sicurezza del Consiglio Ue il governo tiene duro sugli attracchi di chi soccorre i naufraghi. L'asse con Austria e Germania intanto si rafforza: la priorità sono i confini del nostro Paese.Lo speciale contiene tre articoli.Ha ripreso a twittare Regina Egle Liotta Catrambone: un po' megafono delle altre Ong, un po' sputa sentenze su porti sicuri o non sicuri e un po' sostenitrice della vulgata che affibbia ai libici tutte le responsabilità per la morte in mare di una donna e di un bambino durante il naufragio dell'altro giorno.Qualche salmo e qualche aforisma per chi ha orecchie per intendere. E foto di soccorsi per far leva sul buonismo con tanto di hashtag mirati per farsi trovare anche da chi sul social proprio non la cercava. Fino al 13 luglio il suo uccellino blu era rimasto quasi in silenzio. Da quando la Moas (Ong da lei fondata con il marito) ha ritirato la sua flotta per il recupero di clandestini dal Mediterraneo (ossia le due unità mobili di ricerca e salvataggio, la Phoenix e la Topaz responder, alcuni gommoni Rhib e una manciata di droni da ricognizione), con la scusa ufficiale di volersi spostare nel Sudest asiatico per soccorrere una minoranza musulmana, il profilo Twitter di Regina (4.000 follower ai quali ha twittato oltre 8.000 volte) aveva chiuso il becco.Lady Catrambone per quasi un anno è stata impegnata insieme a suo marito Chris - uomo d'affari statunitense che la ragazza nata a Reggio Calabria ha sposato quando era ancora un assicuratore - a respingere al mittente accuse e sospetti su non meglio precisati contatti con le organizzazioni di trafficanti di uomini. Erano i giorni delle denunce di Frontex, che accusava le Ong di tirare a bordo i migranti non in acque internazionali ma in mare libico e di accendere potenti fari per attirare di notte i gommoni degli scafisti. Le attività della Moas, poi, erano finite anche sotto la lente della Procura di Catania, che stava cercando di capire in che modo le Ong riuscissero a ottenere così tanti fondi da potersi permettere costosissime navi, droni di ultima generazione e tecnologiche attrezzature per il salvataggio. E a rendere ancora più complicata la vicenda per i Catrambone ci aveva pensato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, parlando della Moas nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati. Poco dopo l'Espresso diede notizia di una rogatoria partita proprio dalla Procura di Catania, che pare mirasse a ottenere informazioni dalle autorità di Malta, dove ha sede la Moas, su alcune società coinvolte in traffici di contrabbando petrolifero che in qualche modo i magistrati sospettavano si incastrassero con i salvataggi in mare delle Ong. Non se ne seppe più nulla. Si seppe invece che la Moas riceveva finanziamenti da enti riconducibili al milionario George Soros, l'uomo che per molti è solo un imprenditore e filantropo ma che, a sentire l'ala conservatrice americana o i partiti sovranisti europei, sarebbe uno dei burattinai di ogni grande evento mondiale, guerre comprese. Poi è scoppiata la lite tra benefattori, con Gino Strada che svela in tv lo sfratto di Emergency dalla Moas: i Catrambone chiedevano 230.000 euro al mese a Emergency per poter stare sulla loro nave, finché la Croce rossa non gliene ha offerti quasi il doppio: 400.000 euro. E Regina il giorno dopo twittò: «Se fossimo noi in pericolo, non vorremmo che qualcuno ci salvasse? La vera emergenza è il disastro umanitario che abbiamo consentito. Perché solo a parole si difende l'obbligo di salvare vite in mare?». Il giornalista Toni Capuozzo con un tweet rintuzzò lady Catrambone: «Silenzio sulle parole amare con cui Gino Strada ha raccontato dei soldi pretesi dalla Ong maltese Moas. Avendo sollevato dubbi sul loro operato molto molto tempo fa mi chiedo cosa provi il coro giornalistico che aveva cantato le lodi della benefattrice Regina Catrambone». Lei rispose, sperando forse, senza successo, di esporre il post di Capuozzo agli strali dei suoi follower. Poi, per ricordare a tutti che la passione per i salvataggi le è nata dopo le parole di papa Francesco che invitava ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, lancia due post con le dichiarazioni dei vescovi di Noto e di Gozo (Malta) che invitavano a non rimanere in silenzio dopo le ultime tragedie in mare. E per concludere, rilancia il tweet del 17 luglio di Roberto Saviano, oggetto di querela perché lo scrittore dava ancora una volta del «ministro della Mala Vita» a Matteo Salvini, accusandolo di provare piacere nel vedere bambini morti in mare. Lady Catrambone quel tweet lo ha sostenuto così: «Non si può rimanere in silenzio quando le persone migranti muoiono». Nell'ultimo post pontifica: «Rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia. La comune preoccupazione di 110 presbiteri per l'aumento, in Italia come in Europa, di una cultura così tanto marcata da tali fenomeni».Regina ora alza la voce. Ma resta da chiarire perché pur avendo sede a Malta, la Moas, nel cui consiglio d'amministrazione al momento della fondazione siedeva tale Martin Xuereb, ex capo delle forze armate maltesi considerato la bestia nera nel contrasto all'immigrazione clandestina, preferiva in via quasi esclusiva i porti italiani.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alle-ong-non-importa-se-legeo-e-un-cimitero" data-post-id="2588204369" data-published-at="1765640899" data-use-pagination="False"> Alle Ong non importa se l’Egeo è un cimitero L'ultima tragedia è dell'altro ieri: un barcone con a bordo 160 migranti provenienti dalla Siria è affondato al largo della costa nordorientale di Cipro, in una zona che però è controllata dalle autorità di Ankara. Secondo i media turchi sarebbero morte 19 persone, mentre 25 sarebbero i dispersi. Nei mari che bagnano Cipro e la Turchia si susseguono da anni episodi come questo. Le Ong, tuttavia, non sembrano avere granché da ridire: nessuno accusa la Guardia costiera cipriota o quella turca di comportarsi in modo disumano; nessuno, tra quelli che considera il governo di Roma un fiancheggiatore dei presunti stragisti libici, se la prende con l'accordo in virtù del quale l'Unione europea (contribuenti italiani inclusi) ha versato 3 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, affinché bloccasse la rotta balcanica, a uso e consumo della Germania. Certo, nella narrazione mediatica del fenomeno migratorio almeno un'immagine proveniente dalla Turchia ha fatto scalpore. Si trattava della foto del piccolo Aylan, con il corpo riverso sulla battigia, morto per annegamento dopo che il suo gommone, salpato da Bodrum e diretto nell'isola greca di Kos, si era ribaltato. Erano i primi di settembre del 2015, ma nemmeno quella vicenda costò la reputazione ai capi di Stato europei o al «sultano» di Ankara. Bastò che Angela Merkel lasciasse entrare qualche altra manciata di immigrati, bastarono gli atti di contrizione dei leader occidentali, perché l'opinione pubblica archiviasse quell'episodio. Le acque dell'Egeo sono state teatro di molti naufragi. Basti qui ricordare gli incidenti più gravi. Due settimane dopo la morte di Aylan, affondò un altro barcone tra la Turchia e la Grecia: morirono 24 persone, tra cui quattro bambini. Nella settimana precedente al Natale del 2015 si verificarono due stragi: prima annegarono dieci persone, tra cui cinque minori; pochi giorni dopo, al largo della costa turca centro-occidentale, a morire furono altri otto migranti, sei dei quali erano bambini. A metà gennaio 2016 toccò a quattro afgani (due neonati, un bimbo e una donna) che stavano cercando di raggiungere Lesbo dalla località turca di Ayvacik. Più recente è un altro naufragio con vittime giovanissime: cinque bambini affogati al largo di Cesme alla fine di luglio del 2017. A febbraio 2018 si era ribaltato un gommone sul fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, con a bordo due bimbi e un'insegnante trentasettenne di nazionalità turca, perseguitata politica a cause delle «purghe» seguite al fallito colpo di Stato dell'estate 2016. Lo scorso maggio l'Egeo ha inghiottito ancora sette persone, tra cui tre minori. Nessuna organizzazione non governativa si è stracciata le vesti, nessun maître à penser ha dispensato sentenze nei confronti degli esponenti politici dei Paesi coinvolti. Ma il mese successivo, quando il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini aveva iniziato il braccio di ferro con i «tassisti del mare» sulla chiusura dei porti, l'annegamento di nove persone davanti alle coste della Turchia, avvenuto nelle stesse ore in cui altri 47 migranti morivano al largo della Tunisia, è diventato il pretesto per tacciare di disumanità il titolare del Viminale. Come se fosse stato lui, con qualche potere telepatico, ad affondare barconi che da anni si trasformano spesso nella tomba di tanti disperati. La cui morte, evidentemente, può essere sfruttata mediaticamente per scopi differenti, a seconda delle necessità: se non c'è un politico da bersagliare, i malcapitati servono soltanto a puntellare le tesi globaliste di chi vorrebbe far sparire i confini tra le nazioni; se invece bisogna screditare un ministro che si oppone all'immigrazione incontrollata, i poveretti vengono dipinti come vittime di un cuore di pietra. Sin dallo scontro di qualche settimana fa sull'attracco in Italia della nave che poi è stata scortata dai nostri militari nel porto di Valencia, le Ong hanno dato l'impressione di preoccuparsi in primo luogo di fare propaganda sulle pelle dei disperati. Il nostro Paese, in quella circostanza, aveva concesso il permesso di sbarcare le persone bisognose di cure, le donne e i bambini. Esattamente come questo mercoledì con la donna camerunense salvata nel Mediterraneo da Open Arms. In entrambi i casi, i volontari hanno però declinato l'offerta. E vista la voracità con cui si sono fiondate sui cadaveri ripescati in mare, è sembrato che le Ong non aspettassero altro che ci scappasse un altro morto, per poi poter puntare il dito sulla Guardia costiera di Tripoli e, ovviamente, sul suo «complice», Salvini. Forse per i generosi soccorritori esistono naufraghi di serie A e di serie B: quelli annegati dopo gli accordi con Erdogan non sono politicamente spendibili come quelli che possono essere impiegati nella crociata contro l'affidamento della Sar alla Libia e, soprattutto, contro il ministro leghista. Eppure all'Italia è stato più volte riconosciuto, come ammise il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, di aver «salvato l'onore» dell'Europa. Il nostro Paese ha affiancato i libici addestrandone il personale e fornendo mezzi alla loro Guardia costiera. Non si è certo voltato dall'altra parte né ha usato i soldi dei cittadini europei per comprare la collaborazione di un capo di Stato unanimemente considerato un tiranno. Non sarà mica che certi campioni dell'umanitarismo, in realtà, strumentalizzano l'umanità per fare politica? Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-rivede-e-tornata-lady-moas-e-da-twitter-spara-contro-il-governo-2588204369.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="conte-non-molla-sul-piano-sophia-porti-chiusi-alle-navi-europee" data-post-id="2588204369" data-published-at="1765640899" data-use-pagination="False"> Conte non molla sul piano Sophia: «Porti chiusi alle navi europee» Ogni volta che i media e i politici della sinistrata sinistra italiana ripetono frasi del tipo «l'Italia è isolata in Europa» potete stare certi che l'Italia è tutt'altro che isolata in Europa. La strategia dell'opposizione al governo Lega-M5s, infatti, si basa sul sistematico capovolgimento della realtà. Del presunto «isolamento» italiano, in queste ore, farneticano infatti tanti esponenti dell'opposizione (Roberto Saviano invece incassa la querela di Salvini e rilancia la sfida con un nuovo tweet in cui lo definisce nuovamente «ministro della Mala Vita»). La realtà, invece, è ben diversa. I colloqui tra il nostro governo, quello tedesco e quello austriaco proseguono a ritmo serrato e stanno producendo effetti di estrema rilevanza sul fronte dell'immigrazione. Fonti del Viminale, ieri, hanno spiegato alla Verità che sulla questione dei movimenti primari e secondari il dialogo con Germania e Austria sta facendo passi avanti. Il tema dei «movimenti secondari», ovvero gli spostamenti degli immigrati tra i vari Stati dell'Ue, caro al ministro dell'Interno tedesco, il «falco» bavarese Horst Seehofer, ad esempio, verrà affrontato, ma solo dopo che verranno prese misure efficaci e concrete, come chiede l'Italia, sui «movimenti primari», vale a dire gli ingressi degli immigrati in Europa. Seehofer chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro Paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo Stato di «primo approdo». Bene: il tema sarà oggetto della trattativa, ma solo e soltanto quando saranno stati drasticamente ridotti i «movimenti primari», che per l'Italia, nazione di primo sbarco, sono la priorità assoluta. Su questo punto, sottolineano dal Viminale, la linea del governo italiano non solo non è cambiata di una virgola, ma è condivisa anche da Germania e Austria. Due nazioni che hanno un ruolo fondamentale nella politica dell'Ue: l'Austria ha appena iniziato il suo semestre di presidenza del Consiglio europeo, la Germania è uno dei pilastri della stessa Unione. A questo proposito ieri mattina al Viminale Salvini ha incontrato il presidente del gruppo della Csu nel Bundestag, Alexander Dobrindt, che ha condiviso l'esigenza di incrementare i fondi messi a disposizione dell'Europa per aiutare i Paesi africani e di fornire un supporto al governo libico. Secondo Salvini «fermare gli sbarchi è l'unico modo per risolvere la questione dei cosiddetti dublinanti, tema sollevato dal collega tedesco». Dunque, altro che isolamento: l'Italia procede spedita sul percorso tracciato dal vicepremier leghista e può contare su alleati determinati e leali. Non è un caso che l'Europa si sta impegnando su una serie di argomenti che fino ad ora non erano mai stati neanche presi in considerazione: il rafforzamento della frontiera Sud del continente, vale a dire il Mediterraneo; lo stanziamento di fondi consistenti per lo sviluppo dei Paesi africani; la stabilizzazione della Libia evitando che le strategie europee su Tripoli siano imposte dalla Francia; il supporto finanziario europeo alla stabilizzazione delle frontiere a Sud della Libia. Ovvio che, una volta che gli obiettivi indicati dall'Italia saranno stati raggiunti, si potrà discutere di tutto il resto. A proposito di «Italia isolata»: ieri la sinistra, più sinistrata che mai, ha cavalcato un altro presunto «isolamento» italiano, quello relativo a Eunavfor Med Sophia, la missione militare dell'Unione europea per lottare contro i trafficanti di esseri umani al largo della Libia, guidata dall'ammiraglio italiano Enrico Credendino. L'Italia, come annunciato dal premier Giuseppe Conte, ha chiesto ufficialmente di modificare la missione Sophia, che prevede l'attracco nel nostro Paese delle navi europee che soccorrono i naufraghi. Il nostro governo ha chiesto di mettere nero su bianco che l'Italia non sia più un luogo esclusivo di sbarco: la richiesta è stata presentata l'altro ieri al Comitato politico e di sicurezza (Cops) a Bruxelles dall'ambasciatore Luca Franchetti Pardo, che ha annunciato che l'Italia non applicherà più le vecchie regole che prevedono che tutti gli sbarchi avvengano in Italia. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha inviato all'Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, una lettera in cui viene sottolineato che «da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Eunavformed Sophia, che individuano esclusivamente l'Italia come luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità». In una lettera al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha chiesto «una cabina di regia europea per gli sbarchi». «Le conseguenze dell'annuncio italiano sul piano Sophia», ha detto ieri una portavoce della Commissione, Maja Kocijancic, «devono essere valutate attentamente. Le discussioni continueranno». Oggi è in programma una nuova riunione del Cops. «Sono molto soddisfatto», ha commentato Salvini, «della lettera del presidente del Consiglio, Conte, per istituire una task foce europea sui migranti», confermando che l'Italia «non riaprirà assolutamente i porti. Gli italiani ci chiedono più sicurezza. Sono sbarcati 75.000 immigrati in meno rispetto all'anno scorso. Vogliamo ridurre», ha sottolineato Salvini, «costi, morti, partenze e tempi di permanenza in Italia». Altro argomento caldo: alcuni media hanno diffuso la notizia che l'Italia possa rivedere il decreto che regola i flussi di lavoratori stagionali e temporanei come strumento per offrire lavoro a chi già si trova nel nostro Paese anche se in posizione non regolare, ma abbia almeno chiesto l'asilo. Il decreto fissa, per il 2018, un tetto di 35.000 migranti che possono entrare in Italia per lavorare in diversi settori, dall'agricoltura al turismo. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno a 50.000, utilizzando chi si trova già in Italia. Una «sanatoria» che dal Viminale smentiscono decisamente. Carlo Tarallo
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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