2019-03-29
«Chi parla di temi sgraditi agli attivisti Lgbt viene denigrato e insultato»
La psichiatra Maria Cristina Del Poggetto racconta la sua esperienza da relatrice a un convegno osteggiato da militanti arcobaleno. Che si è concluso con l'intervento delle forze dell'ordine.L'anno prossimo ci sarà l'assemblea generale della Chiesa inglese. Ma già volano gli stracci perché i coniugi omo degli alti prelati non sono stati invitati ufficialmente.Lo speciale contiene due articoliVenerdì scorso nella sala Belli della provincia autonoma di Trento si è tenuto il convegno «Donne e uomini. Solo stereotipi di genere o bellezza della differenza?». L'evento è stato pesantemente contestato da un gruppo di femministe e da attivisti Lgbt, i quali hanno costretto le forze dell'ordine a intervenire per proteggere l'assessore leghista Mirko Bisesti, tra i partecipanti all'evento. La stampa locale, dopo quanto accaduto, ha cercato di squalificare il convegno e i relatori, così abbiamo voluto ascoltare la voce di uno di essi, il medico psichiatra Maria Cristina Del Poggetto.Dottoressa, ha avuto paura? «Per la mia professione sono abituata ad affrontare situazioni critiche. Non posso negare tuttavia che la situazione venutasi a creare mi ha inflitto un profondo disagio. È del tutto normale dovere rispondere a domande anche duramente critiche, ma non credo sia normale dovere parlare di questioni scientifiche temendo per la propria incolumità».Come risponde alla sociologa di Trento Barbara Poggio, che l'ha accusata di non provenire dal mondo scientifico o universitario, né avere competenze di pedagogia o di pari opportunità? «Non conosco la persona di cui mi parla, né ho mai sentito il suo nome in alcun congresso di medicina, psichiatria, o psicoterapia. È regola basilare avere bene presenti gli ambiti di competenza e i limiti della propria disciplina. Nella sociologia del lavoro non si acquisiscono competenze specifiche delle basi neuroanatomiche, neurofisiologiche e neuroendocrine oggetto del mio intervento avendone specifica competenza scientifica ed esperienza clinica. Ritenere che la scienza sia totalmente racchiusa dall'accademia mi sembra una visione molto ristretta ed elitaria».Scusi se insisto, ma la professoressa Poggio l'ha definita sul suo profilo Facebook «medica-chirurga specializzata in psichiatria (che si occupa delle conseguenze psichiatriche dell'aborto)». «Come medico e psichiatra mi occupo della cura di molte differenti sofferenze. Sì, assisto anche le donne che hanno subito traumi, per l'aborto, per essere state abusate, picchiate, abbandonate od oggetto di stalking e di mobbing. Questo è un problema?».Va bene, ma l'hanno accusata di avere mostrato uno studio degli anni Trenta e di avere mescolato gli studi umani con quelli delle scimmiette. «Nel mio breve intervento ho mostrato i risultati di 23 studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali. Ho incluso il grafico dello Scottish Mental Survey, uno studio su oltre 80.000 bambini di 11 anni promosso dall'Ente per la ricerca della Scozia i cui risultati sono stati riesaminati e validati nel 2003 su un'importante rivista internazionale di psicologia. Un analogo studio del 2008 sulla prestigiosa rivista Science citava due pubblicazioni dell'Ottocento e una metanalisi pubblicata nel febbraio 2019 su oltre 5 milioni di soggetti ha inserito in bibliografia uno studio del 1922. In tutti si conferma la maggiore variabilità nella popolazione maschile in varie abilità. La buona scienza, a differenza delle mozzarelle, non ha scadenza».E per quanto riguarda le scimmiette? «Alcune teorie postulano che le differenze che registriamo tra uomini e donne siano solo e soltanto derivanti da una costruzione sociale. Ma i neurofisiologi mostrano differenze nella struttura e nel funzionamento del cervello maschile e femminile correlate al comportamento dimostrabili già nel primo giorno di vita. Nel modello animale di scimmia, anche standardizzando i parametri sin dalla nascita, gli esemplari maschi preferiscono giochi diversi dalle femmine, così come vediamo negli umani. In uno studio appena pubblicato gli autori scrivono: “I nostri risultati indicano che il sesso è un'importante variabile biologica della funzione del cervello umano e suggeriscono che le differenze osservate nelle performance neurocognitive hanno identificabili correlati neuronali intrinseci". Gli esperimenti smentiscono la teoria della totale costruzione sociale del genere».Che conclusioni trae da questa esperienza? «Che quando si toccano certi temi, il confronto scientifico e la sincera ricerca della realtà, spesso finiscono per soccombere ad un pericoloso ed arrogante settarismo ideologico dietro al quale talora si cela una desolante povertà di contenuti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-parla-di-temi-sgraditi-agli-attivisti-lgbt-viene-denigrato-e-insultato-2633080509.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-anglicani-litigano-sui-vescovi-gay" data-post-id="2633080509" data-published-at="1764638405" data-use-pagination="False"> Gli anglicani litigano sui vescovi gay In questi giorni la Chiesa anglicana si trova al centro delle polemiche. Tutta colpa dell'assemblea generale prevista per il prossimo anno in Inghilterra, presso l'università di Kent. Questa adunata, chiamata Lambeth Conference, si tiene ogni dieci anni dal 1867 e riunisce vescovi e alti prelati di tutto il mondo per ragionare su problemi e prospettive della Church of England. Una specie di concilio ecumenico, che dovrebbe essere il regno del confronto e della comunione, ma adesso rischia di diventare fucina di conflitti. A scatenarli sono stati i vertici dell'università del Kent, secondo i quali la Chiesa sta commettendo un grave errore perché ha invitato all'evento i coniugi dei vescovi, ma solo quelli che sono uniti in un matrimonio eterosessuale. I vescovi gay, dunque, non potranno portarsi appresso il consorte e questo ai vertici dell'accademia sembra scorretto. Tanto che hanno chiesto un incontro urgente all'arcivescovo di Canterbury, che storicamente preside la conferenza, per cercare di fargli cambiare idea. Il mese scorso il reverendo Josiah Idowu-Fearon, segretario generale della Chiesa Anglicana, aveva spiegato ufficialmente che risultava inopportuno che i coniugi dello stesso sesso fossero invitati all'evento, in ossequio alla posizione ufficiale sul matrimonio che prevede «l'unione per tutta la vita tra un uomo e una donna». Una presa di posizione che ha fatto sollevare molti degli alti prelati, tra i quali anche il vescovo americano Michael Curry, che ha officiato il matrimonio tra il principe Harry e Meghan Markle e bacchettato dal pulpito i potenti della Terra. A dispetto della loro reazione, però, le frange tradizionaliste (che ancora esistono, per fortuna) hanno lavorato a favore del divieto e pare difficile che si torni indietro. L'università punta i piedi, gli innovatori sostengono l'idea, i conservatori che hanno accettato a malincuore l'esistenza dei vescovi gay ma continuano a non vedere di buon occhio il matrimonio in chiesa, pretendono che si tenga duro. Le province conservatrici, del resto, sono molte, spesso anche fuori dall'Europa, come ad esempio l'Uganda, mentre quelle liberali si trovano negli Stati Uniti e in Scozia, dove già si celebrano senza problemi o remore i matrimoni gay davanti all'altare e anche i vescovi omosessuali possono sposarsi. Che esista un conflitto su questa materia, in fondo, non è una novità. La prima grande tensione si è registrata nel febbraio di due anni fa, quando i vescovi inglesi hanno tentato di far passare un documento in cui si dichiarava che il matrimonio celebrato in Chiesa può essere solo quello tra un uomo e una donna e che le relazioni tra persone dello stesso sesso non possono essere benedette. La Camera del clero, composta dai sacerdoti e dai vicari ha bocciato la proposta, rendendo impossibile l'approvazione del testo, perché ogni modifica deve essere concordata da tutte le componenti della chiesa: vescovi, preti e laici. Senza questo punto fermo, quindi, ogni parrocchia può agire seguendo la propria linea guida. Il risultato è quello di una frattura insanabile, con due anime che combattono dentro lo stesso corpo. Come dimostrano i dati di un'indagine presentata lo scorso anno dalle università di Leeds e York, in base alla quale erano 182 le chiese inglesi che avevano celebrato matrimoni tra persone dello stesso sesso da quando la legge è entrata in vigore nel 2014, mentre erano circa 40.000 quelle che celebrano le nozze delle coppie eterosessuali. Una minoranza, dunque, che però non vuole cedere. A dispetto delle tradizioni, del protocollo ecclesiastico e anche delle Sacre Scritture.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)