2025-09-15
Chi ha a cuore la verità è pronto al martirio
Boldrini ed eurodeputati si inginocchiarono per George Floyd, un nero pluripregiudicato. Per Kirk, un giovane che ha difeso strenuamente i valori cristiani e occidentali, è stato negato il minuto di silenzio a Strasburgo. Ma il suo sangue darà forza a molti.Amante non sia chi non ha coraggio. Chi non ha coraggio non può amare. Il detto esiste anche il latino, amor odit inertes. Ogni amore presuppone coraggio e il più grande e più potente degli amori, quello da cui nascono tutti gli altri, quello per il quale è necessaria la virtù del coraggio più che mai, è l’amore per la verità. Combatti fino alla morte per la verità e Dio combatterà con te, è scritto nel Siracide.È stato assassinato Charles Kirk, combattente per la verità. Mezzo mondo, signora Laura Boldrini inclusa e soprattutto Parlamento europeo incluso, si è inginocchiato per il cittadino nero George Floyd. Si trattava di un pluripregiudicato, aveva puntato la pistola sul ventre di una donna incinta per rapinarla, è stato ucciso in maniera indubbiamente brutale ma anche indubbiamente involontaria dalla polizia degli Stati Uniti. Eppure quella morte è stata usata come simbolo della ferocia bianca contro i neri. Come ricorda Stelio Fregola nel suo saggio L’inganno antirazzista, il numero di neri tra i poliziotti statunitensi è circa il 12%, quindi in linea con la loro percentuale nella popolazione, più o meno il 12%, ma gli afroamericani uccidono il 43% di poliziotti assassinati, sono responsabili di quasi la metà delle uccisioni. È più facile che un afroamericano, piuttosto che un bianco, uccida un poliziotto. I poliziotti che hanno quindi così barbaramente trattato il signor George Floyd, due dei quali neri, forse erano spaventati, o forse avevano subito precedentemente aggressioni.Nessuno si inginocchia per le migliaia di cristiani innocenti uccisi ogni anno nella sola Nigeria, nessuno si inginocchia per le migliaia di impiccagioni l’anno di uomini e donne dissidenti in Iran. Il Parlamento europeo ha negato un minuto di silenzio per l’atroce assassinio di Charlie Kirk, che ha lasciato una moglie e due bimbe, che non lo abbracceranno mai più. Charlie Kirk parlava sempre con voce forte e calma, si batteva anche contro la idiozia totalitaria del cosiddetto green, della gestione pandemica, della imposizione vaccinale, contro il terrorismo islamico, contro le atrocità palestinesi e tutti coloro che le approvano. Si batteva contro la dittatura Lgbt, che pretende di imporre come fisiologico uno stile di vita condannato dal cristianesimo come peccato, che è un moltiplicatore di malattie, che ha politicizzato una patologia psichiatrica, la disforia di genere, vietando in pratica ogni terapia a favore di devastanti «cure», atroci dal punto di vista chirurgico ed endocrinologico. Charlie Kirk era profondamente cristiano, perfettamente conscio di come il fenomeno cosiddetto woke, esattamente come il movimento Lgbt, siano tasselli di un violento anticristianesimo, con lo scopo sempre meno nascosto di distruzione dall’interno della civiltà cristiana e di islamizzazione del mondo, e come ogni vero cristiano non poteva che battersi per il diritto dello Stato di Israele a esistere e vivere in pace. Charlie Kirk combatteva per abbattere tutto quello che la signora Ursula von der Leyen ha imposto, dall’auto elettrica, ai migranti, ai vaccini comprati via sms segreti. La morte di un uomo bianco e buono, che usava l’arma del dialogo e della logica e della ragionevolezza per cercare di arginare il suicidio dell’Occidente, non poteva essere ricordata nel Parlamento europeo. In Italia i social riportano affermazioni atroci che dimostrano come esista un nuovo totalitarismo basato sull’antifascismo eterno: se non pensi come me sei fascista, ti isolo, ti derido, ti trascino in tribunale - dove è possibile che magistrati complici ti condannino per affermazioni sacrosante - e chissà che prima o poi qualcuno non ti spari. E quando questo succederà, scriverò sulla mia paginetta social «uno di meno». Mi sento molto vicina a Charlie Kirk perché le sue idee in tutti i campi sono esattamente le mie. È sufficiente che andiate a leggere le nostre due non modificabili pagine su Wikipedia, e troverete lo stesso livido odio, la stessa svalutazione sugli stessi concetti. È sorprendente come un enorme numero di persone, molte anche con una certa notorietà come Alan Friedman, che attribuisce affermazioni folli a Charlie Kirk (mai pronunciate), stia esponendo il suo odio. C’è un aspetto fondamentale dell’irrisione della morte di Charlie Kirk, qualcosa di riassumibile nel «ben gli sta» oppure nell’«è il karma». Charlie Kirk, come me, era assolutamente favorevole alle armi in mano ai civili. Come giustamente ricorda George Orwell, solo dove tutti i cittadini sono armati la democrazia è possibile. La democrazia è salva dal totalitarismo statale e da quella forma spicciola di totalitarismo che è l’atto di terrorismo, solo se i cittadini sono tutti armati. Se qualcuno fosse stato armato al Bataclan, la strage non sarebbe stata possibile. A Orlando in Florida un unico terrorista islamico ha massacrato 50 gay, tutti disarmati. In Texas non sarebbe stato possibile: dove gli uomini sono armati il terrorismo si ferma. Nella disarmata Norvegia Anders Behring Breivik su una piccola isola di fronte a Oslo massacrò 69 persone a un party del Partito laburista. Una sola persona col porto d’armi avrebbe salvato decine di vite. Dove lo Stato disarma i cittadini, sono armati solo i delinquenti. Dove lo Stato intralcia o punisce la legittima difesa dei cittadini, li sta consegnando ai delinquenti. Non ha avuto bisogno di un’arma da fuoco l’assassino di Iryna Zarutska, la giovane donna ucraina massacrata da un nero con spaventosi precedenti penali e sempre libero, nella totale indifferenza delle altre persone di colore presenti. È bastato un coltello reperibile in un qualsiasi negozio di casalinghi. Ed è interessante ricordare l’assassinio di Iryna perché per ben due settimane il crimine è stato nascosto all’opinione pubblica. Su alcuni siti woke e di Blm (Black lives matter, «le vite dei neri contano»), l’assassino è stato giustificato in quanto è giusto che gli oppressi o coloro che hanno sofferto esercitino la violenza dove capita. Anche questo fa parte del suicidio dell’Occidente che Charlie Kirk combatteva. Charlie Kirk si batteva contro la cultura di morte. Osava parlare della bellezza del matrimonio, in particolare del matrimonio cristiano, dove un uomo e una donna si giurano davanti a Dio di amarsi a vicenda e di accogliere tutti i bambini che Dio manderà. Parlava contro l’aborto. L’aborto è cultura di morte, che diavolo volete che sia il diritto di una donna di far smembrare il proprio bambino da un medico che acconsente a questo scempio? Nelle prime settimane di gravidanza, per motivi ormonali, siamo scazzate e depresse. Molte donne in questa fase possono avere l’impressione di non volere il bambino, soprattutto se si tratta di una gravidanza non cercata, o di una gravidanza che si affronta da sole. In realtà se la donna non si trova di fronte l’atroce tentazione di un aborto facile, magari gratuito, e procede con la gravidanza, nel giro di pochissimo scopo di voler assolutamente suo bambino. Di Charlie Kirk ci restano il sorriso, ci restano le sue magnifiche parole, ci resta la sua meravigliosa famiglia. Di lui ci restano anche gli innumerevoli latrati di odio che hanno accompagnato la sua morte. Quei latrati dimostrano come gli individui che non solo li hanno emessi, ma li hanno addirittura scritti sui social, hanno una mente immersa nell’irreale, sono completamente incapaci di distinguere il bene dal male, ma anche il reale dell’irreale. Di Charlie Kirk ci resta il suo sangue versato. Ci restano le migliaia di studenti nei campus, che per decenni si sono lasciati a zittire dalla violenza della minoranza woke, e che ora tutti insieme lo ricordano cantando Amazing Grace. Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani: è da quel sangue che nasce per tutti il coraggio della verità. Senza coraggio, nessuna verità è possibile.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci