
Giulio Rapetti non è mai stato allineato con il pensiero unico: «Davanti a un cambiamento il fuoco di sbarramento c'è sempre. Diamo tempo prima di giudicare. E sui migranti... Senza un lavoro non c'è futuro. Ho lanciato un progetto Ue-Africa per l'agricoltura».Alla veneranda età di 82 anni - li compirà il 17 agosto - Giulio Rapetti continua a essere una fucina di idee. Idee vive, perché nate dalla voglia di vivere. Non a caso l'autobiografia di Mogol s'intitola Il mio mestiere è vivere la vita (Rizzoli, 2016), un verso di Una donna per amico scritta con Lucio Battisti nel 1978. Il suo Cet (Centro europeo Toscolano) sforna artisti e insegnanti di musica. Il Progetto per l'Africa, presentato a Bruxelles grazie al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, è disponibile per essere adottato dalle istituzioni. L'attività creativa prosegue. Più maestro di Mogol in Italia chi c'è? L'autore di canzoni come Una lacrima sul viso, Ventinove settembre, Emozioni, I giardini di marzo, Non è Francesca, Impressioni di settembre, La canzone del sole, L'emozione non ha voce, tanto per citarne qualcuna, come dev'essere considerato? Eppure, un maestro meno venerato di lui non c'è. Chissà se a causa del fatto che non è mai stato allineato con il pensiero unico dominante.Ha visto, Mogol: con il governo pentaleghista stanno tornando di moda gli appelli?«Ho visto, ma non sono stupito. Fa parte del gioco della politica. Ognuno ha la propria inclinazione. La dialettica e gli appelli ci saranno sempre. Come semplice cittadino dico che bisogna lasciar lavorare i governanti».Da una rivista come Rolling Stone si aspettava una copertina come quella contro Matteo Salvini?«Una rivista di musica che si occupa di politica è qualcosa che faccio fatica a capire. Mi riporta ai modi e ai metodi del Sessantotto. Sono sempre stato convinto che non si possano mischiare musica e politica. Quando si fa questo miscuglio vengono fuori le peggiori canzoni. Ha presente Contessa?».Come no. In quegli anni lei e Battisti eravate fascisti.«Ci avevano dato questa etichetta. Non c'era spazio per la vita, ma solo per la politica e le barricate. Se uno non era falce e martello era automaticamente fascista. E siccome noi parlavamo del privato eravamo fascisti. Anzi, se possibile ancora peggio: qualunquisti. Per i rivoluzionari le canzoni che riguardavano la vita normale erano uno spreco di tempo e di energie. Però oggi nessuno ricorda le canzoni di protesta mentre quelle che abbiamo scritto Lucio e io le ricordano tutti».Perché secondo lei c'è questo fuoco di sbarramento nei confronti del nuovo governo?«Quando c'è un cambiamento il fuoco di sbarramento c'è sempre. Il bilancio del governo Pd non è stato positivo. Ora ai partiti tradizionali è subentrata questa nuova alleanza, ma credo che un paio di mesi siano troppo pochi per valutarne l'operato».C'è un pregiudizio verso Lega e M5s?«A volte su un argomento non importa che cosa si dice, ma chi lo dice. Se dopo due mesi si è già deciso che è tutto sbagliato, vuol dire che lo si era già deciso prima. Penso che dovremmo giudicare a distanza se certe riforme sono positive o no. Per esempio, c'era una certa ostilità verso il Decreto dignità di Luigi Di Maio. La Confindustria e gli imprenditori erano critici».Lei che cosa ne pensa?«Penso che certe norme si possano aggiustare. Settori come l'agricoltura e il turismo hanno bisogno di contratti stagionali. L'Italia non può vivere senza il turismo. Però mi pare che il governo sia stato disposto a discutere. Questo è un fatto positivo…».Invece?«C'è chi vorrebbe sostituirsi al popolo anche se il popolo ha votato da poco».Cosa pensa della chiusura dei porti alle navi dei migranti?«Molti accusano il governo di rifiutarsi di aiutare persone bisognose. A me sembra che Salvini e Conte stiano lavorando perché sia l'Europa a farsi carico della situazione. Non si può accettare il fatto che siccome le nostre coste sono più vicine al Nord Africa allora tutti i migranti devono essere accolti dall'Italia. Credo che l'Europa debba aiutare a risolvere il problema in modo equo». Un certo mondo intellettuale sembra voler risolvere l'emergenza con il sentimento e non con la politica.«Adesso poi ti chiedono anche di ospitare un migrante in casa. Sarebbe questa la soluzione? Suvvia, non è dignitoso. Questa situazione ha dimensioni epocali. Servono interventi che risolvano alla radice, prevenendo l'emergenza. Ci vuole una strategia. A pochi chilometri da casa mia c'è un gruppo di 25 migranti. Non li ho mai visti sorridere. Stanno qui a mangiare, dormire e bighellonare. Senza un lavoro non hanno futuro. Non è neanche colpa loro. Ma credo che si debba aiutarli a vivere nei loro Paesi, fornendo gli strumenti per costruirsi un domani».Qualche mese fa ha presentato un progetto al Parlamento europeo. Com'è stato accolto?«Ho ringraziato il presidente Tajani per avermi dato quella opportunità. Purtroppo avevo di fronte una platea di giovani africani che vorrebbero trasferirsi in Italia per diventare artisti. Io ero l'autore di canzoni conosciute nel mondo. Avrei preferito parlare a un gruppo di politici che potessero verificare la fattibilità del progetto».In che cosa consiste? «Il principio è noto: anziché regalare il pesce ai poveri, diamogli la canna da pesca. Nello specifico, la mia idea è un contratto tra Unione europea e Paesi africani per la creazione di una grande agenzia per lo sviluppo della produzione agricola. Per risolvere questi problemi bisogna avere il coraggio di pensare in grande. Per l'Europa e le aziende coinvolte si tratterebbe di un investimento produttivo con partecipazioni stabilite e verificabili. I cittadini africani verrebbero istruiti e assistiti nelle varie fasi delle coltivazioni e dotati di sistemazioni in abitazioni prefabbricate. La loro qualità della vita cambierebbe totalmente».Da quanto tempo pensa a questo progetto?«È pronto da due anni e mezzo. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, mi ha esortato in una lettera a portarlo avanti con tenacia. Anche l'arcivescovo Georg Gänswein mi ha incoraggiato. Su queste cose il Vaticano andrebbe ascoltato».Non farebbe più strada se qualche partito sposasse il progetto?«Sarei felice se qualcuno lo facesse proprio. Quello che conta è verificarne la praticabilità. Per una cosa come questa bisogna mettersi a lavorare, coinvolgere le grandi aziende dell'agricoltura, far capire che sono possibili dei guadagni. Qualche politico gli ha dato un'occhiata: ma si sa, quando ci si rende conto che ci vuole impegno il coraggio si spegne». Come mai alcuni anni fa ha scelto di vivere a Toscolano, nel cuore dell'Umbria? «Abitavo a Milano e avevo i figli già grandi: “Che cosa ci sto a fare qui?". Mi son messo a cercare un posto sprofondato nella natura. Ho girato per un anno in tre regioni prima di trovare questo posto incredibile, in mezzo alle colline, nell'aria pura, circondato da laghi».Che finalità persegue il Cet?«È una scuola per la promozione della cultura musicale e popolare. In vent'anni abbiamo diplomato 2800 allievi e formato 60 docenti per i conservatori italiani. Qui sono nate centinaia di nuove canzoni. È una realtà sostenuta dal ministero dei Beni culturali e dell'Istruzione e la ricerca scientifica. È conosciuta a livello europeo, ma ora sta sconfinando oltreoceano. In ottobre l'università di Berkeley, in California, organizzerà “Berkeley meets Mogol", un grande concerto e alcune lezioni sulla musica pop, mentre a Boston riceverò un premio del Parlamento del Massachusetts». Perché oggi nascono pochi talenti?«È una questione di formazione. Se alla passione si aggiunge la didattica allora può nascere l'arte. Il talento è sempre latente. Va coltivato, altrimenti resta selvaggio. Albert Einstein diceva che il genio è fatto per l'1% di inspiration e per il 99% di transpiration: 1% ispirazione, 99% sudorazione».Che cosa pensa dei talent show?«Qualche volta li ho visti e ho anche partecipato. Sono spettacoli, show appunto, non scuole. È difficile far diventare artisti dei bravi ragazzi in tre mesi. A volte gli insegnanti sono più cantanti o autori famosi che musicisti dotati di capacità didattica. Solo la scuola può trasformare dei ragazzi talentuosi in artisti».Il mercato discografico gli dà il tempo?«Ci vogliono anni. È sbagliato pensare di essere artisti maturi dopo 4 o 5 serate. Si può essere una persona nota, ma non un artista. Una volta gli artisti erano selezionati per meritocrazia. Se ne presentavano 10 e la gente si affezionava ai migliori, oggi tutti hanno un sito, un canale social, a centinaia invadono il mercato…»Che cosa le manca di più di Lucio?«Il suo sorriso. E il sentirlo, quando arrivava con la chitarra…».Come avviene che un sodalizio così profondo improvvisamente s'incrini?«Ce lo chiediamo sia io che Lucio, lassù… È uno dei dispiaceri più grandi della mia vita... Anche la perdita di Gianni Bella è stato un grande dispiacere». Di lui si è parlato meno.«Abbiamo fatto tante cose insieme. Quando è mancato stavamo scrivendo, anche con Giuseppe Fulcheri, La capinera, una storia sulle arie delle romanze, ambientata a Catania, che presenteremo al Teatro Bellini in dicembre. Poi andrà a Rostov e San Pietroburgo».All'inizio ha lavorato anche con Tony Renis…«Interprete di successi mondiali. Grande musicista e amico personale. Come tanti altri. Riccardo Cocciante è un grande artista. Mango, un numero uno. Adriano Celentano ha una timbrica inarrivabile, è un amico. Bobby Solo è un uomo dolcissimo, canta meglio adesso di una volta».Dovesse scegliere tre canzoni tra tutte quelle che ha scritto, quali sceglierebbe?«È troppo difficile. Ogni persona ha le sue. Mi dica le sue preferite…».I giardini di marzo che trovo struggente, poi Impressioni di settembre, Anche per te o Emozioni.«I giardini di marzo è la storia della mia vita. Sicuramente stanno tutte nelle venti che sceglierei anch'io».Come vede il futuro dell'Italia?«Peggio di come siamo andati è difficile. Spero».
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.