2024-12-08
L’ultima richiesta della Cgil allo Stato: lavorare meno ore e stesso stipendio
Nella trattativa sul contratto dei dipendenti comunali, Maurizio Landini e la Uil propongono la settimana fino al giovedì a orario ridotto e paga invariata. Così sindacato e sinistra vogliono aumentare produttività e impieghi?Non bastava la settimana cortissima, la possibilità di lavorare fino al giovedì ma assicurando comunque le 36 ore di impiego che l’Aran (lo Stato che tratta con le parti sociali) ha concesso ai sindacati nel corso della negoziazione per il rinnovo del contratto di ministeri e agenzie fiscali (coinvolti poco meno di 200.000 lavoratori), l’ultima novità è che Cgil e Uil hanno chiesto di andare in ufficio solo nei primi quattro giorni della settimana però con un orario ridotto, prestando cioè servizio per sole 30 ore e a retribuzione invariata. Ora, la settimana cortissima poteva essere derubricata nel novero dei desiderata dei lavoratori per coniugare l’occupazione con le esigenze familiari o comunque personali. Richieste che però riuscivano a conciliarsi con l’organizzazione e la produttività. Qui, il passo in avanti è evidente. La proposta recapitata all’Aran solo pochi giorni, fa nel corso della negoziazione per il rinnovo del contratto dei dipendenti comunali, va oltre e si mette in scia alle sconsiderate teorie «grilline» della prima ora sulla decrescita felice. Lavoriamo meno, in modo da produrre e quindi consumare meno arrivando a una più equa redistribuzione delle ricchezze. Come, nessuno ha mai saputo dirlo. O meglio, qualcuno ha pure provato a teorizzarlo schiantandosi però con i dati della realtà.Utopie che mal si conciliano con la crisi industriale che sta vivendo l’Europa e che l’Italia fino a oggi è riuscita ad evitare. E che non si tengono per nulla rispetto alle immagini che solo due giorni fa arrivavano da Pomigliano e che parlavano di lavoratori dell’indotto Stellantis licenziati per il collasso di uno dei settori vitali per l’industria del Paese, l’automotive. La Schlein c’era e verrebbe da chiedersi cosa ne pensa delle richieste arrivate dal pubblico impiego della Cgil, il suo sindacato di riferimento. Non ci sfugge che spesso pubblico e privato rispondono a due logiche differenti, ma la teoria che sta dietro al pensiero di poter lavorare quasi il 20% delle ore in meno a settimana pretendendo lo stesso stipendio è la medesima. A scanso di equivoci, è praticamente impossibile che la controparte (l’Aran appunto) possa accettare una proposta del genere, anche perché vorrebbe dire trovare nuove risorse e perché significherebbe autorizzare un «dislivello retributivo» nella cosa pubblica tra due categorie di lavoratori che svolgono le stesse mansioni. Ma allo stesso va detto che la trattativa per il rinnovo del contratto del personale delcomparto Funzioni locali (i dipendenti comunali) è su un binario morto. Il prossimo incontro è fissato per il 17 dicembre e non tira aria di buone notizie. Anzi. La divisione è sempre la stessa. Cgil e Uil che chiedono più risorse, fanno proposte strampalate e si mettono di traverso da un lato e la Cisl e il coordinamento sindacale autonomo che invece spingono per negoziare e riuscire a portare a termine un accordo. Schieramenti che si sono già visti in tutte le partite del pubblico impiego, ma che nel caso delle funzioni locali vedono le sigle «moderate» in minoranza. Insomma, senza Cgil e Uil non si può rinnovare il contratto. L’impasse è quindi assicurata. E purtroppo soprattutto nelle negoziazioni che vedono lo Stato trattare con le parti sociali è una prassi. In un solo caso l’accordo è andato a buon fine, ma non perché Landini & C. erano scesi dalle barricate. Semplicemente per una questione numerica. Nel tira e molla sul contratto dei lavoratori dei ministeri, infatti, la partita si è giocata sul filo dei numeri e l’intesa (che peraltro prevedeva la settimana cortissima, si garantisce un impiego di 36 ore ma fino al giovedì) è passata solo per il voto della Cisl e di altre sigle minori. Insomma, anche il quel caso Cgil e Uil avevano detto no ad aumenti medi da circa 160 euro lordi al mese perché pretendevano il completo recupero dell’inflazione del trienni: il 17%. Così come non è un mistero che anche l’accordo per gli infermieri sia fermo. Sul piatto ci sono incrementi da 172 euro al mese che moltiplicati per le tredici mensilità fa una busta paga più ricca per 2.245 euro. Peccato. Perché come confermano tutte le rilevazioni ufficiali, negli ultimi due anni l’occupazione ha accelerato e soprattutto nel 2024 sono stati rinnovati i contratti di circa 7 milioni di lavoratori del privato. Gli aumenti, in media da 220 euro lordi, hanno ridotto la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione che ha galoppato per un bel po’ e alla fine sono state rinnovati accordi bloccati da anni. Basti ricordare il contratto del commercio che riguarda quasi tre milioni di persone, fermo da quattro anni. Insomma, il gap salariale resta un tallone d’Achille del Paese, ma non certo da adesso. Adesso sembra si sia intrapresa la strada giusta, quella che parte dai rinnovi e arriva fino a rafforzare la contrattazione decentrata e alla riduzione delle tasse sul lavoro. Se ci fossero meno veti a prescindere e le tentazioni di decrescita felice venissero riposte dove meritano, la si potrebbe percorrere più velocemente.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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