2022-12-20
Con i nuovi certificati verdi previsti sussidi ai poveri. Ma solo se lo saranno di più
Riformato il sistema delle emissioni: tasse al «Fondo sociale per il clima» per i meno abbienti. In cambio, una transizione ecologica ancor più spinta. Pericoli per il mattone.Quando si arriva al fondo, si può sempre cominciare a scavare. Soprattutto se la politica Ue ha deciso di tirare dritto nonostante la realtà si trovi in tutt’altra direzione. Ieri, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico, grazie al cielo ancora provvisorio e quindi non ratificato, su un pacchetto di proposte legislative legate al «Fit for 55» che mirano a ridurre ulteriormente le emissioni e a gestire in maniera del tutto socialista gli impatti della transizione sulla società.«L’accordo sul sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue e sul Fondo sociale per il clima è una vittoria per il clima e per la politica climatica europea», si legge in una nota. «Ciò ci consentirà di raggiungere gli obiettivi climatici nei principali settori dell’economia, garantendo nel contempo che i cittadini e le micro imprese più vulnerabili siano efficacemente sostenuti nella transizione climatica. Ora possiamo tranquillamente affermare che l’Ue ha mantenuto le sue promesse con una legislazione ambiziosa e questo ci pone in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici a livello globale», ha aggiunto Marian Jurecka, il ministro ceco dell’Ambiente a nome della presidenza del Consiglio Ue. Lo schema applicato ieri è molto semplice: se l’Europa non funziona, allora serve più Europa.Dunque, nel dettaglio, il sistema di scambio di quote di emissione (Eu Ets), per come è stato applicato dal 2005 e successivamente implementato, è un mercato del carbonio basato su un sistema di cap-and-trade di quote di emissioni per le industrie ad alta intensità energetica e il settore della produzione di energia. È lo strumento con cui l’Ue tassa le aziende e impone la riduzione delle emissioni, coprendo circa il 40% delle emissioni totali di CO2 dell’Unione. L’accordo raggiunto ieri rende il meccanismo ancora più drastico. Consiglio e Parlamento hanno deciso di aumentare al 62%, dagli attuali 42, la quota di riduzione delle emissioni entro il 2030 nei settori coperti dal sistema Ets.In parallelo, sempre sul modello sovietico, Bruxelles ha deciso che saranno messi a terra ulteriori meccanismi di compensazione sia fissando una soglia massima di quote, sia garantendo, a un certo numero di società, assegnazioni gratuite. A patto che rispettino standard energetici precisi o appartengano a filiere legate al teleriscaldamento.Ovviamente, dall’altra parte, sempre più settori finiranno soggetti ai vincoli degli Ets. Nel 2026 si deciderà se inglobare pure le aziende che si occupano di incenerimento di rifiuti oppure l’intera filiera del trasporto su gomma. Su questo Confrasporto si è già mossa ieri. Ha calcolato i maggiori aggravi che cadrebbero sulla testa dei singoli proprietari di mezzi. «Il maggiore esborso dovrebbe attestarsi intorno a 1.500 euro all’anno per un furgone a gasolio, toccando i 6.000 euro per un veicolo pesante alimentato a Gnl e, addirittura, raggiungendo quasi i 10.000 euro per un veicolo pesante a gasolio di ultima generazione. Da questo punto di vista, l’eventuale rinvio al 2028 dei nuovi oneri non ci rassicura più di tanto», ha commentato Paolo Uggè. «Il settore del trasporto e dell’automotive è già eccessivamente gravato da oneri, in Italia, che limitano la capacità competitiva delle imprese nazionali e che occorrerebbe ridurre, certo non aumentare». Purtroppo, però, la logica sembra essere questa e il fatto che parte di queste tasse vadano a creare - ulteriore novità decisa ieri - un «Fondo sociale per il clima» non fa altro che aggiungere timore alla preoccupazione. Il fondo farà parte del bilancio Ue fino a un massimo di 65 miliardi di euro e sarà utilizzato dagli Stati membri «per finanziare misure e investimenti volti ad affrontare l’impatto della fissazione del prezzo del carbonio sui cittadini vulnerabili e sulle micro imprese», si legge nella nota del Parlamento. In pratica, ogni Stato membro presenterà alla Commissione un «Piano sociale per il clima», contenente le misure e gli investimenti che intende intraprendere per attenuare gli impatti del nuovo sistema di scambio di quote di emissione sulle famiglie vulnerabili.Tali misure potrebbero includere l’aumento dell’efficienza energetica degli edifici, la ristrutturazione degli edifici, la decarbonizzazione del riscaldamento e del raffreddamento negli edifici e la diffusione della mobilità e dei trasporti a basse emissioni, nonché misure che forniscano un sostegno diretto al reddito in modo temporaneo e limitato.Lo schema è ancor più difficile di quanto sembri. Ogni nazione potrà rigirare come sostegno diretto al reddito non più del 37,5% del budget stanziato per il «Piano sociale». Il resto si muoverà con interventi di co-finanziamento per specifici progetti. In pratica, il rischio concreto è che, in futuro, per sostenere le classi sociali più povere, i governi debbano accettare imposizioni sociali basate sulla transizione ecologica spinta. Per noi, il panorama è fosco. L’Italia è la nazione con il maggior numero di proprietari di immobili. Intervenire sul mattone con le regole Ue significherà imporre a centinaia di migliaia di persone di rinunciare alla casa di proprietà, non avendo la liquidità necessaria per sostenere gli interventi ecologici.Un Paese più povero che accetterà di impoverirsi per poter sussidiare chi nel frattempo non è più ricco. Un corto circuito perfetto per un continente che aspira al totale dirigismo tecnocrate.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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