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2023-02-26
Ceretti&Tanfani, dalla Bovisa al Giappone. Storia di un'industria da record
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Osaka, 1912. Funivia Ceretti&Tanfani al parco divertimenti di Shinsekai.
Pontili di carico meccanizzati, mastodontici carriponte, gru dal grande tonnellaggio, impianti a fune realizzati in Paesi lontani. Tutto normale ai giorni nostri, molto meno se si pensa che questa storia si colloca tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del secolo successivo. L’anno è il 1894, il luogo il quartiere milanese della Bovisa, i protagonisti gli ingegneri Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani. Siamo nella Milano del positivismo scientifico e della rivoluzione industriale. Le scienze progressive avevano trovato terreno fertile nella recente istituzione del Politecnico, dove si formeranno in seguito gli ingegneri che fecero la storia dell’industria italiana. Passato prima dal politecnico di Zurigo e in seguito all’ateneo milanese dove si specializza nel 1890 in costruzioni meccaniche, Giulio Ceretti assieme al collega anconetano Vincenzo Tanfani muovevano i primi passi verso la costituzione di una società per le costruzioni meccaniche partendo pressoché dal nulla, mossi dall’entusiasmo e dall’eclettismo dell’ambiente fervido che li circondava. Quelli che saranno tra i massimi esponenti dell’ingegneria meccanica in italia e all’estero fecero della creatività il paradigma dei loro primi e poco conosciuti brevetti, che tuttavia rendono l’idea di come i due soci fossero avanti con i tempi. Traccia di queste primissime idee si ha tra le pagine del Corriere della Sera del 1898, anno dei disordini repressi da Bava Beccaris. In quel tempo che appare oggi alquanto remoto, un meccanismo automatico che portava la firma Ceretti&Tanfani comparve in alcuni luoghi pubblici della città. Si trattava di un antesignano sistema antifurto per biciclette automatizzato e regolato da un dispositivo a tempo con gettoniera che, per soli 10 centesimi, garantiva la sicurezza ai pochi ed appetibili velocipedi di Milano. Ma il genio della Ceretti&Tanfani si era già visto, sempre a Milano, quattro anni prima nell’anno di fondazione della società che si fece subito notare da un pubblico internazionale. La cornice era quella della grande Esposizione internazionale 1894 che si tenne nel nuovo Parco Sempione. Tra le attrazioni spiccò una «luftbahn» o ferrovia aerea. Nessuno aveva mai visto nulla di simile quando all’inaugurazione due vagoncini di legno e vimini furono visti volare sulle teste degli spettatori appese ad un cavo d’acciaio a un’altezza di oltre 20 metri in un percorso tra due torri. Era la prima funivia per il trasporto di persone tramite cavo aereo, un divertissement destinato a diventare il principale oggetto di sviluppo del pioniere italiano del settore. Il successo della ferrovia aerea si replicò nelle successive esposizioni, che portarono all’estero il nome dei due ingegneri italiani. L’applicazione pratica era ad un passo e trovò nell’allora amministrazione austriaca della città di Bolzano l’opportunità di vedersi realizzata. Nel 1909 fu costruita la funivia per passeggeri in servizio pubblico, che collegava Lana al colle di San Vigilio su progetto di Luis Zuegg e costruzione Ceretti&Tanfani. La stessa grande opera fu portata lontano nello stesso anno dell’impianto altoatesino in un parco di divertimenti a migliaia di chilometri dalla Bovisa, nel cuore di Osaka in Giappone. Qui la ditta milanese lasciò i visitatori del luna park a bocca aperta quando videro volare i primi passeggeri di una nuova ferrovia aerea che collegava il quartiere di Shinsekai (nuovo mondo) al parco creato sul modello di Coney Island e Parigi, tanto da essere dominato dalla torre Tsutenkaku, ispirata dalla torre Eiffel e sede di una delle stazioni dell’impianto Ceretti&Tanfani che rimase in esercizio fino alla chiusura del parco nel 1923. Quello di Osaka non fu l’unico impianto realizzato nella terra del Sol Levante: alla Ceretti&Tanfani le istituzioni locali nipponiche affidarono la realizzazione di una funicolare per il monte Rokko, luogo di culto nei pressi di Kyoto e nel 1926 una funivia, allora modernissima, al monte Hiei, luogo di culto scintoista.
Negli stessi anni l’applicazione del trasporto aereo su fune fu sviluppata dalla azienda della Bovisa in più forme e declinazioni, rendendo protagonista nel mondo della movimentazione merci l’azienda di Milano. Dalle funicolari e teleferiche derivarono i grandi macchinari automatizzati per il sollevamento, il movimento e lo stoccaggio delle merci nei porti, nelle miniere, nei grandi cantieri e nelle fabbriche. Già nei primi anni del secolo XX la Ceretti&Tanfani stabilì un record nella realizzazione per conto di una società londinese. Nel 1907 realizzò una teleferica per il trasporto del marmo che subito fissò un record mondiale. Si trattava di un impianto in grado di trasportare carichi pesantissimi, dapprima da 7 quindi da 20 tonnellate a carico, installata nella valle detta del «balzone» nel comune di Fivizzano (Massa Carrara). Allo scoppio della Grande Guerra l’azienda milanese fu in prima linea con la fornitura di teleferiche per il Genio militare, concepite per essere facilmente trasportate e montate, che furono utilizzate su tutti i fronti della guerra bianca. Grande slancio, tra le due guerre, ebbe il settore del movimento merci per l’azienda milanese. La Ceretti&Tanfani portò nei grandi scali merci l’innovazione, in particolare nell’applicazione dell’automazione. Una delle prime realizzazioni fu a Venezia, nel bacino portuale di San Basilio, fu un innovativo impianto trasportatore per il carico delle navi, allora chiamato Telfer, che applicava la tecnica funiviaria alla logistica marittima. Il pontile in ferro, oscillante e regolabile secondo l’altezza delle navi, caricava automaticamente vagoncini su fune permettendo una velocizzazione delle operazioni di carico e una decisa economizzazione sulla necessità di mano d’opera. Questo tipo di impianto fu poi perfezionato e divenne uno dei prodotti di punta di Ceretti&Tanfani che, assieme alle gru di grande tonnellaggio, fu installato nei porti di tutto il mondo. La ditta milanese fu leader anche nella realizzazione dei blondins, impianti a fune per la costruzione di grandi opere come dighe o ponti. Si trattava di installazioni ibride costituite da una grande gru a pilone mobile a cui era collegata una linea aerea su cui correvano una o più benne per la movimentazione di grandi quantità di materiali per costruzione, nell’ordine delle tonnellate. Una delle prime installazioni di blondin fu quella utilizzata a Roma nel 1910 per la costruzione del primo ponte Flaminio sul Tevere, poi ricostruito nel 1938. Tra le due guerre e in seguito per i decenni della ricostruzione e del boom economico l’azienda della Bovisa, che occupava una grande area industriale del quartiere milanese, fu leader assoluta nella realizzazione di questo tipo di impianti che contribuirono alla crescita rapida delle grandi infrastrutture nel mondo. Blondins a marchio Ceretti&Tanfani furono in opera già nei primi anni Venti in Paesi lontani, come quello realizzato nel 1923 per la costruzione della diga di Durban, in Sudafrica.
Dopo la parentesi della Seconda Guerra Mondiale, la leadership dell’azienda della Bovisa proseguì incontrastata in tutti i settori in cui già operava sin dalle origini. Per il ramo funiviario proseguirono i record dopo quelli prebellici che avevano visto la conquista dell'Aguille du Midi nel 1927, del Gran Sasso d’Italia e del Monte Bianco a Plan Maison, oltre alla teleferica più lunga del mondo (75 km) tra Massaua e Asmara. Dagli anni Cinquanta la domanda di impianti per il turismo alpinisti e lo sci crebbe esponenzialmente e l’azienda milanese costruì in tutto il mondo, compresa l’Unione Sovietica. Il trend proseguì fino agli anni Settanta, quando la crisi internazionale e la crescita della concorrenza fecero declinare il settore, rendendo in seguito protagoniste altre aziende italiane ed estere. Rimase forte il settore movimentazione merci con la realizzazione di impianti portuali e industriali. La produzione alla Bovisa, passata per i grandi scioperi degli anni Settanta e dall’acquisizione da parte del gruppo siderurgico Redaelli proseguì per tutti gli anni Ottanta fino alla chiusura definitiva della fabbrica della Bovisa, oggi conservata nella sua facciata liberty e sede del campus universitario del Politecnico di Milano. Il brand vive ancora oggi, dopo l’acquisizione da parte del gruppo piemontese Peyrani.
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L'azienda milanese fu pioniere delle costruzioni meccaniche per l'industria e per il turismo dalla fine dell'Ottocento. Leader mondiale nei trasporti su fune, nelle gru per il sollevamento e il trasporto di grandi carichi, conquistò un mercato mondiale già nei primi anni del secolo XX.Pontili di carico meccanizzati, mastodontici carriponte, gru dal grande tonnellaggio, impianti a fune realizzati in Paesi lontani. Tutto normale ai giorni nostri, molto meno se si pensa che questa storia si colloca tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del secolo successivo. L’anno è il 1894, il luogo il quartiere milanese della Bovisa, i protagonisti gli ingegneri Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani. Siamo nella Milano del positivismo scientifico e della rivoluzione industriale. Le scienze progressive avevano trovato terreno fertile nella recente istituzione del Politecnico, dove si formeranno in seguito gli ingegneri che fecero la storia dell’industria italiana. Passato prima dal politecnico di Zurigo e in seguito all’ateneo milanese dove si specializza nel 1890 in costruzioni meccaniche, Giulio Ceretti assieme al collega anconetano Vincenzo Tanfani muovevano i primi passi verso la costituzione di una società per le costruzioni meccaniche partendo pressoché dal nulla, mossi dall’entusiasmo e dall’eclettismo dell’ambiente fervido che li circondava. Quelli che saranno tra i massimi esponenti dell’ingegneria meccanica in italia e all’estero fecero della creatività il paradigma dei loro primi e poco conosciuti brevetti, che tuttavia rendono l’idea di come i due soci fossero avanti con i tempi. Traccia di queste primissime idee si ha tra le pagine del Corriere della Sera del 1898, anno dei disordini repressi da Bava Beccaris. In quel tempo che appare oggi alquanto remoto, un meccanismo automatico che portava la firma Ceretti&Tanfani comparve in alcuni luoghi pubblici della città. Si trattava di un antesignano sistema antifurto per biciclette automatizzato e regolato da un dispositivo a tempo con gettoniera che, per soli 10 centesimi, garantiva la sicurezza ai pochi ed appetibili velocipedi di Milano. Ma il genio della Ceretti&Tanfani si era già visto, sempre a Milano, quattro anni prima nell’anno di fondazione della società che si fece subito notare da un pubblico internazionale. La cornice era quella della grande Esposizione internazionale 1894 che si tenne nel nuovo Parco Sempione. Tra le attrazioni spiccò una «luftbahn» o ferrovia aerea. Nessuno aveva mai visto nulla di simile quando all’inaugurazione due vagoncini di legno e vimini furono visti volare sulle teste degli spettatori appese ad un cavo d’acciaio a un’altezza di oltre 20 metri in un percorso tra due torri. Era la prima funivia per il trasporto di persone tramite cavo aereo, un divertissement destinato a diventare il principale oggetto di sviluppo del pioniere italiano del settore. Il successo della ferrovia aerea si replicò nelle successive esposizioni, che portarono all’estero il nome dei due ingegneri italiani. L’applicazione pratica era ad un passo e trovò nell’allora amministrazione austriaca della città di Bolzano l’opportunità di vedersi realizzata. Nel 1909 fu costruita la funivia per passeggeri in servizio pubblico, che collegava Lana al colle di San Vigilio su progetto di Luis Zuegg e costruzione Ceretti&Tanfani. La stessa grande opera fu portata lontano nello stesso anno dell’impianto altoatesino in un parco di divertimenti a migliaia di chilometri dalla Bovisa, nel cuore di Osaka in Giappone. Qui la ditta milanese lasciò i visitatori del luna park a bocca aperta quando videro volare i primi passeggeri di una nuova ferrovia aerea che collegava il quartiere di Shinsekai (nuovo mondo) al parco creato sul modello di Coney Island e Parigi, tanto da essere dominato dalla torre Tsutenkaku, ispirata dalla torre Eiffel e sede di una delle stazioni dell’impianto Ceretti&Tanfani che rimase in esercizio fino alla chiusura del parco nel 1923. Quello di Osaka non fu l’unico impianto realizzato nella terra del Sol Levante: alla Ceretti&Tanfani le istituzioni locali nipponiche affidarono la realizzazione di una funicolare per il monte Rokko, luogo di culto nei pressi di Kyoto e nel 1926 una funivia, allora modernissima, al monte Hiei, luogo di culto scintoista. Negli stessi anni l’applicazione del trasporto aereo su fune fu sviluppata dalla azienda della Bovisa in più forme e declinazioni, rendendo protagonista nel mondo della movimentazione merci l’azienda di Milano. Dalle funicolari e teleferiche derivarono i grandi macchinari automatizzati per il sollevamento, il movimento e lo stoccaggio delle merci nei porti, nelle miniere, nei grandi cantieri e nelle fabbriche. Già nei primi anni del secolo XX la Ceretti&Tanfani stabilì un record nella realizzazione per conto di una società londinese. Nel 1907 realizzò una teleferica per il trasporto del marmo che subito fissò un record mondiale. Si trattava di un impianto in grado di trasportare carichi pesantissimi, dapprima da 7 quindi da 20 tonnellate a carico, installata nella valle detta del «balzone» nel comune di Fivizzano (Massa Carrara). Allo scoppio della Grande Guerra l’azienda milanese fu in prima linea con la fornitura di teleferiche per il Genio militare, concepite per essere facilmente trasportate e montate, che furono utilizzate su tutti i fronti della guerra bianca. Grande slancio, tra le due guerre, ebbe il settore del movimento merci per l’azienda milanese. La Ceretti&Tanfani portò nei grandi scali merci l’innovazione, in particolare nell’applicazione dell’automazione. Una delle prime realizzazioni fu a Venezia, nel bacino portuale di San Basilio, fu un innovativo impianto trasportatore per il carico delle navi, allora chiamato Telfer, che applicava la tecnica funiviaria alla logistica marittima. Il pontile in ferro, oscillante e regolabile secondo l’altezza delle navi, caricava automaticamente vagoncini su fune permettendo una velocizzazione delle operazioni di carico e una decisa economizzazione sulla necessità di mano d’opera. Questo tipo di impianto fu poi perfezionato e divenne uno dei prodotti di punta di Ceretti&Tanfani che, assieme alle gru di grande tonnellaggio, fu installato nei porti di tutto il mondo. La ditta milanese fu leader anche nella realizzazione dei blondins, impianti a fune per la costruzione di grandi opere come dighe o ponti. Si trattava di installazioni ibride costituite da una grande gru a pilone mobile a cui era collegata una linea aerea su cui correvano una o più benne per la movimentazione di grandi quantità di materiali per costruzione, nell’ordine delle tonnellate. Una delle prime installazioni di blondin fu quella utilizzata a Roma nel 1910 per la costruzione del primo ponte Flaminio sul Tevere, poi ricostruito nel 1938. Tra le due guerre e in seguito per i decenni della ricostruzione e del boom economico l’azienda della Bovisa, che occupava una grande area industriale del quartiere milanese, fu leader assoluta nella realizzazione di questo tipo di impianti che contribuirono alla crescita rapida delle grandi infrastrutture nel mondo. Blondins a marchio Ceretti&Tanfani furono in opera già nei primi anni Venti in Paesi lontani, come quello realizzato nel 1923 per la costruzione della diga di Durban, in Sudafrica. Dopo la parentesi della Seconda Guerra Mondiale, la leadership dell’azienda della Bovisa proseguì incontrastata in tutti i settori in cui già operava sin dalle origini. Per il ramo funiviario proseguirono i record dopo quelli prebellici che avevano visto la conquista dell'Aguille du Midi nel 1927, del Gran Sasso d’Italia e del Monte Bianco a Plan Maison, oltre alla teleferica più lunga del mondo (75 km) tra Massaua e Asmara. Dagli anni Cinquanta la domanda di impianti per il turismo alpinisti e lo sci crebbe esponenzialmente e l’azienda milanese costruì in tutto il mondo, compresa l’Unione Sovietica. Il trend proseguì fino agli anni Settanta, quando la crisi internazionale e la crescita della concorrenza fecero declinare il settore, rendendo in seguito protagoniste altre aziende italiane ed estere. Rimase forte il settore movimentazione merci con la realizzazione di impianti portuali e industriali. La produzione alla Bovisa, passata per i grandi scioperi degli anni Settanta e dall’acquisizione da parte del gruppo siderurgico Redaelli proseguì per tutti gli anni Ottanta fino alla chiusura definitiva della fabbrica della Bovisa, oggi conservata nella sua facciata liberty e sede del campus universitario del Politecnico di Milano. Il brand vive ancora oggi, dopo l’acquisizione da parte del gruppo piemontese Peyrani.
Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Getty Images
Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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