- Domani il segretario generale Antonio Guterres sarà a Mosca. Una mossa in grande ritardo e con poche speranze. Del resto il carrozzone di vetro da anni serve solo a pagare maxistipendi. Infatti spende più per la sede di Ginevra che per le operazioni di pace.
- «Ha atteso due mesi per muoversi. Ma com’è possibile?» L’ambasciatore Rocco Cangelosi: «L’Organizzazione non riesce più a essere garante della prosperità e dello sviluppo come dopo la guerra».
- «Un organismo che può fare solo la volontà dei Paesi più potenti». James M. Lindsay, l’esperto di relazioni internazionali: mani legate nelle crisi che coinvolgono i Grandi.
Domani il segretario generale Antonio Guterres sarà a Mosca. Una mossa in grande ritardo e con poche speranze. Del resto il carrozzone di vetro da anni serve solo a pagare maxistipendi. Infatti spende più per la sede di Ginevra che per le operazioni di pace.«Ha atteso due mesi per muoversi. Ma com’è possibile?» L’ambasciatore Rocco Cangelosi: «L’Organizzazione non riesce più a essere garante della prosperità e dello sviluppo come dopo la guerra».«Un organismo che può fare solo la volontà dei Paesi più potenti». James M. Lindsay, l’esperto di relazioni internazionali: mani legate nelle crisi che coinvolgono i Grandi.Lo speciale comprende tre articoli.La prima crepa nel Palazzo di Vetro dell’Onu potrebbe essere aperta da uno dei più piccoli Stati membri, il quinto nell’ideale classifica dei Paesi con minore estensione territoriale ad aver preso parte all’Organizzazione delle Nazioni unite: il Liechtenstein. Domani, l’Assemblea generale voterà una bozza di risoluzione, presentata dal Liechtenstein e sostenuta da 57 Stati (tra cui gli Usa), per limitare il potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza: Usa, Cina, Francia, Regno Unito e Russia. La proposta, di cui si discute da tempo, è tornata a farsi spazio con la guerra in Ucraina, dopo che Mosca ha usato il proprio diritto di veto per bloccare alcune risoluzioni, tra cui quella contro l’invasione, rendendo di fatto inutile il ruolo del Consiglio di sicurezza, la cui responsabilità principale - secondo la Carta delle Nazioni unite - è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Nella bozza si chiede ai cinque membri permanenti del Consiglio di «giustificare l’uso del veto», trascorsi 10 giorni dalla decisione di farvi ricorso. «La risoluzione è un passo significativo per potenziare l’Assemblea generale e rafforzare il multilateralismo», scrive la delegazione Onu del Liechtenstein sul suo profilo Twitter. A livello diplomatico c’è meno ottimismo, dal momento che nessuno degli altri quattro membri permanenti ha co-sponsorizzato la proposta del piccolo Principato. E anche gli analisti sono cauti sulla possibilità che la bozza di risoluzione possa imprimere una svolta, almeno parziale, a un organo che in quasi 80 anni di storia ha inciso pochissimo sui conflitti internazionali: dal 1945 a oggi, le risoluzioni per consentire l’uso della forza non hanno raggiunto neanche la doppia cifra. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, si sono moltiplicati gli appelli per riformare una impalcatura vecchia, che riflette ancora i rapporti di forza successivi alla seconda guerra mondiale. La Turchia, per bocca del suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, ha chiesto una riforma del sistema di sicurezza internazionale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha invocato una conferenza sulla riforma dell’Onu, in modo da assicurare «un’equa rappresentanza nel Consiglio di sicurezza di tutte le regioni del mondo». E anche papa Francesco - forse il parere che ha creato l’eco maggiore ma paradossalmente il meno ascoltato - ha parlato apertamente di «impotenza» dell’Onu.Un’impotenza costosa, da oltre 3 miliardi di dollari l’anno. A tanto ammonta il budget delle Nazioni unite approvato per il 2022 dalla quinta Commissione (amministrativo e bilancio) lo scorso 23 dicembre. Circa 57 milioni sono impegnati per le 12 operazioni di peace keeping, tra Europa, Africa e Medioriente, che impiegano circa 87.000 uomini. Appena 18 milioni sono previsti per l’assistenza umanitaria. Sommate, queste due voci non superano le spese messe a bilancio per l’amministrazione dell’Ufficio europeo di Ginevra (76 milioni di dollari). Il funzionamento degli uffici e il pagamento dei dipendenti assorbe circa un terzo delle spese totali: secondo le ultime tabelle salariali disponibili, un sottosegretario generale incassa circa 200.000 dollari l’anno, mentre l’assistente del segretario generale si ferma a 180.000. Leggermente più staccati i salari dei direttori, che possono arrivare a una cifra lorda massima di 173.000 dollari l’anno.Un dipendente inquadrato come categoria di servizio generale nella base logistica Onu di Brindisi può arrivare a guadagnare fino a 65.160 euro l’anno, più benefit vari che crescono in base al numero dei figli, alle competenze linguistiche e alla presenza di un coniuge. Meglio va ai colleghi degli uffici di Roma: il salario minimo è fissato a poco meno di 55.000 euro, che può salire fino a 100.000 euro lordi l’anno. Il contributo dell’Italia al budget delle Nazioni unite quest’anno supera di poco i 91 milioni di dollari, leggermente in calo rispetto alle cifre del biennio 2020-2021. La quota più alta è quella degli Stati Uniti (693 milioni di dollari), mentre la Russia di Vladimir Putin si limita a sborsare appena 53 milioni, neanche il 2% del totale. Per l’ufficio del segretario generale, il portoghese Antonio Guterres, è previsto un contributo superiore al milione di dollari. Dopo due mesi passati sostanzialmente a fare da spettatore di fronte all’evoluzione del conflitto, Guterres è atteso domani a Mosca per discutere con Putin di una tregua e dell’evacuazione dei civili, mentre giovedì sarà a Kiev per incontrare Zelensky. Difficile che si vada oltre le parole di circostanza, almeno stando ai pareri raccolti dalla Verità. Tanta retorica e poca sostanza, ancora una volta: più o meno il copione scritto il 7 aprile scorso, con la cacciata della Russia dal Consiglio dei diritti umani. Nelle prossime settimane verrà scelto un sostituto, individuato tra i Paesi dell’Est Europa; peccato che alle Nazioni unite non si siano ancora premurati di sciogliere una contraddizione di fondo: il Consiglio dei diritti umani da cui è stata cacciata la Russia è lo stesso che tollera al suo interno alcuni Paesi noti per non essere esattamente dei campioni di democrazia. Fino alla fine di quest’anno, per esempio, il Venezuela resterà comodamente seduto al suo posto, nonostante una missione internazionale abbia accertato «esecuzioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie, torture e altri trattamenti disumani», commessi nel Paese a partire dal 2014. Ironia della sorte, la relazione finale è stata presentata proprio al Consiglio dei diritti umani il 15 settembre del 2020. Nella Commissione sulla condizione delle donne delle Nazioni Unite è presente l’Arabia Saudita, che nella classifica sulla disparità di genere del Forum Economico mondiale occupa il posto numero 147, su un totale di 156 Paesi considerati. E che dire della Conferenza Onu sul disarmo? Nel 2018, la presidenza è stata affidata alla Siria, nonostante il governo di Damasco fosse sotto accusa per l’uso di armi chimiche contro i civili. Il calendario di quest’anno prevede un altro nome eccellente: dal 30 maggio, la presidenza della Conferenza passerà alla Corea del Nord, che non più tardi di un mese fa ha testato un nuovo missile intercontinentale balistico, per la gioia del suo leader, Kim Jong un: «La nuova arma renderà chiaro a tutto il mondo qual è il potere della nostra forza armata strategica», ha esultato il dittatore. Un benvenuto con i fiocchi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cera-una-volta-lonu-2657205898.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ha-atteso-due-mesi-per-muoversi-ma-come-possibile" data-post-id="2657205898" data-published-at="1650833106" data-use-pagination="False"> «Ha atteso due mesi per muoversi. Ma com’è possibile?» Le diplomazie sono al lavoro con una certa frenesia. La guerra in Ucraina muoverà nuovamente le pedine dello scacchiere internazionale: da una parte l’Occidente, destinato a ricompattarsi attorno alla Nato; dall’altra la Cina, che sta approfittando delle tensioni sul territorio europeo per accrescere la sua predominanza anche nell’area indopacifica. «In un futuro sistema a blocchi, che ricorda molto il periodo della Guerra fredda, non ci sarà molto spazio per l’Organizzazione delle Nazioni unite, resa impotente da un’architettura novecentesca ormai superata», ragiona Rocco Cangelosi, già ambasciatore in Tunisia, rappresentante permanente presso l’Unione Europea e consigliere diplomatico del Quirinale. Ambasciatore, domanda a bruciapelo: l’Onu è fallita? «Sarei cauto: parlare di fallimento è forse eccessivo, le organizzazioni che fanno capo alle Nazioni unite sono piuttosto variegate e svolgono compiti importanti in diverse zone del mondo. Più semplicemente, direi che l’Onu non rispecchia più gli scenari attuali». Il silenzio di fronte alle bombe in Ucraina è emblematico. «Le critiche del presidente ucraino Zelensky nel suo intervento al Consiglio di sicurezza non sono che il culmine di una situazione che si trascina da tempo: l’Onu non riesce più a essere il garante della sicurezza internazionale, della prosperità e dello sviluppo, che erano i suoi obiettivi originari. E dire che in passato, penso ad esempio alla crisi di Cuba, l’Onu ha giocato un ruolo di mediazione, almeno in parte. Lo stesso è accaduto in Iraq. Nel caso ucraino, invece, c’è una impotenza assoluta. Non è possibile che il segretario generale Guterres attenda due mesi prima di prendere un’iniziativa». Domani è previsto l’incontro con Vladimir Putin, a Mosca. Che cosa si aspetta? «È difficile pensare che possa ottenere risultati concreti. Putin potrebbe cogliere l’occasione per legittimare di nuovo la sua immagine come interlocutore internazionale, dopo le accuse di genocidio e crimini di guerra. Chissà, magari potrebbe essere nel suo interesse concedere qualcosa sul piano umanitario». Che cosa dovrebbe chiedere Guterres, secondo lei? «Il congelamento del conflitto per porre le basi di una trattativa». Mosca ha rifiutato l’ipotesi di una tregua per la Pasqua ortodossa. L’invio delle armi non si è mai arrestato e gli Stati Uniti hanno messo a punto un nuovo pacchetto di artiglieria pesante da inviare all’Ucraina per sostenere la resistenza in Donbass. Le premesse di una trattativa sono ancora lontane. «Le premesse non sono ancora mature, è vero. Ciascuno ritiene di poter avere ragione della controparte. Le armi aumenteranno la possibilità di resistenza dell’Ucraina e indeboliranno la forza offensiva della Russia. A un certo punto, però, la situazione delle truppe sul terreno dovrà pur essere fotografata: nella migliore delle ipotesi, si verificherà un congelamento del conflitto, con combattimenti a bassa intensità. Immagino una situazione simile a quella di Cipro: due Ucraine che non si riconoscono, ma che in qualche modo convivono». E nella peggiore delle ipotesi? «Entrambi cercheranno di ottenere obiettivi estremi: per Kiev significherebbe scacciare l’aggressore e far cadere il regime di Putin; per Mosca, buttare giù il governo ucraino e insediarne uno fantoccio. Il conflitto rischia di avere delle escalation pericolose, soprattutto in Europa». Lei ha scritto che il conflitto in Ucraina «segna la fine di un’epoca e postula la ricerca di nuove soluzioni istituzionali per gestire un ordine internazionale sempre più in crisi». Di fronte a uno scenario mutato, perché non provare a dare un nuovo volto anche all’Onu? «L’Onu è sottoposta a istanze di riforma da diverso tempo, l’ultima delle quali è stata avanzata dal piccolo Liechtenstein, con il sostegno degli Stati Uniti. Sul tavolo c’era anche l’idea di allargare il Consiglio di Sicurezza con i membri semi permanenti». Una riforma del genere avrebbe dei vantaggi? «A livello globale, una maggiore partecipazione nel Consiglio di sicurezza non può che portare dei vantaggi: aumentare la condivisione sui temi della pace e della sicurezza renderebbe più facile l’applicazione delle decisioni. Ma non basterebbe comunque». Per quale motivo? «La guerra in Ucraina accelera una tendenza cui assistiamo da tempo: i Paesi occidentali guardano alla Nato, come è naturale che sia. Prima Finlandia e Svezia, poi Svizzera: tutti vogliono avere la copertura dell’Alleanza atlantica. Di contro, riscontriamo i movimenti della Cina: ha suscitato un certo clamore, per esempio, l’accordo tra Pechino e le isole Salomone, che Australia e Stati Uniti considerano importanti, quasi strategiche, per quanto riguarda la predominanza nell’area indopacifica». Uno scenario da Guerra fredda taglia fuori le Nazioni unite? «Prima di recuperare i rapporti con la Russia passerà molto tempo, questa guerra peserà per generazioni: il globalismo subirà delle contrazioni e i rapporti commerciali finiranno per raffreddarsi. Alcune istituzioni nate nel dopoguerra non sono più adeguate per rispondere al mondo che ci aspetta, per fronteggiare lo scenario internazionale che si sta delineando». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cera-una-volta-lonu-2657205898.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-organismo-che-puo-fare-solo-la-volonta-dei-paesi-piu-potenti" data-post-id="2657205898" data-published-at="1650833106" data-use-pagination="False"> «Un organismo che può fare solo la volontà dei Paesi più potenti» «Le Nazioni unite sono nate sulla speranza esagerata che, in qualche modo, le grandi potenze mondiali avrebbero sorvegliato il mondo, tenendo sotto controllo il rischio di nuovi conflitti. In questi anni, è venuta fuori l’essenza dell’Onu e del Consiglio di sicurezza, in particolare: come organismo associativo, può fare solo ciò che i membri più importanti vogliono fare. E non andare oltre». James M. Lindsay è una delle voci più ascoltate negli Usa in politica estera e affari internazionali. Vicepresidente del Council on foreign relations di New York, ha spesso criticato l’immobilismo delle organizzazioni che dovrebbero lavorare per assicurare la sicurezza internazionale. In un articolo di qualche anno fa lei ha scritto: «Se non c’è la pace, l’Onu non è in grado di crearla». La sintesi si adegua anche a quello che sta succedendo in Ucraina? «Il conflitto in Ucraina mette a nudo le tante debolezze delle Nazioni unite, ma ne evidenzia anche alcuni punti di forza». Partiamo da questi ultimi, allora. Quali sono? «Le agenzie specializzate stanno facendo un lavoro importante, fornendo aiuto alla popolazione in Ucraina e ai profughi che hanno raggiunto i Paesi vicini. Il Programma alimentare mondiale o l’Unhcr - per la protezione dei rifugiati -svolgono spesso un ruolo eroico nei conflitti, che nulla ha a che vedere con le ipocrisie del Palazzo di vetro». L’Onu in balìa dei veti è di fatto inutile? «Il Consiglio di sicurezza non ha alcuna efficacia nei conflitti che coinvolgono uno o più membri permanenti, come nel caso della guerra tra Russia e Ucraina. E anche l’Assemblea generale ha scarsa capacità di incidere: al di là della condanna, espressa nella risoluzione dello scorso marzo, non vedo misure che possano convincere Putin a desistere o ritirarsi». Che cosa pensa della bozza di risoluzione per chiedere ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza di giustificare l’uso del veto? «Dubito che tutti i membri del Consiglio di sicurezza siano disposti a indebolire i propri ruoli accettando la limitazione del diritto di veto. Detto questo, la risoluzione non trasformerà improvvisamente il Consiglio di sicurezza: l’Onu può fare solo quello che tutti i membri più potenti sono disposti a tollerare. Il caso ucraino è emblematico: la Russia è stata in grado di bloccare qualsiasi azione concreta del Consiglio di sicurezza; di contro, il no di Mosca non ha impedito a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna di inviare aiuto militare all’Ucraina». Si discute della possibilità che l’Unione europea possa prendere il posto della Francia come membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La ritiene un’ipotesi plausibile? «Prima che la Gran Bretagna uscisse dall’Unione europea, si discuteva sulla possibilità che entrambi i Paesi europei potessero lasciare il seggio in favore di Bruxelles, cosa mai avvenuta. L’ipotesi potrebbe essere presa in considerazione, ma non credo accadrà: le probabilità che Parigi si privi del diritto di veto sono prossime allo zero. La carta delle Nazioni unite non contiene disposizioni per porre fine allo status di membro permanente. Nel corso degli anni, ci sono stati molti appelli per modificare la composizione del Consiglio di sicurezza, in modo da riflettere meglio la distribuzione del potere nel mondo. Alcuni primi ministri italiani hanno sostenuto l’ingresso dell’Italia, Brasile e Giappone hanno fatto lo stesso. La riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu è senza dubbio uno degli argomenti più discussi, peccato che non abbia alcuna consistenza». Insieme con l’ex ambasciatore americano presso la Nato Ivo Daalder, lei ha scritto che l’invasione russa ha «compattato il fronte occidentale più di quanto non sia accaduto in passato». Come spiega la resistenza della Germania nell’invio di armi pesanti a Kiev? «Le critiche più pesanti nei confronti del cancelliere tedesco sono arrivate dai membri della coalizione di governo, come i Verdi. Ciò la dice lunga su come questa guerra abbia sovvertito i termini del confronto politico. Come spesso accade, le turbolenze nelle coalizioni sono fisiologiche: i Paesi hanno i loro interessi, i governi le politiche interne da rispettare, ma penso che l’unità occidentale persisterà, almeno nel prossimo futuro. La vera domanda è: che cosa succederà nel lungo periodo? In Europa ci sono troppe variabili, per questo è bene evitare postulati definitivi. Tre mesi fa, c’erano persone convinte che la Russia non avrebbe invaso, che Putin stava solo bluffando. La storia invece ha preso una piega differente».
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Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.
Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.
«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.
Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.
I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.
Ansa
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.
L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.
Ansa
Sfregiata anche la targa dedicata a Gaj Tachè, il bambino di due anni ucciso nel 1982 da terroristi palestinesi. Solidarietà bipartisan alla comunità ebraica. Mattarella telefona al presidente Fadlun. Silenzio da Albanese.
In Italia la scia di ostilità contro luoghi e simboli dell’ebraismo continua a espandersi. Nella notte tra domenica e lunedì due individui hanno imbrattato le mura della sinagoga di Monteverde, a Roma, tracciando frasi come «Palestina libera» e «Monteverde antisionista e antifascista». Le scritte sono apparse lungo via Giuseppe Pianese, a pochi passi dalla targa dedicata a Stefano Gaj Taché, il bambino assassinato nell’attacco terroristico palestinese del 9 ottobre 1982, anch’essa ricoperta di vernice nera.






