2025-07-03
Il centrodestra fissa un limite al fine vita: «Il servizio sanitario non può uccidere»
Via libera al testo che recepisce le indicazioni della Consulta, Per l’opposizione evitare la morte di Stato è «privatizzazione».Il disegno di legge sul fine vita, che recepisce le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, che ha come pilastro la non punibilità dell’aiuto al suicidio in presenza di stringenti condizioni, è realtà. Il testo base è stato approvato ieri mattina dalle commissioni Giustizia e Sanità del Senato, con il voto favorevole della maggioranza e quello contrario di tutte le opposizioni. Gli emendamenti potranno essere presentati entro le 11 del prossimo 8 luglio, il testo è atteso in Aula il 17 luglio. «Per quanto ci riguarda», ha detto il senatore di Fdi Ignazio Zullo, relatore del testo insieme al collega di Forza Italia Pierantonio Zanettin, come riporta Public policy, «noi siamo pronti, come relatori, a esaminare gli emendamenti e portare a compimento il nostro lavoro per la scadenza del 17 luglio. Il testo è blindato? No, assolutamente, se blindassimo il testo non saremmo parlamentari». Il ddl è composto da soli quattro articoli. Il fulcro sta nel secondo, che modifica l’articolo 580 del codice penale: istigazione o aiuto al suicidio. Il testo prevede che «non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito formatosi in modo libero, autonomo e consapevole di una persona maggiorenne». Può chiedere il suicidio assistito chi sia affetto da «patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, ma pienamente capace di intendere e di volere, e sia tenuto in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali». Chi fa richiesta di suicidio assistito deve essere stato già inserito in un percorso di cure palliative e di terapia del dolore. La richiesta di suicidio assistito verrà vagliata da un comitato di valutazione nazionale, che sarà formato da un giurista, un bioeticista, un medico specialista in cure palliative, uno in anestesia, uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere, che acquisirà agli atti il parere non vincolante di un medico specialista nella patologia di cui il richiedente è affetto. Il comitato avrà 60 giorni, prorogabili di 30, per dare il suo parere. Infine, l’aspetto più controverso: «Il personale in servizio», si legge nel testo, «le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il sistema sanitario nazionale non possono essere impiegati al fine della agevolazione del proposito di fine vita, considerata dalla sentenza della Corte». In sostanza, a staccare la spina non potrà essere il personale di una struttura sanitaria pubblica. Una restrizione che suscita diverse perplessità: sarà un privato scelto dal richiedente a effettuare l’intervento. Siamo di fronte come è evidente a un nodo difficile da sciogliere, intorno al quale ruotano le principali critiche dell’opposizione: «La proposta sul fine vita presentata dai relatori dopo un anno», dichiara il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, «è inaccettabile. È la privatizzazione della sofferenza, è la fuga dello Stato dal suo dovere di umanità». Sulla stessa lunghezza d’onda le altre opposizioni. Molto critico anche il senatore del Pd Alfredo Bazoli, autore del testo approvato alla Camera nel corso della scorsa legislatura: «Il testo base sul fine vita approvato oggi (ieri, ndr) dalle commissioni è insoddisfacente. Sono molti i punti critici», argomenta Bazoli, «dalla stretta ai criteri di accesso rispetto a quelli stabiliti dalla Corte, al comitato nazionale troppo esiguo e composto da figure che non danno garanzie di autorevolezza, fino alla totale esclusione di un ruolo al servizio sanitario nazionale, che apre la strada a una privatizzazione del fine vita, con buona pace dell’uniformità di trattamento e della parità di accesso. Sono punti qualificanti, sui quali proveremo a intervenire con i nostri emendamenti». Dalla maggioranza, arriva il commento del capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, Maurizio Gasparri: «I relatori hanno fatto un ottimo lavoro», afferma Gasparri, «che poi sarà valutato dai parlamentari anche in base alla loro coscienza. Sono temi sui quali la valutazione dei singoli deve sempre trovare uno spazio rispetto alle posizioni dei gruppi parlamentari. La legge non sancisce il diritto al suicidio, non affida al Ssn una funzione di questo tipo. È stato fatto un buon lavoro, che può essere migliorato con gli emendamenti». Ora le strade sono due. Il testo base presentato ieri, è irricevibile per le opposizioni, ma un «no» compatto di tutte le minoranze vorrebbe dire l’affossamento del ddl, poiché nella maggioranza non mancheranno i casi di parlamentari contrari per questioni religiose o di coscienza. Quindi, se il testo resterà intatto, lo scenario più probabile è quello di una bocciatura o di uno slittamento. Considerato che dopo l’estate entrerà nel vivo il dibattito sulla legge di Bilancio, e che certamente nell’ultimo anno di legislatura il tema verrà accantonato, il centrodestra potrebbe quindi scegliere di lasciare le cose come stanno, ovvero con i giudici a decidere caso per caso. Va anche detto però che al momento una struttura pubblica che si rifiuta di seguire le indicazioni della Consulta può essere passibile di conseguenze giudiziarie, e quindi diversi governatori, anche di centrodestra, premono perché una legge ci sia. Non è un caso se le Regioni, al di là del colore politico, stiano procedendo in ordine sparso approvando o comunque mettendo in campo proposte di legge sulla materia. Non solo: lasciare tutto com’è potrebbe aprire la strada, nel caso di una futura maggioranza di sinistra, a una legge estremamente meno stringente di questa. Solo nei prossimi giorni capiremo se ci sono i margini per un’intesa maggioranza-opposizione oppure se si andrà alla conta e alla probabile bocciatura del ddl.