2020-03-12
Centri di accoglienza sovraffollati. Bomba sanitaria pronta a esplodere
L'allarme viene dagli stessi immigrati della struttura emergenziale del Cas di Bologna, dove vivono 200 persone che dormono anche in dieci in una camerata. E poi escono e lavorano a contatto con altri.Nelle città italiane blindate a causa del coronavirus, fra le vie dello shopping deserte se non per qualche massaia con le buste della spesa e la mascherina sul volto, esistono delle vere e proprie bombe sanitarie pronte a esplodere. Si tratta dei centri d'accoglienza. L'argomento è spinoso, perché qualsiasi associazione tra la tematica migratoria e problemi di ordine sanitario viene automaticamente derubricata a fake news razzista. Eppure, stavolta a lanciare l'allarme sono gli immigrati stessi. O, meglio, le Ong che parlano a loro nome. Il Coordinamento migranti di Bologna ha infatti scritto una lettera aperta alle autorità locali per denunciare i pericoli del locale Cas (Centro di accoglienza straordinaria). La situazione descritta appare in effetti preoccupante: «Molti di noi», recita la missiva, «lavorano uno accanto all'altro, notte e giorno, all'Interporto, dove in alcuni magazzini il lavoro è raddoppiato per star dietro alla grande richiesta di merci causata dal panico dell'epidemia. Quando dobbiamo riposare ritorniamo all'affollamento dei centri di accoglienza. In via Mattei viviamo in più di 200 e dormiamo in camerate che ospitano cinque o più persone, spesso anche dieci, con letti vicini, uno sopra l'altro. Molte di queste stanze non hanno nemmeno le finestre per cambiare l'aria. Alcuni dormono in container, anch'essi sovraffollati, anch'essi senza finestre. La situazione non è molto diversa in altri centri della città, come lo Zaccarelli e Villa Aldini». Alla fine sono proprio i firmatari della lettera (cioè «i migranti e le migranti che vivono nelle strutture dell'accoglienza della città di Bologna») a domandarsi: «Perché prefettura, questura, Regione e Comune non considerano l'affollamento dei centri di accoglienza un rischio per il contagio?». Già, perché? Gli estensori dell'appello, ovviamente, danno la colpa a Matteo Salvini e ai suoi decreti. Come se, prima di Salvini, i centri d'accoglienza fossero dei golf club. Come se l'affollamento fosse colpa di chi ha chiuso i porti e non di chi li ha spalancati. Speculazioni politiche a parte, il tema resta serio. Non certo perché gli immigrati siano «geneticamente» predisposti a fare da untori, come vorrebbe il sovranismo caricaturale così come è rappresentato dai media di sinistra, ma per il carattere strutturalmente caotico e ingestibile del business dell'accoglienza. Introdotti per sopperire alle carenze del sistema Sprar (oggi Siproimi), i Cas sono strutture emergenziali, pensate per sopperire agli «arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti» che non sia possibile accogliere tramite il sistema ordinario, come recita la legge. Come spesso accade in Italia, l'emergenza diventa la norma e oggi i Cas assorbono il 75% delle presenze di immigrati in Italia. Secondo dati del 2018, soltanto in una gara di appalto su quattro per l'apertura di Cas veniva stabilito un limite inferiore ai 60 ospiti per centro di accoglienza, mentre nel 68% dei casi si trattava di strutture in grado di accogliere tra gli 80 e i 300 ospiti, se non di più.Gli standard di sicurezza e di igiene di questi centri sono noti a chi segue le cronache: un po' per ideologia, un po' per lucro, si ammassa gente ovunque, risparmiando su tutto quello che si può risparmiare. Cosa possa accadere qualora il coronavirus entri in queste strutture è facile immaginarlo, tanto più che, come specifica la stessa lettera degli immigrati di Bologna, gli ospiti dei Cas non sono certo confinati nei centri, ma escono e lavorano, anche in questi giorni, a contatto con altri migranti e con italiani.Diversa, invece, la questione sugli eventuali infetti in arrivo sui barconi (che comunque, come per magia, hanno al momento cessato di arrivare: ma non era un esodo impossibile da fermare?). Per ora, secondo i dati ufficiali, l'Africa sembra registrare relativamente pochi contagi, anche se trattandosi di una malattia che ha molti pazienti asintomatici o paucisintomatici, il dubbio che dei sistemi sanitari meno attrezzati possano non avere il polso della situazione è forte. «La nostra più grande preoccupazione è la possibilità che il virus si diffonda in Paesi con sistemi sanitari più deboli», aveva commentato a caldo il capo dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Le paure a riguardo dovrebbero comunque essere azzerate dalle quarantene automatiche cui vengono sottoposti gli immigrati che sbarcano da noi. Sempre che lo sbarco sia regolare. Diverso è il caso dei cosiddetti sbarchi fantasma, come quelli degli algerini in Sardegna, susseguitisi nel corso degli ultimi mesi. E l'Algeria, al momento, è una delle nazioni africane in cui il virus si sta diffondendo in maniera più visibile. La situazione, insomma, va tenuta d'occhio. Senza isterie, ma anche senza sottovalutazioni dettate dall'ideologia.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)