2025-04-07
Eroe e irresponsabile. Così Céline ammaliò la generazione Beat
Louis-Ferdinand Céline (Getty Images)
Burroughs e Ginsberg lo omaggiarono nella sua casa vicino a Parigi. Non furono i soli insospettabili a subirne il fascino... L’8 luglio del 1958 al cancello della casa di route des Gardes in cui abitava Louis-Ferdinand Céline si presentarono - accolti dalla voce dei numerosi cani dello scrittore francese - due curiosi personaggi. Céline con tutta probabilità ignorava chi fossero, forse ne ha subito la presenza come si subiscono le visite degli scocciatori. O forse, chissà, fu persino lusingato. I due avventori erano, in verità, di tutto riguardo: si chiamavano William Seward Burroughs e Allen Ginsberg, che ben presto si sarebbero guadagnati uno scranno nel pantheon della letteratura mondiale. A scoprire la grandezza di Céline era stato - cosa non sorprendente - il raffinato Burroughs, che aveva regalato agli amici/discepoli il Viaggio al termine della notte già a metà degli anni Quaranta. In effetti, la potenza corrosiva di Céline riverbera nei romanzi allucinati di Burroughs, probabilmente più a livello di suggestione, di atmosfera (e forse di filosofia) che non di stile.In quei giorni del 1958, Bill e Allen si trovavano a Parigi, alloggiavano nello scalcinato albergo ribattezzato Beat Hotel, dove tutti gli intellettuali del loro giro avevano trascorso almeno un periodo di tempo. Tutti tranne Jack Kerouac. A dirla tutta, in quel periodo i rapporti con Jack non erano dei migliori. Burroughs inviava a Ginsberg lettere cariche di insofferenza nei riguardi di Kerouac. Lo accusava di volersi tenere a distanza da lui, di essere influenzato e controllato dalla madre, di essere un fastidioso «cattolico-buddista». Era davvero furente: «In realtà», scriveva all’amico Allen, «quel che vuole è fare il nazista e allo stesso tempo tenersi gli amici ebrei. In parole povere non ama sua madre, si caga a morte di sua madre, cerca di distaccarsi da tutta la situazione per via di un buddhismo non illuminato (il buddhismo senza la consapevolezza psicoanalitica è solo un ciclo infinito di ansie, di circoli delimitati) e ora si schiera con lei in quell’indegna bastardata intellettuale del buddhismo cattolico... E l’unica via d’uscita possibile, la psicoanalisi, la rifiuta in quanto “decadente, europea, ebrea, antiamericana”. Oddio, è senza speranza! Sembra che si sia scordato di tutte le ore che hai passato a portare i suoi manoscritti agli editori, agli agenti, ecc...».Qualche ragione l’avevano. Le paranoie di Kerouac a volte esondavano, tendeva a vedere complottardi e sovversivi ovunque, vagheggiava di rivolgersi all’Fbi per denunciare i suoi sodali scrittori sovversivi. Da questo punto di vista, Jack può ricordare il Céline più torbido e angustiato. In ogni caso, egli aveva pur mutuato qualcosa dalla lettura del sulfureo francese. «Louis-Ferdinand Céline era medico nei quartieri poveri di Parigi. Quando leggo le sue diatribe sulla sofferenza assurda di qualcuno dei suoi malati, sento istintivamente che era anche di una sensibilità estrema, e infatti, un medico pieno di bontà», ebbe a scrivere Kerouac. «Quando lessi Voyage au bout de la nuit, ebbi l’impressione d’assistere al più grande film francese che sia mai stato girato, Quai des brumes, in versione super divina, mille volte più triste dell’espressione di Jean Gabin o della lugubre lascivia di Michel Simon o del carnevale in cui piangono gli amanti… Mi sembrava che Céline fosse veramente lo scrittore francese più compassionevole della sua epoca». In qualche modo, ci aveva visto giusto: Céline fu senz’altro furibondo e violento, ma anche profondamente interessato (come artista) alla sorte dell’uomo e, nel quotidiano, ai destini minuti delle persone.Burroughs e Ginsberg lo incontrarono di persona, ma non sembrarono cogliere questo aspetto. Il resoconto fornito da Bill è piuttosto scarno: «Camminammo per circa mezzo miglio nel cadente quartiere suburbano, villini mal ridotti con le facciate tutte scrostate, sembrava di stare nei sobborghi di Los Angeles - e all’improvviso udimmo una grande cacofonia di cani che abbaiavano. Cani molto grossi, a giudicare dall’abbaiare», scrisse. «Ecco Céline che urla ai cani, scende nel viottolo e ci fa segno di entrare. Sembrava contento di vederci. Ci sedemmo a un tavolo situato in un cortile piastrellato dietro ad un edificio a due piani e sua moglie, che insegnava danza e aveva una scuola, portò del caffè. Céline era proprio come ce lo eravamo immaginato. Indossava un vestito scuro, era avvolto da sciarpe e scialli; di tanto in tanto si potevano udire abbaiare e ululare i cani rinchiusi in un recinto dietro la villa. Allen gli chiese se avessero mai ammazzato qualcuno, e Céline rispose: “Nooo! Li tengo solo per il fracasso”».In una conversazione registrata a Naropa, nel 1985, Ginsberg e Burroughs ricostruirono l’accaduto assieme a Gregory Corso. L’incontro con Céline durò circa due ore, fu cordiale ma niente di più. «Gli abbiamo dato una copia di On the road», ricordò Ginsberg. «E gli abbiamo dato una copia di Pasto nudo». E Burroughs aggiunse: «Sì, Junkie. Ma ho capito dal modo in cui li ha toccati e messi da parte che non li avrebbe mai più guardati. Ti posso assicurare che non l’ha mai fatto». Già: Céline non li considerò granché, ma di sicuro accettò i loro complimenti. Salutandolo, Ginsberg gli disse: «Noi rendiamo onore dall’America al più grande scrittore di Francia!». Lucette, moglie di Louis-Ferdinad, aggiunse di rimando: «Dell’universo!». Questo episodio, in ogni caso, rende bene l’idea dell’influenza che Céline esercitò sulla generazione di scrittori contemporanea e appena successiva alla sua. In varia misura e con sfumature diverse, i suoi capolavori illuminarono una straordinaria platea di artisti. Tra questi anche Henry Miller, un altro molto più simile a Céline di quanto non si ammetta di solito. Già nel 1942, Miller scriveva a Lawrence Durrell: «Ho appena terminato di leggere Morte a credito di Céline. Stranamente mi ci sono voluti più di due anni. Ho bighellonato per le ultime duecento pagine. Splendido, feroce. Penso davvero che sia il più grande scrittore oggi in vita. Dopo aver sconfitto le potenze dell’Asse, dovranno battere Céline: ha più dinamite lui di quanto ne abbia mai avuta Hitler. È un odio continuo, e per tutta la razza umana; ma che allegria!».C’è in effetti un filo che lega gli estimatori di Céline, i quali non soltanto sono stati da lui influenzati ma si sono anche influenzati anche fra loro. Prima Miller poi Burroughs poi Bukowski. E, in contemporanea, tanti altri celebri e meno noti. Sempre del 1958 è una lettera che René Barjavel - strabiliante autore francese che viene riscoperto soltanto adesso in Italia - scrisse al collega destrorso Albert Paraz, gran difensore di Céline: «Per me, il ventesimo secolo ha avuto finora un solo innovatore: Ferdinand. E direi addirittura un solo scrittore. Spero che questo non ti offenda. Lui è così al di sopra di noi. È normale che venga torturato e perseguitato. È terribile scrivere questo quando si pensa che egli è un uomo vivo, ma allo stesso tempo, a causa della sua grandezza, non si può fare a meno di considerarlo fuori dal tempo e dalle contingenze che lo schiacciano. Credo fermamente che quanto più un uomo è grande, tanto più si espone al dolore di tutti. La tranquillità è solo per i mediocri, per coloro la cui testa scompare tra la folla. Céline vorrebbe tornare a Parigi o in Francia e tu stai facendo tutto il possibile per aiutarlo, ma di’ a te stesso questo: ovunque si trovi, sarà perseguitato. Il suo desiderio di trovare la pace in un posto diverso da quello in cui si trova è solo un sogno. Non troverà pace da nessuna parte. Sarà perseguitato fino alla morte; ovunque vada. E lo sa bene. E lui non può farci niente, e neanche noi. Non possiamo far altro che proclamare, in ogni occasione, che egli è il più grande, e anche facendo questo attiriamo su di lui l’odio decuplicato dei piccoli, dei mediocri, dei castrati, di tutti coloro che scoppiano di odio geloso non appena alziamo la testa per mostrare loro le vette. Sono la moltitudine».Meno netto, e per questo ancora più interessante, fu il giudizio di Maurice Bardèche, critico e giornalista che con Céline aveva condiviso se non altro la vicinanza al fascismo. Italia Storica edizioni pubblica ora il suo fiammeggiante saggio intitolato semplicemente Louis-Ferdinand Céline, a cura di Moreno Marchi. Un libro di affascinante lettura, che a tratti spiega Céline come pochi altri. Riguardo al Viaggio al termine della notte, ad esempio, Bardèche nota: «L’improvvisa scoperta di non sapere dove si è, perché si è, quel che Sartre chiamerà la “nausea”, può sopraggiungere come una rivelazione, un colpo al cuore. In un istante la vanità del tutto appare tramite una “destabilizzazione”, una disfatta dell’intero essere». Questo è, in fondo, il Céline: un amante degli uomini che osserva lo sgretolarsi di tutto, che inveisce - invasato - contro la volontà di autodistruzione degli uomini stessi. E, insieme, un formidabile ingannatore. «Egli venne indotto all’esibizionismo dalla persecuzione», scriveva Bardèche. «Il suo esempio fu edificante: s’era lanciata contro di lui una muta, che lo aveva costretto a far fronte e a difendersi, che aveva distrutto in lui lo scrittore, facendone un animale di bosco non potente far altro che emettere delle grida, malgrado lui esibizioniste. Era divenuto un esibizionista perché aveva dovuto giustificarsi: come Jean-Jacques Rousseau, come Léon Bloy».Bardèche ci offre un ritratto onesto. Non idolatra lo scrittore Céline e al tempo stesso non infierisce sull’antisemita Louis-Ferdinand che aveva già pagato piuttosto cari i suoi libelli carichi d’odio. «Era stato esaltato e violentemente attaccato. Era stato ammirato e odiato. Tali contrasti non mi dispiacquero», dice Bardèche. «Ma più ne avevo conoscenza, più li trovavo estranei alle qualità che amo trovare in un uomo. Mi apparve fanfarone, bugiardo, arrogante, chiacchierone, tonitruante prima e lagnone poi. Ammirai il suo coraggio allorquando si fece tribuno. Vedevo un intrepido volontario affrontare l’odio, rischiare la vita. L’impetuosa carica mi fece dimenticare quanto di lui sapessi. Mi apprestai ad ammirarlo nelle tribolazioni. Quelle da lui attraversate rinnovarono la mia simpatia: pensai alla prigione di Tasso, alle infermità di Cervantes. L’incontro mi deluse: lo scoprii egocentrico, ingiusto, stridulo, vanitoso come un uccello di cortile. Cos’è uno scrittore che non accetta la responsabilità di quel che ha scritto, quando quel che ha scritto è stato per altri mortale? Capii che egli fu al contempo un eroe ed il suo contrario: un irresponsabile».Eroe e irresponsabile: forse la verità su Céline (o comunque una verità parziale) è tutta qui. Egli fu entrambe le cose. E chissà, può darsi che ciò gli abbia permesso di narrare meglio di altri la miseria umana che egli stesso incarnava.
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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