2025-01-13
Sala, caso chiuso: Abedini riportato in Iran
Cecilia Sala e Mohammad Abedini Najafabadi (Ansa)
L’accusa mossa dagli Usa all’ingegnere di Teheran «non ha corrispondenze nell’ordinamento penale italiano»: Nordio ha chiesto la revoca del suo arresto e i nostri 007 l’hanno accompagnato in patria. Il regime commenta: «Con Roma relazioni positive».E alla fine abbiamo portato a casa, dopo la ventinovenne giornalista Cecilia Sala, anche il trentottenne ingegnere-imprenditore svizzero-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, presunto «uomo dei droni» ricercato dagli Stati uniti e scarcerato ieri dal carcere milanese di Opera, su richiesta del ministro Carlo Nordio.Un Dassault Falcon 900 LX (siglato I-BCBG) della Compagnia aeronautica italiana (la Cai, quella dei nostri servizi segreti), livrea bianca e bandierina tricolore sulla coda, è decollato dall’aeroporto di Milano Linate alle 12:47 ed è atterrato dopo 3.561 chilometri e 4 ore e 48 minuti di trasvolata all’aeroporto di internazionale Mehrabad di Teheran. Erano le 17:35 italiane, le 20:05 locali. Dopo meno di due ore, alle 19:12 (21:42), il velivolo è ripartito, con ogni probabilità in direzione Roma. Per arrivare in Iran è sceso lungo la Costa adriatica, ha virato sulla Grecia, ha sorvolato la Turchia e, finalmente, è atterrato nella capitale della Repubblica islamica con il suo prezioso carico.Finisce, così, la telenovela Sala-Abedini. La vicenda poteva diventare una piccola Sigonella 2 ma è stata gestita in modo meno muscolare anche se, secondo il New York Times, il premier Giorgia Meloni su questo dossier avrebbe esibito persino una certa dose di aggressività nei confronti del presidente eletto Donald Trump. Il tycoon avrebbe dato il via libera allo scambio, ricevendo in cambio la promessa della condivisione del contenuto di quanto sequestrato ad Abedini dopo l’arresto, avvenuto lo scorso 16 dicembre, nell’aeroporto di Malpensa da parte degli agenti del Federal bureau of investigation (Fbi).Risultato: la cronista italiana è tornata a Roma e l’imprenditore informatico è stato rispedito in patria. Che le due partite fossero collegate era noto da tempo, nonostante le smentite di prammatica, e alla fine lo scambio tra i due prigionieri è avvenuto, sebbene in differita. La liberazione di Abedini è arrivata, ieri, a sorpresa.L’uomo era bloccato in Italia per la richiesta di estradizione da parte degli Usa, che lo accusano di aver esportato «sofisticati componenti elettronici in Iran» e tutti erano in attesa della pronuncia, prevista per dopodomani, della Quinta sezione della Corte d’appello di Milano (quella che si occupa di collaborazione giudiziaria, dai mandati di cattura internazionali alle estradizioni) sull’istanza di scarcerazione presentata dall’avvocato Alfredo De Francesco a nome del suo cliente, l’ingegnere iraniano. La richiesta del legale aveva il parere negativo della Procura generale.Probabilmente questa apparente inflessibilità deve aver convinto il governo a depositare la richiesta di revoca degli arresti per il cittadino iraniano prima che una pronuncia del tribunale la rendesse più difficoltosa. A quel punto si è riunito d’urgenza un collegio della Quinta sezione della Corte d’appello che ha fatto rilasciare Abedini già nella tarda mattinata di ieri. Anche perché la questione delle estradizioni è più materia politica che giurisdizionale.«La decisione presa dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ci ha felicemente sorpresi. Ora il mio cliente è persona libera e potrà riprendere a sorridere e sperare. Mi ha sempre ripetuto che lui credeva e aveva fiducia nella giustizia», ha commentato l’avvocato di Abedini. Quando l’iraniano era già decollato, il Guardasigilli ha fato diffondere la notizia della richiesta di revoca dell’arresto. Un comunicato illustrava la ratio: «In forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il governo degli Stati Uniti d’America e il governo della Repubblica italiana, possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente».Nordio & C. hanno precisato che la contestazione di «associazione a delinquere per violare l’Ieepa (International emergency economic powers act, legge federale statunitense) non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano».La nota elencava anche gli altri motivi che hanno portato alla richiesta di scarcerazione: «Quanto alla seconda e terza condotta, rispettivamente di “associazione a delinquere per fornire supporto materiale a una organizzazione terroristica con conseguente morte” e di “fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte”, nessun elemento risulta, a oggi, addotto a fondamento delle accuse rivolte emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici aventi potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari». A questo va aggiunto che i Pasdaran, le guardie rivoluzionarie dell’Iran, i presunti beneficiari delle tecnologie gestite da Abedini, non sono considerati terroristi dall’Unione europea.Ieri il Judiciary media center iraniano, attraverso l’agenzia di stampa ufficiale di Teheran, l’Irna, ha annunciato il rimpatrio di Abedini e dalla Repubblica islamica hanno fatto sapere che l’arresto «è stato il risultato di un malinteso» e che a occuparsene è stato «il ministero degli Affari esteri». È stato anche puntualizzato che «le trattative tra le unità competenti del ministero dell’Intelligence della Repubblica islamica dell’Iran e il servizio di intelligence italiano (Aise, ndr) hanno risolto il problema e hanno portato al suo rilascio e ritorno».Le fonti iraniane, citando i media italiani, hanno sottolineato «le relazioni positive e in espansione tra i servizi di intelligence iraniani e italiani». Un riconoscimento degli ottimi rapporti tra 007, legami che hanno portato al fruttuoso scambio tra prigionieri. Con tanto di consegna a domicilio di Abedini.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)