2022-04-19
Abbiamo il piano anti-Covid. Peccato non serva per il Covid
A oltre due anni dal primo contagio, il direttore generale del ministero di Roberto Speranza risponde ai parenti dei morti di Bergamo: «Il nuovo strumento non riguarda la pandemia in corso». Molto rassicurante...C’è di positivo, nelle dichiarazioni rilasciate da Mario Draghi a Pasqua, che i toni utilizzati sono leggermente diversi da quelli solitamente esibiti negli ultimi due anni dagli esponenti di governo. Il presidente del Consiglio non ha battuto sul consueto tasto del terrore preventivo, ma non ha nemmeno mostrato la sicurezza che sconfina nella sicumera tipica di altri politici smargiassi. Riconosciuto il maggior tasso di moderazione, tocca però constatare la presenza nei suoi ragionamenti di alcuni luoghi comuni apparentemente inossidabili, concetti e frasi che i governanti hanno ripetuto talmente tante volte da essersi convinti da soli (fermo restando che la popolazione di convinzione ne ha giustamente un po’ meno). «Con questo virus è molto difficile fare previsioni, ma possiamo affermare con certezza che la campagna di vaccinazione è stata un grande successo», ha detto Draghi. «Secondo uno studio dell’Iss la campagna vaccinale ha evitato circa 150.000 decessi, un numero enorme. Siamo passati da essere uno dei Paesi più colpiti a un esempio virtuoso di ripresa». Ecco, questa storia dell’esempio virtuoso, del modello che il mondo ci invidia, sarebbe ora di riscriverla, magari sottoponendo a revisione critica la gestione dell’emergenza praticata del 2020 a oggi. A quanto pare, tuttavia, nessuno ha intenzione di accollarsi l’ingrato compito.Dunque si prosegue così, battendosi vigorose pacche sulle spalle senza valide motivazioni. Draghi, comunque sia, ha voluto intestarsi la parte dell’ottimista. «Se ci dovesse essere un nuovo peggioramento», ha detto, «siamo molto più preparati che in passato, una preparazione che è culturale e sociale, oltre che degli ospedali e delle istituzioni. Le strutture che abbiamo creato durante l’emergenza rimangono in piedi e continueremo a investire nella sanità proprio per essere pronti a qualsiasi evenienza». Ebbene, qui comincia a sorgere qualche dubbio. Il fatto di essere molto più preparati che in passato non è certo un vanto, visto che all’arrivo della pandemia eravamo completamente impreparati su ogni fronte. Inoltre, il fatto che rimangano in piedi le «strutture» create durante la pandemia non è esattamente un motivo di gioia. Significa che alla prima occasione green pass, colori, chiusure e discriminazioni torneranno a martoriare il corpo già esausto della nazione? Molto probabile.Infine, il punto nodale: siamo davvero «pronti a qualsiasi evenienza»? In realtà no. E a dirlo non siamo noi ignoranti giornalisti, ma addirittura il ministero della Salute, nella persona del direttore generale Giovanni Rezza. A una richiesta di accesso agli atti avanzata dall’avvocato Consuelo Locati per conto dell’associazione che riunisce i famigliari delle vittime di Bergamo, Rezza ha fornito una risposta piuttosto interessante su carta intestata ministeriale. Il super esperto ha illustrato sommariamente i contenuti del cosiddetto PanFlu, ovvero il «nuovo Piano strategico operativo nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale 2021-2023». Come noto, all’arrivo del Covid l’Italia non aveva un piano pandemico funzionante: ne aveva uno del 2006, dunque datato, e nemmeno quello fu utilizzato. Nei mesi passati, anche a seguito delle enormi polemiche esplose sulla questione, tecnici, medici e funzionari del ministero si sono messi all’opera per produrre un nuovo piano che, in effetti, è stato pubblicato e presentato all’inizio di quest’anno. Verrebbe da pensare, dunque, che i luminari delle istituzioni abbiano lavorato in fretta e furia per fornirci un piano utilizzabile contro nuove, eventuali ondate di Covid o contro altre possibili epidemie.Le cose, però, non stanno così. «È necessario precisare», scrive in proposito Rezza, «che il virus Sars-CoV-2 è un virus diverso da quello dell’influenza e che, come specificato nella premessa, il suddetto Piano strategico “pur facendo tesoro di quanto appreso dalla pandemia in corso, si focalizza […] sulla preparazione rispetto a scenari pandemici da virus influenzali”. Si sottolinea che nella prospettiva di una pandemia influenzale siamo attualmente in fase interpandemica, per cui le azioni condotte fanno riferimento a tale fase. Il PanFlu, infatti, non è uno strumento di gestione della pandemia in corso ma di preparazione e gestione di un’eventuale futura pandemia da virus influenzali».Si tratta di una serie di affermazioni piuttosto curiose che merita decrittazione. Tanto per cominciare, nei documenti ufficiali di livello internazionale alla pandemia di Covid ci si riferisce molto spesso con le parole Pandemic influenza. Ergo è singolare che il nuovo piano italiano PanFlu non copra il Covid. Il documento, dice Rezza, ne recepisce la lezione, fa tesoro di quanto abbiamo appreso in questi anni, ma nonostante ciò non c’entra con il Covid. Davvero strano. Eppure - a detta di numerosi esperti - persino il piano pandemico del 2006 avrebbe potuto servire contro il nuovo virus Sars, quindi non si vede perché quello 2021-2023 non lo riguardi. Viene da pensare (male) che sia passata la linea di Roberto Speranza, il quale per cavarsi dagli impicci ha più volte ribadito che il vecchio piano pandemico non sarebbe servito contro l’attuale virus. Se la linea del ministro è quella, difficile che i suoi sottoposti la contraddicano al momento di pubblicare il nuovo piano. Ma questo è il meno: gli interrogativi più pressanti sono altri due. Il primo è: se questo nuovo piano non serve a proteggerci dal Covid, significa che non abbiamo un piano Covid funzionante. O, meglio, significa che saremo costretti ad affrontare una nuova eventuale ondata con gli strumenti del recente passato, proprio come a detto Draghi. Insomma, invece di un approccio meditato e fondato sulla attenta valutazione delle misure prese finora, andremo all’impronta, mantenendo il solito approccio spannometrico ed emotivo utilizzato dall’inizio dell’emergenza. Di certo non è confortante.Secondo interrogativo. Se il nuovo piano non serve contro il Covid, a che serve? Stando a Rezza, serve contro altre possibili pandemie influenzali. Di nuovo, qualcosa non torna. Secondo Speranza, non si poteva avere un piano contro il Covid perché non conoscevamo il Covid. Usando la stessa logica, non dovremmo nemmeno scrivere altri piani, perché non abbiamo idea di che cosa arriverà, no? In realtà, i ragionamenti in stile Speranza non hanno senso: i piani si fanno prima apposta, e sono utili anche in casi di pandemie simili all’influenza di cui non conosciamo tutti i dettagli. Ne consegue che il piano PanFlu potrebbe andar bene anche per il Covid, oltre che per eventuali nuovo malattie.Piccolo inconveniente. Se anche il PanFlu 2021-2023 non servisse per il Covid ma per altro, resta il fatto che non può essere applicato, perché è incompleto. Mancano alcuni passaggi fondamentali. «Non è ancora stata completata la parte preparazione del piano PanFlu 2021», spiega il generale Pierpaolo Lunelli, uno dei massimi esperti italiani della questione piano pandemico. «Solo per citare un esempio, sappiamo che la comunicazione dei rischi per il pubblico è elemento chiave per le decisioni del governo, cosa che è diventata molto più difficile negli ultimi anni a casa della moltiplicazione dei media. Tale comunicazione», prosegue Lunelli, «deve essere aperta, trasparente, e coinvolgere gli stakeholder. Ma la comunicazione del rischio non serve soltanto a questo, ma pure a fornire informazioni equilibrate per orientare il pubblico a prendere le decisioni più sagge. E questa parte del nuovo piano la avremo, speriamo, soltanto nel 2024».In sostanza, secondo Lunelli l’Italia potrà affrontare un’eventuale quinta ondata di Covid utilizzando gli stessi strumenti utilizzati finora (e non è entusiasmante, a nostro avviso). Ma «diverso è il caso di un nuovo coronavirus, che magari si potrebbe mimetizzare con quello che sta ancora imperversando nel mondo. Tutto è possibile. E in questo caso non possiamo affermare che siamo pronti». In sintesi, il ministero ha prodotto un piano pandemico, che - a detta del ministero stesso - non serve contro il Covid. Ma non serve nemmeno contro altro perché non si può usare in quanto incompleto: diverrà utilizzabile, nella migliore delle ipotesi, a partire dal 2024.Se realmente stiamo investendo per essere «pronti a qualsiasi evenienza», non sembra che stia funzionando granché.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci