2022-01-20
C’è il rischio degli scaffali vuoti. Comparto alimentare verso lo stop
Il caro energia e materie prime, le quarantene e i divieti Covid mettono in pericolo il 35 % del Pil fra turismo ed enogastronomia. Di nuovo in crisi il settore fiere. La folle corsa delle bollette sta bloccando le produzioni.Ciò che non è successo quando l’Italia chiuse per virus sta per succedere adesso: scaffali dei supermercati vuoti come le tasche dei cittadini. L’agroalimentare italiano - mal contato vale con annessi e connessi 360 miliardi, un quinto del Pil - è sull’orlo della chiusura per il combinato disposto dell’effetto caro bollette e materie prime e quarantene. Se si aggiunge anche il turismo soffocato dalla clausura virale ci stiamo giocando il 35% del prodotto interno lordo. Non passa giorno che un settore non accenda la spia rossa. L’ultimo è quello delle fiere. Il Salone del mobile di Milano è già stato spostato a giugno. È emblematico; durante il Covid duro chiuse, oggi slitta, a significare che la linea del rigore del duo Roberto Speranza Mario Draghi non immunizza l’economia infettata non tanto dal Covid quanto dalla gestione iperburocratizzata della (presunta) emergenza. Il settore delle Fiere - vale all’incirca 60 miliardi - è di nuovo in crisi. A trascinarcelo sono i vaccini. Lo dichiara il presidente dell’associazione di categoria, Maurizio Danese, che chiede al Governo: lasciate entrare gli stranieri immunizzati con sieri non riconosciuti dall’Ema o per noi è la fine. Nella miopia rigorista del ministro della Salute, Roberto Speranza, in Italia non può entrare, se non dopo la quarantena e una raffica di tamponi, chi non è vaccinato con i sieri riconosciuti dall’Europa e dall’Italia. Danese spiega: «Siamo costretti a rinunciare agli operatori provenienti da Cina, Russia, Corea, Giappone, Medio Oriente. Quasi tutte le fiere internazionali del primo bimestre hanno dovuto rinviare a primavera, ma rischiano di saltare definitivamente». È la medesima ragione per cui sta andando in crisi l’agricoltura: mancano i lavoratori stranieri che sono stati vaccinati con Sinovac (il siero cinese e arrivano dall’Africa) o con Sputnik (all’Est). Luigi Scordamaglia - consigliere delegato di Filiera Italia - denuncia: «La produzione agroalimentare italiana e con essa la crescita del nostro export rischiano di essere messe in ginocchio dalle assenze per quarantene Covid che arrivano anche al 30% dei lavoratori del settore. Andremo a un brusco stop della produzione con conseguenze economiche disastrose».Ad amplificare quello che si potrebbe chiamare «l’effetto Speranza» ci pensa il caro bollette. Il governo ha in mente di intervenire con 10 miliardi ulteriori per ridurre l’impatto della febbre energetica. Potrebbe intanto azzerare l’Iva e gli oneri di sistema che pensano sulle piccole e medie imprese per 5 miliardi. Ma non basta perché l’impatto del caro materie prime, delle tensioni inflattive e soprattutto della folle corsa delle tariffe energetiche ormai sta bloccando le produzioni. Che l’agroalimentare sia in riserva lo denunciano con una presa di posizione congiunta sia l’Alleanza cooperative che Federalimentare: insieme fanno il 90% della produzione nazionale. I due presidenti, Giorgio Mercuri e Ivano Vacondio, hanno inviato una lettera - il governo per ora non ha gentilmente risposto - a Mario Draghi in cui avvertono «del rischio paralisi». Il costo dell’energia elettrica è passato in media dai 40 euro a 300 euro per ogni megawatt/ora, e quello del gas da 0,17 al metro cubo a 1,30 euro. A questi aumenti vanno sommati quelli delle materie prime - grano, mais, soia, tanto per dirne alcuni, subiscono aumenti del 300% - degli imballaggi e dei trasporti che stanno portando i costi aziendali ormai fuori controllo. Si va dal più 61% del legname al 31% del cartone, dal caro lattine (la banda stagnata costa il 60% in più) alla plastica per agroalimentare (+72%), e al vetro (+40%) che ormai si comprano in gioielleria. E per trasportare la merce il salasso è mostruoso: dal 400% al 1000 per cento in più per container e noli marittimi. Molte aziende «stanno valutando il blocco di alcune linee di attività e, nei casi di maggiore difficoltà, la chiusura degli impianti di trasformazione, col rischio di drammatiche conseguenze sociali e occupazionali». Ivano Vacondio prevede nel giro massimo di un bimestre la chiusura dalla stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese del settore. Anche perché - sottolineano Alleanza e Federalimentare - «le attuali dinamiche commerciali con la Grande distribuzione escludono la possibilità di una revisione dei prezzi che possa compensare i maggiori costi sostenuti». Su questo punto anche altre organizzazioni come Fruitimpresa - guidata da Marco Salvi che riunisce i 300 più importanti produttori di ortofrutta per circa 8 miliardi di fatturato - e l’Unione dei pataticoltori hanno già dichiarato che se non vengono ritoccati i listini non è conveniente raccogliere. Col rischio di dipendere ancora di più dall’importazione rimettendoci in valore e in qualità. E qui c’è un altro problema per il governo: il crollo della domanda che mina la ripresa. L’inflazione nel settore alimentare in un mese è raddoppiata (dal più 1,2 per cento di novembre al più 2,4% di dicembre, lo dice l’Istat). C’è l’effetto lockdown strisciante - tra lavoro da casa e quarantene - e c’è l’effetto green pass che si sommano a determinare il crollo dei consumi. Visto dal bancone degli alimentari, il virus fa davvero paura. Ma non è detto che sia il Covid.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)