2024-05-01
Così i cattivi maestri hanno aizzato i campus
I pro Palestina occupano un edificio alla Columbia, all’università di Los Angeles sbarrano l’ingresso a uno studente ebreo. Sono i risultati dell’indottrinamento woke: «poesia postcoloniale» al posto dei classici, preghiere alla «madre terra» e dogmi ecologisti.In certe università, da Parigi a New York, sembra di essere tornati al maggio del 1968. Nella Grande Mela, gli studenti filopalestinesi della Columbia che, da giorni, sono accampati nell’ateneo e gridano slogan contro Israele, hanno fatto irruzione nell’edificio Hamilton - un tempo teatro delle proteste contro il razzismo e la guerra nel Vietnam - e lo hanno subito ribattezzato: non dovrà essere più intitolato al padre fondatore degli Stati Uniti; sarà dedicato a Hind Rajab, la povera bimba araba uccisa dai militari israeliani mentre chiamava un’ambulanza. Una crudeltà, arruolata per l’ultima crociata iperpolitica della cancel culture: recidere le radici di una nazione in nome di un’ideologia che non si fa scrupolo di strumentalizzare il dolore. Il conflitto a Gaza scuote anche la costa Ovest del Paese. A Los Angeles, un ragazzo ebreo, Eli Tsives, ha documentato su Instagram il modo in cui un picchetto di attivisti e attiviste, coperti da mascherine anti Covid e kefiah, gli abbia impedito di entrare alla Ucla dall’ingresso principale. A quasi settant’anni da quando Rosa Parks rifiutò di cedere il suo posto sul bus a un bianco, viene da domandarsi: i manifestanti presunti pacifisti si siederebbero accanto a un collega di origini ebraiche? Veramente non sono tutti antisemiti, bensì antisionisti? E in fondo, il loro antisionismo non equivale alla volontà di negare a un intero popolo il diritto al proprio Stato?Ma dinanzi al proscenio di un Occidente lacerato dagli odiatori che esso stesso ha meticolosamente allevato, sorge forse un interrogativo ancora più profondo: come siamo arrivati a questo punto? Come abbiamo cresciuto i ventenni che auspicano la sparizione di Israele, che non aspirano a soluzioni eque e realistiche per il Medio Oriente e si accontentano di invertire il verso - dalla Striscia a Tel Aviv - di quello che chiamano «genocidio»? La risposta potrebbe essere più semplice di quanto si sarebbe portati a supporre: magari, le manipolazioni dell’istruzione woke stanno portando frutto.Il caso della Columbia è illuminante. Uno dei docenti che spalleggia il movimento degli accampati, Joseph Howley, lavora dal 2022 a una serie di modifiche ai programmi dei corsi umanistici. Non occorre una fervida immaginazione, per indovinare dove sia andato a parare il professore: l’obiettivo è sfrondare l’insegnamento dai classici «eurocentrici» e fare largo a volumi dedicati alle «aggressioni razziali» nei confronti delle minoranze etniche (ebrei esclusi, s’intende); oppure, ai libri di poesia «post coloniale», alle monografie sull’«anticolonialismo» e sui «popoli indigeni e l’ingiustizia climatica». Tra gli autori più gettonati, figura lo scrittore transalpino originario della Martinica, Aimé Césaire, che nei primi anni Duemila fiancheggiava le rivolte degli immigrati in Francia; e Claudia Rankine, fondatrice del collettivo Racial imaginary institute, nato per studiare il concetto di razza come costrutto sociale, approfondire la nozione di «bianchezza» e «demistificare» gli «immaginari razziali del nostro tempo».Il tentativo di manovrare le coscienze predicando dalle cattedre, peraltro, non si ferma ai curricula letterari, filosofici e storici. Basta vedere cosa accade all’Università della California di Los Angeles, nello Stato più liberal d’America - dove però i paladini della Palestina possono permettersi di sbarrare l’entrata a un ragazzo ebreo.Agli iscritti al primo anno di Medicina vengono sottoposti manuali a dir poco deliranti, come il saggio della sedicente «liberazionista dei grassi», tale Marquisele Mercedes. Ai futuri dottori, l’autrice spiega che perdere peso è «uno sforzo inutile», che l’obesità è stata «patologizzata e medicalizzata in termini razziali» e che è necessario «resistere alla consolidata oppressione dei grassi». Persino Jeffrey Flier, il preside della Harvard medical school, che certo non è un ateneo di spiccata fede trumpiana, di recente, ha dichiarato di trovare «davvero scioccante» un corso che «promuove una vasta e pericolosa disinformazione». Eppure, l’ode al sovrappeso non è l’unica bizzarria della David Geffen school of medicine alla Ucla. Fox news ha dato conto della denuncia di alcuni professori, i quali avrebbero assistito a una conferenza di Lisa Gray-Garcia, ovviamente una agit prop per la Palestina, che chiedeva ai ragazzi di «toccare il pavimento», mentre lei elevava una preghiera pagana alla «madre terra» e «ai nostri antenati». Il New York Post, invece, ha svelato che nel programma riservato agli aspiranti dottori ci sono sezioni sul cambiamento climatico nelle quali si inneggia anche all’abolizione della polizia e del carcere.Se i maestri sono questi, è scontato che gli alunni imparino solo certe lezioni. Chi li indottrina ha imparato la tecnica negli anni Sessanta, quando Herbert Marcuse invocava «nuove e rigide restrizioni agli insegnamenti e alle pratiche nelle istituzioni educative che, in virtù dei loro metodi e concetti, servono a rinchiudere le menti all’interno delle universo di discorsivo e comportamentale stabilito». Metodi e concetti, oggi, li impongono loro. Dissenso vietato.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)