2019-11-11
Catastrofe Europa, l’unica cosa che funziona è la crescita. Delle spese
Rigidissima con i Paesi indebitati, l'Unione non si pone limiti per i propri bilanci. L'anno prossimo la sua mostruosa burocrazia costerà quasi 154 miliardi di euro.Il capogruppo della Lega Marco Zanni: «Invece che tagliare, si alimenta una macchina che divora sempre più risorse. È l'unico punto su cui i poteri forti riescono ancora ad andare d'accordo. Ma di questo passo verrà giù tutto».Lo speciale contiene due articoli.Alzi la mano chi si sente più europeista dopo le elezioni di sei mesi fa. L'Ue sembra non appartenerci, si impone con i suoi diktat, le sue raccomandazioni, le sue procedure d'infrazione. È ben poco attenta alle questioni sociali: concentrata su fiscal compact e bail in, taglia le nostre stime di crescita, non offre soluzioni di politica migratoria, rivela gravi incertezze e divisioni su temi quali riforma economica e istituzionale. Non riesce nemmeno a far lavorare il nuovo esecutivo, ancora indefinito perché terreno di scontri sulle nomine, fra veti e feroci ripicche dei Paesi membri. Resta il fatto che i parrucconi di Bruxelles continuino a ostentare austerità. «La Commissione continua ad applicare la disciplina finanziaria e perseguire incrementi di efficienza al fine di ridurre al minimo i costi amministrativi al proprio interno e nelle sue agenzie esecutive, così come nelle agenzie decentrate dell'Ue»: così si legge nell'introduzione al progetto di bilancio dell'Unione europea per il 2020. Che brava questa Europa, che dichiara di avere adottato un «approccio rigoroso» riguardo le spese. Ma è proprio così? Assolutamente no. I pagamenti, infatti, restano altissimi: per il 2020 il capitolo delle spese prevede esborsi complessivi per una somma mostruosa: 153,7 miliardi di euro suddivisi tra Parlamento, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia e le altre istituzioni incluse nel bilancio Ue. L'aumento rispetto al 2019 è del 3,5%. Una montagna di soldi, anche per mantenere organismi di dubbia utilità, acquistare immobili in ogni parte del mondo, coprire spese eccessive per non dire vergognose degli «eurocrati». Due sedi parlamentari (a Bruxelles e Strasburgo) rappresentano un altro inutile spreco. Già nel 2014 un'analisi della Corte dei conti europea stimava che la chiusura della sede di Strasburgo avrebbe comportato risparmi per 114 milioni di euro annui, però la Francia continua a opporsi. Ecco alcuni esempi di istituzioni dove finiscono i soldi di noi contribuenti europei.Previsto dal Trattato di Lisbona ed entrato ufficialmente in funzione il 1° gennaio 2011, il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae) gestisce la rappresentanza diplomatica dell'Ue. È guidato dall'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Joseph Borrell, scelto come successore della nostra lady Pesc del Pd, Federica Mogherini. Dovrebbe rafforzare l'influenza dell'Europa sulla scena mondiale, dove invece rimane debole e incapace di svolgere un'azione diplomatica coerente ed efficace nel contesto globale, anche per le divergenze fra gli Stati membri.Nel 2020 il servizio diplomatico europeo ci costerà più di 730 milioni di euro, 456 dei quali per mantenere le 190 delegazioni dell'Unione europea sparse nel mondo.Gli stipendi del personale delle delegazioni rappresentano una spesa di 133,7 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti 79,6 milioni per consulenti ed esperti esterni. Considerando gli stanziamenti destinati a coprire le spese per ristoranti, mense, asili per i figli dei dipendenti, servizi medici, indennità varie (33,9 milioni di euro) a favore del personale impiegato nelle sedi esterne, si arriva a più di 247 milioni di euro. Numerosi edifici di rappresentanza sono stati acquistati, moltissimi pagano affitti con costi annui, per noi contribuenti europei, che variano dai 711.277 euro della sede di Nairobi in Kenya ai 2.105.866 euro di quella di New York. Dai 630.540 euro di Tirana, in Albania, ai 3.293.117 euro della rappresentanza a Kabul, in Afghanistan; dai 203.000 euro per l'affitto della sede romana ai 286.837 di quella giamaicana di Kingston. Sommati a stipendi e benefit per il corpo diplomatico Seae, fanno la bellezza di 456 milioni di euro di spese amministrative. Il personale della sede centrale a Bruxelles ci costa 187 milioni di euro. Nel 2015 il Daily Telegraph scrisse che questa sorta di ministero degli esteri dell'Unione europea avrebbe ordinato un servizio da tavola per le allora 140 delegazioni in tutto il mondo con tanto di bandiera dell'Europa incisa su stoviglie e bicchieri. Costo dell'acquisto, circa 3 milioni di euro.Il Comitato economico e sociale europeo (Cese) e il Comitato europeo delle regioni (Cdr) sono due organi consultivi, entrambi con sede a Bruxelles. Emettono pareri non vincolanti. Da quando il Parlamento europeo ha aumentato poteri in codecisione, anche le iniziative legislative a tutela di interessi economici e sociali o in ambito di politica regionale (prerogative rispettivamente di Cese e Cdr), sono trattate direttamente in questa sede, verso cui si interfacciano stakeholder e istituzioni del settore. Retaggio di un vecchio sistema, i due comitati nel 2020 ci costeranno 143 milioni di euro il primo, 102 milioni di euro il secondo. Le spese per il personale del Cese sono salite dai 95,7 milioni di euro del 2018 ai 102,6 milioni stanziati per il 2020. I suoi 350 membri sono uomini d'affari, sindacalisti, rappresentanti del settore agricolo, attivisti ambientali. Impennata anche nelle spese relative ad affitti, acquisti di attrezzature e mobilio: da 38,1 milioni di euro saliranno a 40,7 milioni. Per spese di viaggio e di soggiorno, per riunioni, convocazioni e spese accessorie del Cese, la cifra stanziata dall'Ue è di 20,6 milioni di euro. Non sono spiccioli. Interessante quello che scrive Nikolaj Nielsen su Euobserver, un quotidiano online specializzato nell'analizzare ciò che succede a Bruxelles e dintorni, a proposito delle indennità riconosciute: «Daniel Mareels, ex capo della Federazione del settore finanziario belga, ha ricevuto 85.260 euro tra il 6 ottobre 2015 e il 4 luglio 2019 per riunioni che si erano tenute a Bruxelles». Indennità anche per aver partecipato al Festival di Jubel, festeggiando la democrazia in un grande parco di Bruxelles. Sempre secondo Nielsen, la vicepresidente del Cese, la spagnola Isabel Cano Aguilar, che ha dichiarato di trascorrere circa il 70% del suo tempo nella capitale belga, ha chiesto 93.090 euro per avere partecipato a 321 riunioni, quasi tutte a Bruxelles. Un'indennità giornaliera di 290 euro, cifra che ogni dipendente del Cese riceve, oltre allo stipendio, indipendentemente dal luogo dove ha luogo la riunione. Nel progetto di bilancio per l'esercizio finanziario 2020, il Comitato delle regioni riceverà 76,8 milioni di euro per pagare i suoi 530 dipendenti e 25,3 milioni per affitti e spese varie. Quasi 5 milioni di euro saranno destinati a interpreti e traduzioni: ma questi funzionari vanno a Bruxelles senza conoscere le lingue? La politica immobiliare del Parlamento europeo, proprietario di quasi l'80% degli edifici che utilizza, è finita più volte nel mirino perché poco chiara. I cosiddetti «storni di recupero», ovvero gli stanziamenti destinati al finanziamento degli edifici non vengono tutti iscritti nel progetto di bilancio annuale e sottoposti ad approvazione, come si torna a raccomandare ogni anno.Le eccedenze di spese vengono volentieri impiegate per l'acquisto di immobili. Già nell'esercizio finanziario 2005 si ricordava: «La commissione per i bilanci ha espresso più volte il parere che il Parlamento dovrebbe acquistare gli edifici che occupa, purché vi siano tutte le necessarie garanzie tecniche, giuridiche e finanziarie». È interessante quello che sta accadendo per l'acquisto del terreno confinante la casa di Jean Monnet, considerato uno dei padri fondatori dell'Europa, a Bazoches sur Guyonne, località che si trova a una quarantina di chilometri da Parigi. Di proprietà dal 1982 del Parlamento europeo, che l'ha trasformata in un museo destinando un edificio annesso a sala congressi, mantenerla costa circa 230.000 euro l'anno. Per questioni di sicurezza, o forse per realizzare alloggi utili ai congressisti, il Parlamento vuole comprare anche i 1.200 metri quadrati di terreno messi in vendita dall'unico vicino, al prezzo di 260.000 euro. Spese legali e notarili incluse, l'operazione costerebbe 300.000 euro. Non è una grande cifra, ma nel documento destinato alla commissione per i bilanci, alla domanda se esiste un'analisi costi-benefici, la risposta del Parlamento è stata «no». Non potrebbe essere diversamente, visto che l'operazione immobiliare, come molte altre, è una scelta politica o di immagine, non motivata da necessità.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/catastrofe-europa-lunica-cosa-che-funziona-e-la-crescita-delle-spese-bruxelles-e-paralizzata-dalla-crisi-ma-continua-a-prendersela-con-noi-2641299073.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bruxelles-e-paralizzata-dalla-crisi-ma-continua-a-prendersela-con-noi" data-post-id="2641299073" data-published-at="1762446252" data-use-pagination="False"> «Bruxelles è paralizzata dalla crisi ma continua a prendersela con noi» Ansa «Il bilancio è l'atto più politico di un'istituzione. Si parla tanto di tagli agli sprechi, invece si foraggia sempre di più la costosa macchina burocratica dell'Ue e i vergognosi privilegi di cui gode. Un sistema così articolato, che ripete sistematicamente gli stessi errori, prima o poi è destinato a crollare su sé stesso». Marco Zanni, responsabile esteri della Lega, eurodeputato dal 2014, presiede Identità e democrazia (Id), il gruppo politico del Parlamento europeo nato lo scorso giugno ma con un'esperienza di 5 anni come Europa delle nazioni e delle libertà (Enf). Come giudica le previsioni economiche d'autunno, diffuse dalla Commissione Ue? «L'Europa e i poteri forti sono benevoli col governo giallorosso, eppure i dati confermano le previsioni della scorsa primavera, con stime di crescita per il Pil appena sopra lo zero. Sembra passato un secolo da quando Bruxelles brandiva contro l'Italia l'ipotesi di respingere la manovra e avviare la procedura di infrazione. La Commissione usa le regole, soprattutto sul bilancio, per influenzare la politica negli Stati membri: benevoli con i governi graditi e asserviti, punitivi con quelli non allineati. Questo è gravissimo». Siete la quinta forza politica del Parlamento europeo, avete ottenuto 73 seggi ma nessuno dei 14 vicepresidenti e dei 20 presidenti di commissione proviene da Id. Il «cordone sanitario» emargina i partiti sovranisti? «Calpestare la volontà degli elettori è un vizio che Bruxelles ha da tempo. Questa strategia però non paga, perché la gente si sta rendendo sempre più conto di quanto siano poco democratiche le istituzioni europee. Non è lontano il momento in cui partiti come Afd in Germania, Vox in Spagna e altri saranno inclusi in maggioranze di governo regionali e nazionali. L'ultimo sondaggio in Francia dà un ballottaggio Le Pen - Macron per le presidenziali 45% a 55%: nel 2017 finì 34% a 66%. E mancano ancora due anni e mezzo». Ursula von der Leyen, che voi della Lega non avete votato, non riesce a completare la sua squadra. La Commissione rischia di non insediarsi nemmeno il prossimo 1° dicembre. «La crisi in seno alla Commissione europea è un dato di fatto. Il problema, al di là della debolezza della presidente, è che l'Ue sta vivendo una situazione di conflitto istituzionale molto forte che investe i colegislatori, Parlamento e Consiglio. A rischio non è tanto la formazione dell'esecutivo, ma la capacità di azione di una Commissione divisa su tutto, perfino sulle questioni meno rilevanti, in un momento in cui o l'Ue cambia, o scompare». Sullo sfondo rimane anche l'incognita Brexit, rinviata al prossimo 31 gennaio. «Milioni di cittadini britannici hanno fatto nel 2016 una scelta chiara, che Bruxelles ancora adesso fatica ad accettare. Ha una paura tremenda che il Regno Unito possa dimostrare che senza le assurde regole europee si vive meglio. Anche Macron e Merkel iniziano a dire esplicitamente che il Regno Unito, dopo Brexit, può essere un concorrente temibile. Continuo a sostenere la scelta dei britannici: fare parte del club dei 28 porta loro più svantaggi che opportunità». La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina avrà conseguenze disastrose per l'Unione europea. Qualcuno a Strasburgo se ne è accorto? «Non sembra, visto che hanno deciso di continuare sulla stessa strada fallimentare che ci ha portato al disastro. L'impotenza del sistema Ue la ritroviamo anche qui. Le colpe sono da ricercare in un modello di sviluppo economico basato sulla maniacale ricerca della competitività dell'export tramite compressione dei costi, cioè dei salari, che va in crisi alla prima difficoltà. Cedere sovranità a Bruxelles non ci protegge, la gabbia di regole europee crea più problemi che opportunità». La preoccupa il finto europeismo di Macron? «Si tratta di europeismo e buonismo di facciata. Dai migranti al commercio internazionale, dall'economia all'industria, Macron usa l'Unione per le sue mire. È la strategia di un abile manipolatore, il cui vero obiettivo rimane il rafforzamento del progetto di una difesa comune europea: il budget passerà dai poco più di 500 milioni di euro del 2014, a 22 miliardi nel 2021. Con il Regno Unito fuori dall'Ue, sarà la Francia a controllare e orientare la maggior parte delle scelte di politica estera dell'Europa. Uno Stato che siede nel consiglio di sicurezza dell'Onu, ha il nucleare e possiede l'esercito maggiore in Ue: chi non sarebbe preoccupato?». Tra i principi fondamentali di Identità e democrazia c'è il diritto di controllare e regolare l'immigrazione. «Abbiamo visto che il sistema della redistribuzione non funziona. Non per colpa dei “cattivoni di Visegrad", ma proprio a causa di chi si permette di dare lezioni di moralità all'Italia, Germania e Francia in primis. La nostra idea su immigrazione e sicurezza è molto chiara, ed è piaciuta a milioni di persone che hanno deciso di votarci alle scorse europee. La chiusura dei porti in Italia non era stata una dichiarazione di guerra, ma una scelta di buon senso che si dovrebbe adottare anche in Europa». Ha capito che idea d'Europa hanno i 5 stelle? In quale gruppo si collocano? «Navigano a vista: poche idee, tutte confuse».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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