2024-07-01
«Più disastri naturali con il green»
Guido Castelli (Imagoeconomica)
Il commissario per la ricostruzione del Centro Italia dopo il sisma del 2016, Guido Castelli: «L’Appennino è fragile perché gli uomini se ne vanno e i boschi crescono. Con la linea Timmermans gli eventi catastrofici aumenteranno».Senatore Guido Castelli di Fratelli d’Italia, partiamo dall’ultimo Consiglio europeo. Giorgia Meloni ha votato contro il socialista portoghese Costa a capo del Consiglio e contro la nomina dell’estone Kallas ad Alto Rappresentate per la politica estera. Infine, si è astenuta sulla proposta di nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Nell’attesa che si esprima il Parlamento. Isolata e perdente?«No, direi innanzitutto una posizione coraggiosa. Ed anche doverosa, visto che Giorgia a capo dei conservatori, guida il terzo gruppo nel Parlamento europeo. La rappresentatività democratica dovrebbe essere a fondamento delle istituzioni europee. Meloni rappresenta l’Italia; uno dei Paesi fondatori della Comunità europea. Non solo, proprio in virtù del suo ruolo di leader dell’Ecr, Giorgia svolge un ruolo decisivo nel negoziato europeo: penso ai risultati ottenuti su price cap, global minimum tax e direttiva imballaggi. Meriti principalmente ascrivibili a lei. I conservatori saranno sempre più determinanti sulle questioni ambientali ed economiche. E quel mondo lo rappresenta Giorgia».Per ora si parla di nomi, ma non di ciò che dovrà fare la prossima Commissione. Visto il delirio degli ultimi cinque anni si dovrebbe partire da qui. «Esatto. E il tema dei temi, come Meloni ha ricordato, è la questione ambientale. Già è poco commendevole, anzi riprovevole, che si facciano nomi senza ancorarli a prospettive politiche. La cosa è tanto più rilevante se si considera quello che è successo nella passata legislatura. Il Green new deal è stata la cosa più negativa e perniciosa per l’Italia e per l’Appennino che ben conosco. Il commissario Timmermans, con la miopia di chi vede il mondo da Utrecht, dove non ci sono frane, terremoti, e montagne, ci ha lasciato un’eredità normativa particolarmente pericolosa».A destra, ammesso abbia ancora senso parlare di destra e sinistra, ci sono i conservatori di Meloni, Identità e Democrazia di Salvini e Le Pen e probabilmente il nuovo gruppo sovranista di Orban. Frammentazione simbolo di debolezza? O marciate divisi per colpire uniti?«Io offro la visione del modello Italia. Ci sono tre famiglie che stanno a destra rispetto ai socialisti e producono un governo che ha particolare coesione, prospettiva di durata ed anche un notevole successo elettorale. Coi giusti interpreti, questo è un punto di forza. Il modello Italia riunisce famiglie importanti. Su certi temi serve compattezza e non si può negoziare; pensi all’Ucraina. Ma il modello italiano sta dimostrando di funzionare e la nostra idea è valorizzarlo in Europa per quanto possibile». Da un anno e mezzo lei è commissario alla ricostruzione dopo il terremoto del 2016. Un’area di 600.000 abitanti che si estende fra quattro regioni. A memoria Lazio, Abruzzo, Umbria e… oh cielo, non ricordo,«Le mie Marche. Complessivamente parliamo di un’area estesa per 8.000 km²». Giusto. Lei e stato a lungo sindaco di Ascoli. A che punto siamo con la ricostruzione? E con la ricucitura di quelle ferite?«La ricostruzione del 2016 è stata costellata da moltissime false partenze. Un accento iper-burocratico e iper-formalista, soprattutto all’inizio, non ha assolutamente favorito un avvio tempestivo della ricostruzione. Le criticità del Covid e della bolla inflattiva non hanno poi aiutato. Dovendo garantire risultati al governo mi sono concentrato soprattutto sullo snellimento e sulla sburocratizzazione delle procedure per ridare tempestività e dinamismo alla ricostruzione privata. E questo è stato il primo dei due versanti. Consideri che nel primo anno della mia operatività abbiamo liquidato un miliardo e 300 milioni di euro alle imprese impegnate nei cantieri privati: +37% rispetto al 2022 e +73% rispetto al 2021. Il dato sulle liquidazioni, per la ricostruzione privata, è la misura più attendibile per valutare l’operato del commissario. Vuol dire che ora i lavori si stanno facendo».Il secondo versante di cui parlava?«La ricostruzione pubblica, per natura più farraginosa. Abbiamo gestito la transizione tra vecchio e nuovo codice degli appalti. Quando ho iniziato a lavorare sui dossier, metà delle opere pubbliche finanziate non erano neanche avviate. Ora invece, dopo aver assegnato ulteriori risorse per i piani di opere pubbliche, siamo a più dell’85% del totale in fase di avvio. E nel 2024 conto che almeno il 40% di queste opere siano cantierate. Voglio passare dalle norme, dalle ordinanze e dai regolamenti ai cantieri». Mentre si discute di nomi fra Bruxelles e Strasburgo, l’Europa va avanti col pilota automatico ed approva il cosiddetto Nature Restauration Law. Lei si è duramente espresso contro questo regolamento «a misura del Nord Europa».«La legge sul Ripristino della Natura si basa sul principio che i problemi ambientali sono prodotti dall’uomo, che va quindi marginalizzato così come le sue attività agronomiche e zootecniche. Questo è esattamente il contrario di ciò che serve al Paese. L’ambiente è compromesso, più che dall’eccesso di consumo di suolo, dall’eccessivo suo abbandono. C’è un profondo collegamento fra crisi demografica e crisi climatica. Il nostro territorio, soprattutto nell’Appennino, è diventato più fragile perché non presidiato. Quando si verifica l’evento estremo (tipo Campi Bisenzio, Ravenna o Senigallia) la furia dei fiumi si scatena e porta giù tutto. I boschi non governati stanno prendendo il sopravvento, e rendono instabile il terreno. Quello è un territorio non presidiato e fragile. Dobbiamo invece andare nel senso esattamente opposto riattivando la presenza dell’uomo nelle nostre campagne e nei nostri borghi. Ha visto l’allegato 6 del Regolamento?».No.«Timmermans non si limita a fissare degli obiettivi comunque sballati e contrari all’interesse nazionale, ma addirittura ci dice cosa dobbiamo fare. Io - da commissario alla ricostruzione post sisma - le rappresento quegli 8.000 km² di cratere che stiamo presidiando. Attualmente il 70% sono superfici boscate, il 25% sono attività agronomiche o zootecniche e il 5% sono superfici urbanizzate. L’area che va dall’Aquila a Spoleto, da Rieti a Macerata e Ascoli Piceno negli anni Cinquanta aveva superfici boschive pari al 45%. Crisi demografica, abbandono dei borghi, vulnerabilità ambientale ed eccesso di superfici boschive sono concause della crisi. Invece Timmermans ci dice che dobbiamo addirittura assecondare questo processo fortemente pregiudizievole degli equilibri ambientali».Non fatica a convincermi. Nel mio libro Per non morire al verde ho documento come il pianeta stia in realtà diventando sempre più verde e coperto di foreste. Lo dimostrano le rilevazioni satellitari della Nasa.«La nostra biodiversità è frutto dell’incontro fra uomo e natura. L’Italia è un giardino meraviglioso. L’uomo vi ha cesellato e interpretato quelle che erano le potenzialità della natura. Non ambienti selvaggi e non densamente popolati come nel Nord Europa. A Castelluccio c’è l’aquila reale perché sotto c’è la lenticchia. Se togli la lenticchia e il piccolo roditore, l’aquila sparisce. Timmermans a Utrecht avrà le sue esigenze, ma imporre in maniera deterministica e seriale obiettivi e misure uguali tra Barcellona, Roma, Ascoli Piceno e Stoccolma è sbagliato. Le misure ambientali devono tener conto dello specifico e non essere riprodotte in maniera seriale. L’Onu stessa certifica il fallimento dell’agenda 2030. “L’ambientalismo”, scriveva Roger Scruton, “è la quintessenza della causa conservatrice”. E aggiungeva: “È proprio l’amore per la propria dimora che offre le ragioni più forti a cui il movimento ambientalista potrebbe fare appello”».Stessa logica del Green new deal. Il regolatore ti obbliga all’auto elettrica. Ed il principio della neutralità tecnologica sparisce.«È il nuovo leviatano ambientalista, in realtà nemico dell’ambiente. Come dice Giorgia “tu mi dai gli obiettivi. Io trovo qual è la soluzione tecnologica più acconcia, giusta ed appropriata”. Se io uso i biocarburanti che Eni produce con grande efficacia a livello mondiale, mi spieghi perché devi ridurmi al servizio del Dragone cinese che continua a inquinare?».I posti chiave nella prossima Commissione saranno Ambiente e Mercato interno…«Ambiente e sviluppo sono i due temi chiave. Ne parlo con cognizione di causa. Da commissario per la ricostruzione devo occuparmi anche del rilancio sociale ed economico di quei territori. Ho varato un programma Next Appennino che utilizza i fondi complementari al Pnrr. L’uomo sta al centro del rilancio per combattere gli effetti delle crisi demografica, climatica e sismica. Le teorie io cerco di metterle in pratica». Parliamo di Superbonus. Non tanto per gli effetti sul bilancio pubblico. Lei da commissario ha formulato delle critiche pesanti.«Dati alla mano, con il Superbonus si sono realizzati un’enormità di cappotti termici nei nostri edifici. Quando ci sarà un terremoto dovranno essere aperti e disfatti per verificare danni che in caso di ulteriore scossa potrebbero determinare effetti ancora più gravi. È stata una scelleratezza non solo dal punto di vista economico. L’efficientamento energetico (più comodo e redditizio) è stato preferito alla prevenzione sismica: l’utilizzo del sisma bonus rispetto all’ecobonus è stato minimale. Con molto meno avremmo messo in sicurezza sismica il patrimonio edilizio degli italiani. Gli Appennini hanno appena 20 milioni di anni. Siamo giovani dal punto di vista geologico ed esposti a rischi idrogeologici. Sa che le frane censite in Italia sono poco meno di 700.000? Due terzi totale europeo? In Olanda non ce ne sono. A Timmermans interessa relativamente poco; pensa ai boschi dei fratelli Grimm!».
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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