2025-03-03
«L’America non è né in declino né divisa. E Trump non è matto»
Lorenzo Castellani (Imagoeconomica)
L’analista Lorenzo Castellani: «La Meloni può muoversi perfettamente nello schema. Donald come punto di riferimento per il Mediterraneo allargato».Da analista della politica e docente universitario chiedo a Lorenzo Castellani una riflessione più a freddo sullo scontro verbale, verrebbe da dire quasi fisico, fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky avvenuto a favore di telecamera. Una sorta di reality che però investe i vertici internazionali.«Tutti hanno perso in qualche modo le staffe. Zelensky, Trump e Vance avevano tutti, a modo loro, delle ragioni. In questo momento, non sembrano essere ancora maturate le condizioni, a livello diplomatico ma anche a personale, per una piena collaborazione sia per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse minerarie che soprattutto per quanto riguarda l’armistizio con Putin. Bisognerà capire se questo incidente di percorso è recuperabile o se ci sarà una separazione tra Stati Uniti e Ucraina, con conseguenze che è facile immaginare per quest’ultima non essendo l’Ue in grado di garantire alcunché in termini di sicurezza. Inutile dire che il vero grande vincitore è Vladimir Putin. Una discussione che doveva rimanere privata è diventata pubblica. È essenziale che si trovi un punto di caduta comune tra Stati Uniti, Unione europea e Ucraina per arrivare a un congelamento del conflitto, senza rotture. Penso anche che alcune dichiarazioni roboanti di alcuni leader europei siano inopportune. Per esempio, dire che, come è stato detto, che c’è bisogno di un nuovo leader del mondo libero. Qualcuno cioè allude in Europa a una separazione totale tra Unione europea e Stati Uniti. Molto più sagge le parole di Meloni e Starmer che puntano a una ricucitura dello strappo».In merito alle elezioni in Germania sostieni che questa sarebbe 10 anni indietro rispetto a noi. Quello che stiamo vedendo lì sarebbe cioè un film che abbiamo già visto in Italia...«Sì, più o meno. In Italia, nel 2013 è iniziata la rivolta dell’elettorato contro i cosiddetti partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra. Prima con l’antipolitica dei 5 stelle, poi con le leadership prima di Salvini e quindi di Meloni nei rispettivi partiti. Tre elezioni che hanno segnato l’erosione delle forze politiche centriste, come reazione al governo Monti, alle riforme imposte da Bruxelles e anche all’immobilismo del centrodestra e del centrosinistra. Nel 2018, quasi tutti si aspettavano un governo tra Forza Italia e Pd, ma c’è stato il boom della Lega e del M5s, con il primo governo gialloverde. L’Italia è più avanti perché la crisi dei partiti tradizionali è avvenuta prima, sotto la spinta da una crisi economica e sociale più forte. Ora, con la crisi che arriva al cuore dell’Europa, in Francia e Germania si intravedono movimenti simili».Ti colpisce l’altissima affluenza alle urne in Germania? Si dice spesso che nelle democrazie mature l’affluenza sia bassa, ma anche in Germania e pure in Francia non sembra essere così. Da noi invece l’affluenza continua inesorabilmente a scendere.«Non l’ho mai pensata come una regola quella secondo cui nelle democrazie mature si voti poco o tanto. Così come non credo che la legittimazione di un esecutivo dipenda dalla percentuale dei votanti. Banalmente l’affluenza dipende dai momenti storici che un Paese vive, non da una maggiore o minore maturazione democratica. Abbiamo visto grandi affluenze in Germania, in Francia, al referendum della Brexit e in Italia al referendum costituzionale di Renzi. Quando l’elettorato percepisce che votare è importante o che ha il pallino in mano per cambiare o difendere qualcosa, l’affluenza sale. Se il risultato sembra scontato o il momento non è percepito come essenziale, l’affluenza cala».Torno a Donald Trump. Tratta in modo spregiudicato. Rovescia il tavolo. Avanza proposte che sembrano oscene. Usa un linguaggio urticante. Ma di fatto detta l’agenda per tutti. Leader come Macron e Starmer sono costretti in pellegrinaggio a Washington. Dobbiamo abituarci in questi quattro anni a un nuovo modo di fare politica?«Due cose, anzi tre. Primo, i commentatori europei con la loro prosopopea hanno spesso sottovalutato gli Stati Uniti e il loro potere. Trump ci mostra che, usando le leve a sua disposizione, gli Usa possono fare molto male sia agli alleati che agli avversari. Per anni ci siamo raccontati un’America in declino, ma Trump dimostra che gli Stati Uniti possono imporre la loro sovranità politica. O tentare di farlo. Secondo, si diceva che gli Usa si fossero spaccati come in una guerra civile. Ma la vittoria di Trump in finale ha riunificato il Paese. Il progressismo ideologico è collassato, e l’establishment americano economico, tecnologico, militare si è stretto intorno a lui. A differenza degli europei, gli americani sanno resettare e trovare unità di fronte a un cambiamento storico».Terzo punto?«Non devo certo raccontarlo alla Verità. Trump non è matto: ha un disegno chiaro, anche se brutale. Riequilibrare il commercio mondiale, dare ossigeno ai lavoratori e alla manifattura americana. Assestare anche il bilancio degli Usa. Le spese per interessi sul debito superano quelle militari. Trump usa i dazi per molteplici scopi a seconda dell’interlocutore. Fare cassa o negoziare più sforzi militari agli alleati. Punta a disaccoppiare Russia e Cina, con un accordo di pace con Putin che lui firma da solo, non con l’Europa».Mi colpisce la politica di spudorata potenza. Trump vuole accordi sui giacimenti minerari in Ucraina. O vuole la Groenlandia. Se non il Canada. Non eravamo abituati a un linguaggio così crudo.«Tipico di un’élite politica che, sotto pressione, si riconcilia con il linguaggio del popolo. Gli americani sanno di essere la potenza più importante e che il resto del mondo è più in debito che in credito con loro. Trump lo mette in piazza direttamente, senza sofisticherie. Senza i “guanti bianchi” dei democratici o dei vecchi repubblicani. In un modo meno ipocrita. Anche Biden aveva escluso l’Ucraina nella Nato, ma con toni più sfumati. Trump lo dice in modo chiaro e duro così che tutti possano capirlo».Condividi che negli Usa i cicli politici siano brevi e che Trump ha una fretta fottuta di arrivare a qualcosa? Le elezioni di midterm ogni due anni storicamente non favoriscono il presidente in carica. «Su immigrazione, commercio mondiale e relazioni con la Russia ha fretta. Almeno su due di questi tre punti intende arrivare a risultati concreti. Trump vive un momento eccezionale. È presidente e non può essere rieletto. Ha quattro anni davanti a sé e può rischiare di più. Inoltre, controlla Senato e Camera, cosa rara nel sistema americano. Addirittura, la Corte suprema è largamente repubblicana. È quasi un “monarca temporaneo”. Come pensavano i padri fondatori dovesse essere il loro presidente».Facciamo bene a dare peso agli elogi entusiastici di Trump su Giorgia Meloni in presenza di Macron? O esageriamo?«Che Meloni sia molto stimata da Trump è positivo per l’Italia. Bisognerà capire come verrà “sfruttata” questa sintonia con la Casa Bianca. Se aumentare le spese militari, come chiede Trump, consentirà di ottenere esenzioni dai dazi. Quelli soprattutto su acciaio, alluminio e auto colpiranno in generale la manifattura. Diverso è il caso di settori come il mobile, l’artigianato, il cibo e la moda. Qui esportiamo molto. Inoltre, Meloni deve posizionarsi come punto di riferimento per il Mediterraneo inteso in senso allargato. Africa, Medio Oriente e regione arabica fatta di Arabia Saudita ed Emirati. Muovendosi alla perfezione dentro lo schema Trump».A proposito di Medio Oriente: due anni fa avevamo un «mostro a tre teste» - Mosca, Teheran, Pechino - come contendente geopolitico degli Usa. Ora Teheran è sotto scacco. Vedasi Hamas, Hezbollah e Siria; tutti obiettivi colpiti seriamente. Trump potrebbe riportare la Russia lontano dalla Cina che, privata di due alleati, deve fare buon viso a cattivo gioco. Concordi?«La Cina è ancora in transizione per come la vedo io. Economicamente ha affrontato una fase difficile, e questo rallenta le sue proiezioni di potenza esterna. Non agisce su Taiwan. Magari perché non ha ancora la forza necessaria, e perché forse la sua Marina militare è stata raccontata più forte di quanto in realtà sia. I cinesi virano quindi su versanti come tecnologie e infrastrutture. Trump osserva una finestra di opportunità di due o tre anni al massimo. I Paesi europei sono ricchi a sufficienza per difendersi da soli. Non altrettanto quelli vicini alla Cina (Giappone, Vietnam, Filippine, Indonesia, Malesia). Trump sposta quindi il focus su Medio Oriente e Pacifico, contando sul fatto che la Cina deve rimanere concentrata su sé stessa e quindi appare disorientata».L’evento Cpac negli Usa che immagine ci restituisce del Partito eepubblicano? Trasformato rispetto ai primi anni 2000? I neocon non ci sono più, e se sì, sono passati ai democratici?«Il partito è cambiato geneticamente. Trump unico leader. L’elettorato è ideologizzato in senso trumpiano: vale a dire pragmatico-populista, più che repubblicano-liberista. La linea ora è un mix fra libertarismo alla Silicon Valley (Elon Musk, Marc Andreessen) con forte riduzione dell’intervento governativo interno e rifiuto dell’ideologia woke. Ma anche un rifiuto delle guerre in cui gli Usa potrebbero impantanarsi. Fenomeno che chiamo “accelerazione reazionaria”. L’idea di rafforzare il capitalismo e l’innovazione americana rifiutando ciò che c’era prima».
Laura Boldrini e Nancy Pelosi (Ansa)