2024-02-05
Chi strilla su Budapest dia un occhio anche qui
«Ciao. Scusa. Quanti detenuti vengono tradotti in tribunale con il “guinzaglio” e per quali reati?». Giovedì sera, dopo aver partecipato alla puntata di Dritto e rovescio e aver ascoltato Elisabetta Gualmini, europarlamentare del Pd, sostenere che neanche Totò Riina è stato trattato come Ilaria Salis in Ungheria, cosa assolutamente falsa, ho scritto un messaggio a un amico magistrato. La risposta è arrivata lapidaria dopo un secondo: «Assolutamente tutti».A voce, il giudice mi ha spiegato che essendo a corto di uomini, la polizia penitenziaria addirittura «incatena» un detenuto a un altro, come nei film, perché così non c’è pericolo che qualcuno riesca a fuggire. Fabio Amendolara, il giorno dopo, si è incaricato di scoprire quali manette siano usate nei trasferimenti da un carcere all’altro, oppure dalla cella alle aule di giustizia, dimostrando che dai tempi di Prodi noi italiani, quanto a trattamento dei detenuti, non abbiamo nulla di cui vantarci rispetto all’Ungheria. Non voglio con ciò dire che a Budapest possano andare fieri dei loro penitenziari, né che Ilaria Salis, per quanto possa aver commesso, si sia meritata di essere tenuta in galera per un anno in attesa di giudizio.Per me la carcerazione preventiva è un abuso, in Ungheria come in Italia, perché ogni cittadino, anche il peggiore, ha diritto a un giudizio giusto e soprattutto veloce affinché, se innocente, gli possa essere restituita in fretta la libertà. Considerazioni banali? Sì, certo, ma che ancora oggi, in Italia o in Ungheria o in qualsiasi altro Paese della civile Europa, non sono un dato acquisito.Ciò detto, dopo aver accertato che Ilaria Salis non è la sola detenuta a essere portata in un’aula di giustizia con il «guinzaglio» e che molto probabilmente il clamore attorno al suo caso è dovuto più a una strumentalizzazione politica che a una reale sensibilità nei confronti dei detenuti (se in Ungheria non governasse Viktor Orbán, cioè un leader politico considerato vicino all’attuale presidente del Consiglio, nessuno si sarebbe dato pena per Ilaria Salis, come non se l’è data per Filippo Mosca, detenuto in Romania dove al potere ci sono i socialisti), oggi pubblichiamo qui a fianco la lettera di un ex detenuto che nelle patrie galere ha trascorso trent’anni prima di essere rimesso in libertà.Si tratta di Carmelo Musumeci, arrestato nel 1991 nel contesto di una guerra tra bande rivali in Toscana e Liguria. Accusato di estorsione, omicidio e associazione a delinquere, è stato condannato all’ergastolo e, prima di essere scarcerato per fine pena nel 2021, ha passato anni in regime di 41 bis (cioè in totale isolamento) e in penitenziari di massima sicurezza. Dunque, si tratta di una persona che la situazione delle carceri italiane l’ha sperimentata sulla propria pelle. Non dico che tutte le prigioni del nostro Paese siano così, né che tutti gli agenti addetti alle celle si comportino come dice Carmelo Musumeci, anzi. Tuttavia, la sua lettera dovrebbe far riflettere coloro che con il ditino alzato si sono indignati per l’arresto e la detenzione di Ilaria Salis. È giusto dire che la ragazza italiana in prigione a Budapest debba essere trattata con umanità e rispetto, anche se accusata di reati gravi. Però, cari indignati speciali, risparmiateci la strumentalizzazione politica perché non c’è niente da strumentalizzare. Infatti, basta leggere la lettera di Carmelo (e sfogliare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che ci condannano o guardare all’alto numero di suicidi in cella) per mettere da parte la voglia di impartire lezioni.Quando si parla di carceri, non abbiamo niente da insegnare. E il problema non riguarda Giorgia Meloni, Carlo Nordio e gli altri ministri attualmente al governo. Il problema è di pertinenza di una classe politica (e anche giornalistica) che oggi finge di sdegnarsi, ma in realtà dovrebbe solo vergognarsi, non soltanto per ciò che per anni non ha fatto, ma anche per quanto sostiene con sfrontatezza oggi. Buona lettura. Sperando che qualche politico - e anche qualche commentatore con il ditino alzato - possa almeno pentirsi.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
Il vicepresidente americano J.D. Vance durante la visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme (Getty Images)
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)