2022-05-27
Caso camici: «Non ci fu inganno»
Per il giudice che prosciolse Attilio Fontana e gli altri quattro imputati, la trasformazione della fornitura in donazione fu un gesto di generosità verso Regione Lombardia.Non c’è stato «alcun inganno» da parte del presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, nell’inchiesta dei camici dove è stato prosciolto dalle accuse di frode in pubbliche forniture. E anzi, il cognato Andrea Dini avrebbe fatto un gesto di favore e di generosità nei confronti della Regione nella fase più difficile dell’emergenza da Covid 19. Lo scrive il gup Chiara Valori nelle motivazioni della sentenza che ha assolto due settimane fa i cinque imputati nel caso dell’affidamento nell’aprile 2020 da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro per 75.000 camici e altri dispositivi di protezione a Dama, società del cognato di Fontana, appunto Andrea Dini. Secondo il giudice il fatto non sussiste e deve essere anche riconsegnato all’imprenditore lombardo l’iphone che gli fu sequestrato alla fine del settembre del 2020, un anno e mezzo fa. Del resto, secondo il giudice, «la tesi accusatoria non convince», nonostante il lavoro dei pm Paolo Filippini e Carlo Scalas sia stato completo e accurato. E lo fa citando la Cassazione che «ha sottolineato che non è sufficiente il semplice inadempimento doloso del contratto, richiedendo la norma incriminatrice una condotta qualificabile in termini di malafede contrattuale, consistente nel porre in essere un espediente malizioso o ingannevole, artatamente idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti [...]». Questo tipo di condotta non sarebbe stata adottata dagli indagati. Perché, si legge nelle motivazioni «risulta in primo luogo del tutto sfornita di riscontro la tesi secondo cui la fornitura» sia stata sin «dall’origine “vestita” da donazione allo scopo di celare il conflitto di interesse fra la proprietà di Dama e il presidente Fontana. Al contrario, risulta che il contratto di fornitura era stato stipulato in modo formale, prevedeva un corrispettivo economico, è stato registrato al Protocollo di Aria e sono state emesse le prime fatture». Per di più, «l’ordine del 16 aprile del 2020, in favore di Dama, compariva poi nell’elenco degli affidamenti diretti di lavori, servizi e forniture di somma urgenza e di protezione civile pubblicato sul sito di Aria Spa, di libero accesso, come verificato dalla Guardia di finanza». Non solo. Il gip non ha trovato alcun «inganno della controparte. Dunque, la volontà di Dini, più o meno legittima che fosse, era chiaramente espressa ed è stata correttamente intesa da tutti gli interlocutori». E soprattutto, «né può dirsi che la trasformazione del contratto da titolo oneroso a titolo gratuito […] abbia costituito una falsa apparenza idonea a trarre in inganno la controparte contrattuale, che invece ha perfettamente inteso come i reciproci obblighi fossero stati rimodulati, revocando le disposizioni di pagamento e neppure a posteriori accettando la consegna dell’ultima tranche di camici». Va inoltre specificato, che il nuovo contratto di donazione «sostitutivo del precedente, proposto per spirito di liberalità in favore dell’ente territoriale (sia pure per il tramite della società in House), asseritamente in considerazione delle condizioni di particolare difficoltà in cui si trovava la Lombardia nella prima fase dell’emergenza pandemica». Per il giudice «non appare» neppure «corretto parlare di donazione in senso proprio, perché in effetti la liberalità si è tradotta in una remissione del debito». L’avvocato Giuseppe Iannaccone, che ha difeso Dini insieme con agli avvocati Riccardo Lugaro e Caterina Fatta, ha spiegato di essere «ampiamente soddisfatto dalla sentenza, da cui traspare un’intensa attività di studio. Il provvedimento è ben motivato e ricostruisce scrupolosamente i fatti, riconoscendo la piena trasparenza dell’operato di Andrea Dini e del suo atto di generosità nei confronti della Regione».