2025-03-24
«Casi simili nel Paese di Saman Ma la sinistra resta in silenzio»
Saman (Ansa). Nel riquadro, Alessandro Cagossi
Alessandro Cagossi, il cronista che scoprì la tragedia della pakistana: «Due vicende sono emerse e le giovani sono protette, altre restano invisibili. A Novellara l’integrazione con gli islamici è fallita».Il nome di Saman Abbas, la ragazza di origine pakistana scomparsa a Novellara e uccisa dai familiari nel 2021, è oggi noto a tutti. Meno note, invece, sono le dinamiche che hanno preceduto e accompagnato quell’orrore. Ne abbiamo parlato con Alessandro Cagossi, 49 anni, sociologo, giornalista, consigliere comunale di opposizione proprio a Novellara, che conosce come nessuno la vicenda essendo il primo, da cronista, ad averla scoperta.Cagossi, come iniziò la vicenda?«Lavoravo come inviato per un giornale locale. Alcuni agricoltori di Novellara mi avevano riferito di massicce ricerche nei campi con carabinieri cinofili, elicotteri e droni. Era il 24 maggio 2021, un freddo giorno di pioggia. Feci un sopralluogo e fotografai i cinofili al lavoro. A quel punto, con le prove in mano, dalla redazione contattammo gli inquirenti che “furono costretti” a spiegare i contorni della vicenda: da inizio maggio stavano cercando una diciottenne pakistana scomparsa. Era Saman»È vero che all’inizio le autorità stavano cercando di non divulgare questo caso ai media? «Credo che le autorità sperassero di trovarla prima di rendere pubblica la vicenda. Per tre settimane non trapelò nulla nonostante l’importante dispiegamento di forze sul campo, anche se solitamente quando si ha a che fare con una persona scomparsa si cerca di diffondere al massimo la notizia. Ma una volta emerso, il caso fin da subito travalicò i confini della notizia locale: qualche giorno dopo la vicenda approdò a Chi l’ha visto? su Rai 3 e a Quarto grado su Rete 4».Poi però il caso è esploso e tutti sono venuti a conoscenza di quell’orrore. C’è però ancora qualcosa, secondo lei, non abbastanza sottolineato in questa storia?«La minorenne Saman per ben quattro anni - dal 2016 al 2020 - ha vissuto come un fantasma a Novellara, senza che amministratori e servizi sociali si siano accorti della sua drammatica esistenza fatta di diritti negati, soprusi e violenze, segregazione domestica. Evidenze chiaramente emerse dalle ricostruzioni sulla vita della diciottenne pakistana rese da lei stessa, testimoni, atti processuali, media e libri. Solo quando Saman si recò ai servizi sociali, sei mesi prima di trovare la morte per mano della famiglia, ci fu l’attivazione delle istituzioni».Com’è stato possibile?«Prima nessuno sapeva di lei: questo è il vero fulcro della vicenda, nonostante gli amministratori locali lo ritengano un dettaglio irrilevante. Pure le campagne di formazione per la cittadinanza promosse dal Comune traggono spunto dalla denuncia effettuata nel 2023 da una ragazza pakistana costretta dalla famiglia ad un matrimonio forzato; vivendo vicino al centro storico ha potuto confidarsi con una negoziante che poi ha fatto da tramite con le autorità per far scattare il programma di protezione: prendere questa fattispecie è fuorviante, perché molte di queste ragazze - inclusa Saman - vivono in zone rurali con poche o nulle occasioni di poter interloquire col mondo esterno. Un altro caso è emerso da una ragazza quattordicenne di origine pakistana ma con nazionalità italiana: in un tema scolastico aveva scritto che sarebbe tornata in Pakistan per sposarsi, le insegnanti hanno avvisato le forze dell’ordine ed è stata messa sotto protezione. I casi emergono da situazioni estemporanee, mentre i servizi sociali dovrebbero agire facendo leva sulle allerte preventive».A Novellara nel dicembre 2023, a seguito di questa tragedia, è stata poi conferita la cittadinanza onoraria a Saman. A questo evento come ha partecipato la comunità pakistana, da cui proveniva la giovane?«Erano presenti molti novellaresi e rappresentanti di altre nazionalità straniere, ma di pakistani nemmeno l’ombra. Sull’onda della tragedia di Saman avevo auspicato la creazione di un’associazione pakistana di Novellara che potesse invertire la rotta e agire da rappresentante verso la società novellarese e le autorità, ma non se ne è fatto nulla nonostante sodalizi del genere esitano in paesi limitrofi. Non aver trovato la forza per raggiungere quell’obiettivo rappresenta una sconfitta per tutti ed attesta che fare integrazione in certi casi è molto difficile».Che cosa ha fatto e cosa sta facendo l’amministrazione comunale novellarese per prevenire futuri altri nuovi «casi Saman»? Con quali risultati?«Altre ragazze cresciute qui tornano in Pakistan e di loro si perdono le tracce. Il problema in casi critici come quello di Saman è inerente all’invisibilità di queste esistenze, per cui non ha senso parlare, come fanno gli amministratori locali, di politiche interculturali volte all’inclusione, di corsi di socializzazione come il cucito, la ceramica, la scrittura, l’uncinetto o la cucina: tutte iniziative proficue se rivolte a donne che manifestano l’intenzione di integrarsi ma completamente avulse da un contesto critico di segregazione famigliare come quello di Saman: né lei come vittima, né sua madre come carnefice avrebbero mai potuto frequentare quei corsi. Quante donne pakistane frequentano questi corsi? A noi risulta nessuna».In un suo intervento sui media locali ha detto che «non si può stare con Saman e, allo stesso tempo, negare l’esistenza di una moschea a Novellara inquadrandola come “associazione culturale”». Che cosa intende?«Quello è un luogo di culto dove i fedeli vanno a pregare, non è un’associazione culturale. Una moschea peraltro frequentata da personaggi ambigui che, del tutto irrispettosi del dolore di un’intera comunità e della tragedia occorsa a Saman, davanti alle telecamere di una emittente nazionale hanno tranquillamente dichiarato di pensarla esattamente come il clan Abbas, come se nulla fosse. Una dimostrazione che ad alcuni di loro non interessano per nulla i valori della società dove vivono e portano avanti un percorso di radicalizzazione. Parole molto gravi che però furono derubricate dagli amministratori locali come “cattiva informazione”».Insomma, tragedie come quella avvenuta potrebbero ripetersi?«Sicuramente l’omicidio di Saman ha alzato il livello di guardia, non solo a Novellara, ma gli strumenti per evitare la sua morte, pur con le inevitabili difficoltà del caso, c’erano anche prima del suo efferato delitto. Alcuni, sempre per giustificarsi, han detto che di fronte a genitori non collaborativi si fa fatica a intercettare casi critici quando sono coinvolti dei minorenni. Nel caso di Saman nel 2017 ci fu l’abbandono scolastico quando era sedicenne, prontamente segnalato dalla scuola alle autorità. Altre manifestazioni di disagio come la fuga in Belgio di Saman, allora diciassettenne, caddero nel vuoto. Ci sarebbe stato pure stato un tentativo di suicidio, anche se questo fatto non è certo. Tutti elementi che definiscono un quadro di disagio».Però a Novellara l’integrazione della comunità Sikh, per esempio, sembra riuscita. Perché lo stesso non accade con quella pakistana?«Entrambi provengono dalla regione del Punjab: pur tradizionalista, il Punjab indiano è progredito, si è aperto al mondo e agli investimenti esteri, mentre quello pakistano è per così dire fermo al “Medioevo” perché le autorità locali, tra cui il clero, si oppongono a qualsiasi innovazione ritenuta destabilizzante dello status quo tradizionale intriso di patriarcato clanico, integralismo religioso e leggi tribali. Questo si riflette su come questi popoli si comportano una volta che migrano qui da noi: i Sikh sono molto uniti tra di loro e tendono la mano verso la società che li ospita, mentre i pakistani si raccolgono attorno al clan famigliare. Purtroppo qui in Emilia spesso gli amministratori fanno leva sugli indubitabili successi ottenuti con i Sikh per “mascherare” gli enormi problemi che intercorrono con altri migranti».Lei siede nei banchi di opposizione in consiglio comunale. Se fosse il sindaco, da dove comincerebbe per promuovere un’integrazione autentica?«A Novellara soggiornano oltre 400 pakistani: cosa sappiamo di loro? Ben poco. Lo abbiamo detto più volte: una campagna di informazione verso le circa 100 famiglie pakistane soggiornanti a Novellara, spiegando ad ognuna di loro quello che devono sapere per poter vivere nella nostra società: esistono diritti e doveri, le figlie devono andare a scuola, i matrimoni forzati sono proibiti e nel mondo del lavoro non devono accettare di farsi sfruttare come manovalanza sottopagata. In sostanza, se non vengono loro da noi, andiamo noi da loro, tendendo la mano per andarli a conoscere e per informarli su cose che probabilmente non sanno. Una strategia che potrebbe essere implementata in tutti i piccoli Comuni».Il sociologo Luca Ricolfi ha detto che, se si vuole denunciare davvero il patriarcato in Italia, bisogna anzitutto occuparsi di casi come questo. Eppure una certa sinistra – sempre in prima linea, nel denunciare casi di femminicidio e patriarcato – di fronte a casi come quelli di Saman Abbas pare sempre quasi a disagio o in imbarazzo. Non trova?«Come persona che ha sempre guardato a sinistra, pur senza tessere di partito, sono rimasto molto deluso da chi a parole si erge a strenuo difensore dei diritti di genere e poi non ha il coraggio di ammettere che delitti efferati come quello di Saman sono la negazione diametralmente opposta di quei diritti e che certe posizioni retrograde e fuorilegge vanno combattute senza appellarsi alla sterile ideologia dell’integrazione. E bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che con Saman si poteva fare di più. Speriamo almeno che il suo sacrificio sia servito per tutte quelle donne che ancora vivono come fantasmi nella società italiana».
Jose Mourinho (Getty Images)