2021-04-04
«Cashmere e cincillà. Fibre nobili lavorate in oltre 100 passaggi»
L'ad del Lanificio Luigi Colombo: «Con il Covid Milano cambierà. Vorrei rivedere in via Montenapoleone le botteghe artigiane».Cashmere, guanaco, vicuña, yangir, visone, cincillà, ermellino e cammello secondo il Lanificio Luigi Colombo possiedono un'anima. «Devono averla, di conseguenza, anche le tecnologie adibite alla loro lavorazione, atto finale di evoluzione ed esperimenti diventati arte», spiega Roberto Colombo, erede del fondatore, ad e anima creativa del marchio. Fu Luigi Colombo a dare il via. Artista e navigatore «dotato di un carisma innato, animo libero amante dei grandi spazi e antesignano dei viaggi alla ricerca delle fibre nobili», racconta il figlio. «Nato in una famiglia di industriali di Saronno, fu allevato dagli zii, titolari di un'azienda tessile. Il suo spirito indipendente lo portò a fondare la sua». Non è un caso che il Lanificio Luigi Colombo sia diventato il leader mondiale nei tessuti in cashmere e fibre preziose. Lei quando è entrato in azienda?«Negli anni Settanta io e mio fratello Giancarlo abbiamo affiancato nostro padre. La conoscenza delle materie prime, l'alta tecnologia e l'esperienza nelle lavorazioni artigianali sono i nostri elementi distintivi. È una vocazione che si trasmette da generazioni che hanno votato la loro vita all'eccellenza».Dove avviene la produzione?«Nei due storici stabilimenti italiani di Borgosesia e Ghemme: dalla scrupolosa scelta delle materie prime alla trasformazione di queste in filati e tessuti fino al prodotto finito attraverso una verticalità totale controllata direttamente dalla famiglia. Decenni di storia, di lavoro e, soprattutto, di passione già trasmessa alle nuove generazioni, consapevoli di dover imparare per essere il futuro».La vostra divisione tessuti è un settore all'avanguardia.«L'arte della lavorazione consiste in 94 processi produttivi e 18 controlli intermedi: un mestiere che nasce dall'amore per le fibre nobili, che cresce con la ricerca e la creatività e si perfeziona nell'artigianalità. Il Lanificio Luigi Colombo crea collezioni di tessuti per i nomi più prestigiosi della moda italiana e internazionale».Per voi è da sempre molto imporrante il tema della sostenibilità. «La nostra è una filiera bio: dalla tutela delle capre cashmere e delle comunità di pastori in Mongolia fino alla tracciabilità dei processi produttivi per la realizzazione di capi ecologici. Il primo esempio di filiera integrata e certificata delle fibre nobili. La passione per le fibre nobili e il rispetto per l'ambiente da sempre ci identificano. Questo impegno si è radicato anche per le nuove necessità di chi vive in territori tanto angusti quanto affascinanti. Abbiamo immediatamente risposto alla richiesta di aiuto per la protezione di queste terre meravigliose e delle popolazioni che le abitano. Nasce così la Sustainable fibre alliance, associazione no profit». Un'attenzione anche al vostro territorio.«La salvaguardia dell'ambiente va dal trattamento delle acque all'energia solare, al recupero delle acque da riscaldamento industriale». La situazione oggi è davvero problematica.«La moda, dopo turismo e le linee aeree, è il settore che ha più sofferto. Per fortuna il nostro è un prodotto complesso, unico, di nicchia. Abbiamo chiuso l'anno con uno dei risultati più positivi». Novità?«Stiamo aprendo dei negozi a Shanghai e Pechino. Siamo convinti che il momento sia maturo. La Cina è l'unico mercato che sta ancora trainando il lusso, poi il resto del mondo a macchia di leopardo. La Russia va un po' meglio mentre l'America è ancora molto rallentata. Corea ok. Siamo in tutti questi Paesi con 12 monomarca e 150 plurimarca». E come vede l'Italia?«Mi concentrerei di più su Milano, per cui vedo un futuro diverso. Via Montenapoleone e il quadrilatero devono ospitare di nuovo i migliori negozi di tutto, tranne che di abbigliamento. Di altissima gamma ma non di moda, rovinata dalla finanza. Lì dovrebbero tornare, come una volta, gli artigiani. Per quanto riguarda la moda bisognerebbe fare la grande Milano del made in Italy. Sarebbe una cosa molto gradita dai consumatori stranieri, soprattutto asiatici e americani».Ci spieghi meglio.«L'idea è che gli industriali della moda, in accordo con l'amministrazione locale, pianifichino per costruire e acquistare quote paritarie di un mall di altissimo livello dove, invece di spendere centinaia di migliaia di euro d'affitto all'anno, i soci potrebbero comprare gli spazi a qualche migliaia di euro al metro quadro. Ognuno prenderebbe le metrature che vuole ma tutte avrebbero lo stesso costo, molto più basso rispetto all'attuale. Senza buttare via i soldi si potrebbero calmierare i prezzi e permettere a tutti di poter operare serenamente senza creare un monopolio di poche griffe».Ovviamente non credo sia una cosa semplice.«A causa del Covid stiamo vivendo il momento più disastroso dal dopoguerra, ma tutto ciò che è difficile ha comunque un lato buono. Milano potrebbe rinascere. Negli anni Sessanta il valore aggiunto si concentrava a monte della filiera con tessitori e filatori, negli anni Ottanta passò ai confezionisti, poi ai retailer e negli ultimi anni solo ai landlord, i proprietari degli immobili in affitto».Cambierebbe totalmente il volto della città.«E sarebbe bellissimo. Gli stranieri farebbero la fila per poter vedere le botteghe artigianali in rappresentanza di tutte le categorie merceologiche tipiche del saper fare italiano. La moda lascerebbe loro più spazio e si concentrerebbe in rappresentanza del vero made in Italy. Alla luce della pandemia qualcosa deve essere modificato. C'è Internet, ma la gente ha anche bisogno di vedere e di toccare. Se serve un cambiamento, dobbiamo guidarlo noi industriali, i veri attori protagonisti». Un sogno?«Forse sì, ma noi lo dobbiamo alle nuove generazioni. I sogni sono alla base del futuro dei giovani che verranno».