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2023-03-16
«Contro gli immobili verdi usiamo la frattura nella coalizione Ursula»
La battaglia contro la patrimoniale europea sulla casa è solo all’inizio. È il concetto su cui stanno insistendo da martedì pomeriggio tutti gli esponenti dei gruppi dell’Europarlamento che hanno detto no alla direttiva green, in particolare i deputati dei partiti del centrodestra italiano, i quali hanno dato prova di compattezza, favorendo una spaccatura in seno a Popolari e liberali che induce a essere ottimisti per i prossimi passaggi.
Perché l’iter delle leggi europee è piuttosto complesso, e sebbene il voto della plenaria che impone un salasso ai milioni di proprietari di case del nostro Paese in nome dell’efficientamento energetico a tappe forzate abbia sicuramente indirizzato la partita verso l’esito più infausto per chi chiedeva ragionevolezza, gli step che mancano affinché il percorso legislativo possa dirsi completo sono diversi.
Tanto per cominciare, nell’architettura tricefala con cui è stata costituita l’Ue, il via libera alla direttiva ha certificato qual è la posizione del Parlamento europeo. Che è quella più estrema e condizionata dall’ideologia, dato il forte peso delle sinistre a Strasburgo. Il testo approvato martedì ora sarà sul tavolo del cosiddetto trilogo, vale a dire l’interlocuzione tra l’Europarlamento, la Commissione e il Consiglio: queste due ultime istituzioni, come è noto, avevano manifestato posizioni più morbide o quantomeno improntate a maggiore flessibilità. Qualora questa fase di negoziazione al più alto livello europeo porti a un esito che modifichi il testo approvato a Strasburgo, si dovrebbe procedere a una seconda lettura in Parlamento, dove ovviamente le varie forze politiche valuterebbero dette modifiche e si comporterebbero in Aula di conseguenza. A quel punto, visti i numerosi dubbi espressi dai Popolari ma anche dai liberali di Renew, le possibilità di un ammorbidimento si farebbero più concrete. La fase in cui i partiti della maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni ripongono più speranze, però, è quella del negoziato con i governi nazionali, che investe anche le modalità di recepimento della direttiva.
Qui il nostro esecutivo è stato chiarissimo: all’inizio di questa settimana, infatti, la Camera dei deputati ha approvato una mozione presentata su iniziativa della Lega e votata da tutto il centrodestra che impegna il governo a stoppare il testo attuale. Posizione che il presidente del Consiglio ha ribadito anche ieri nel corso del question time a Montecitorio, quando ha detto che si tratta di un testo che «prevede obiettivi temporali non raggiungibili per l’Italia, il cui patrimonio immobiliare è inserito in un contesto molto diverso da quello di altri Stati membri per ragioni storiche, per ragioni di conformazione geografica oltre che per una radicata visione della casa come bene rifugio delle famiglie italiane» e che «l’azione negoziale italiana in sede di Consiglio europeo aveva consentito di rivedere le tempistiche di adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici per renderle più graduali e meno stringenti, e in modo da garantire l’esenzione per alcune categorie», mentre «con il voto di ieri (martedì, ndr) il Parlamento europeo ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta che noi consideriamo irragionevole, mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione».
Nelle fila della Lega, a Bruxelles come a Roma, l’attenzione è ora volta a definire la strategia per questi passaggi: gli emendamenti proposti dalla pattuglia europea leghista in stretto coordinamento con Fdi e Fi sono stati tutti respinti, e gli accolti tra quelli presentati dagli altri gruppi non smuovono di un millimetro l’impianto della direttiva. Il presidente leghista del gruppo Id Marco Zanni spiega che «la lotta per difendere le case degli italiani è appena cominciata e noi continueremo a opporci a ogni livello, per fermare questa eurofollia, proprio come sta accadendo con un’altra proposta di Bruxelles che ci ha trovato fortemente contrari, quella sul bando alle auto a diesel e benzina dal 2035 e che ha visto l’Italia tornare protagonista in Europa per guidare il fronte del no grazie all’iniziativa di Matteo Salvini e del governo». «È necessario fare squadra con altri Paesi, spiega Zanni, «per creare un fronte comune capace di arginare e fermare questa direttiva. Non riusciamo a comprendere l’entusiasmo di Pd e M5s per una norma che porterebbe nuove imposizioni e nuovi oneri agli italiani, come un’europatrimoniale nascosta, da decine di migliaia di euro a famiglia. Tuttavia l’esito del voto in plenaria, con una coalizione Ursula ormai ridotta in pezzi, lascia ben sperare in vista dei negoziati del trilogo e dei successivi passaggi: il voto negativo da parte di molti, a cominciare dai Popolari tedeschi, è significativo e conferma che la maggioranza è tutto fuorché compatta. Siamo certi che riusciremo a ottenere importanti risultati a difesa dell’Italia e degli italiani», conclude Zanni , «La battaglia è appena cominciata».
Primi obblighi nel 2026. In meno di dieci anni soltanto edifici in classe D
Quella disegnata dalla direttiva sulla casa green è una marcia a tappe forzate che impone traguardi impossibili da raggiungere nei tempi stabiliti a tavolino. Già l’obiettivo di lungo periodo che si staglia all’orizzonte fa tremare i polsi: entro il 2050, gli immobili europei dovranno essere a emissioni zero. Peccato che, come rivela il testo approvato dall’Europarlamento, il 75 % degli immobili dell’Unione sia «tuttora inefficiente sul piano energetico. Il gas naturale è usato principalmente per il riscaldamento degli edifici e rappresenta circa il 42% dell’energia utilizzata per il riscaldamento degli ambienti nel settore residenziale. Seguono il petrolio, con il 14%, e il carbone, con circa il 3%».
I primi a doversi adeguare saranno i nuovi edifici, sui quali sarà almeno possibile intervenire già in fase di progettazione. Fra meno di tre anni, ovvero dal 1° gennaio 2026, tutti i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero. La norma poi si estenderà, a partire dal 1° gennaio 2028, agli edifici privati in costruzione.
Passiamo alla stangata per gli immobili esistenti. Dal 1° gennaio 2027 dovranno fare il salto in classe E tutti gli edifici non residenziali privati e tutti gli edifici e le unità immobiliari di proprietà di enti pubblici, che dovranno poi salire in classe D entro il 1° gennaio 2030. Agli edifici residenziali privati invece viene concesso qualche anno in più: dovranno raggiungere la classe E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Verranno introdotte nuove prescrizioni anche per quel che riguarda l’installazione di pannelli fotovoltaici: tutti i nuovi edifici per cui sarà tecnicamente ed economicamente possibile dovranno dotarsi di tecnologie solari entro il 2028. Il limite massimo si sposta al 2032 per gli edifici residenziali oggetto di importanti ristrutturazioni.
Tutto quello che potranno fare i proprietari, che secondo le prime stime saranno costretti a sborsare fra i 40.000 e i 60.000 euro per ogni appartamento, sarà decidere se affrontare e pagare una ristrutturazione monstre una volta sola per raggiungere l’agognata classe D o se eseguire più interventi nel tempo. L’Ue nel frattempo stabilirà criteri uniformi per assegnare la classe energetica agli edifici, scavalcando le norme nazionali.
Ogni Stato dovrà poi preparare un piano nazionale di ristrutturazione e «una tabella di marcia dettagliata fino al 2050 del fabbisogno d’investimenti per l’attuazione del piano nazionale di ristrutturazione, delle fonti e delle misure di finanziamento pubbliche e private e delle risorse amministrative per la ristrutturazione degli edifici». La tabella di marcia comprenderà «obiettivi nazionali ed emissioni nell’intero ciclo di vita per le diverse tipologie di edifici, da fissare a seguito dell’esercizio di valutazione globale, per il 2025 (meno di due anni, ndr), il 2030, il 2035 e il 2040, conformemente al meccanismo “al rialzo” stabilito nell’accordo di Parigi e a una tabella di marcia sulle prestazioni nell’intero ciclo di vita».
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Consiglio e Commissione possono bloccare tutto. Giorgia Meloni annuncia battaglia. L’eurodeputato Marco Zanni: «Popolari spaccati dopo il no dei tedeschi. Fermeremo questa follia come il bando dei motori termici».Se non ci saranno modifiche, gli Stati dovranno presentare una tabella di marcia da aggiornare al rialzo ogni cinque anni.Lo speciale contiene due articoli.La battaglia contro la patrimoniale europea sulla casa è solo all’inizio. È il concetto su cui stanno insistendo da martedì pomeriggio tutti gli esponenti dei gruppi dell’Europarlamento che hanno detto no alla direttiva green, in particolare i deputati dei partiti del centrodestra italiano, i quali hanno dato prova di compattezza, favorendo una spaccatura in seno a Popolari e liberali che induce a essere ottimisti per i prossimi passaggi.Perché l’iter delle leggi europee è piuttosto complesso, e sebbene il voto della plenaria che impone un salasso ai milioni di proprietari di case del nostro Paese in nome dell’efficientamento energetico a tappe forzate abbia sicuramente indirizzato la partita verso l’esito più infausto per chi chiedeva ragionevolezza, gli step che mancano affinché il percorso legislativo possa dirsi completo sono diversi.Tanto per cominciare, nell’architettura tricefala con cui è stata costituita l’Ue, il via libera alla direttiva ha certificato qual è la posizione del Parlamento europeo. Che è quella più estrema e condizionata dall’ideologia, dato il forte peso delle sinistre a Strasburgo. Il testo approvato martedì ora sarà sul tavolo del cosiddetto trilogo, vale a dire l’interlocuzione tra l’Europarlamento, la Commissione e il Consiglio: queste due ultime istituzioni, come è noto, avevano manifestato posizioni più morbide o quantomeno improntate a maggiore flessibilità. Qualora questa fase di negoziazione al più alto livello europeo porti a un esito che modifichi il testo approvato a Strasburgo, si dovrebbe procedere a una seconda lettura in Parlamento, dove ovviamente le varie forze politiche valuterebbero dette modifiche e si comporterebbero in Aula di conseguenza. A quel punto, visti i numerosi dubbi espressi dai Popolari ma anche dai liberali di Renew, le possibilità di un ammorbidimento si farebbero più concrete. La fase in cui i partiti della maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni ripongono più speranze, però, è quella del negoziato con i governi nazionali, che investe anche le modalità di recepimento della direttiva. Qui il nostro esecutivo è stato chiarissimo: all’inizio di questa settimana, infatti, la Camera dei deputati ha approvato una mozione presentata su iniziativa della Lega e votata da tutto il centrodestra che impegna il governo a stoppare il testo attuale. Posizione che il presidente del Consiglio ha ribadito anche ieri nel corso del question time a Montecitorio, quando ha detto che si tratta di un testo che «prevede obiettivi temporali non raggiungibili per l’Italia, il cui patrimonio immobiliare è inserito in un contesto molto diverso da quello di altri Stati membri per ragioni storiche, per ragioni di conformazione geografica oltre che per una radicata visione della casa come bene rifugio delle famiglie italiane» e che «l’azione negoziale italiana in sede di Consiglio europeo aveva consentito di rivedere le tempistiche di adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici per renderle più graduali e meno stringenti, e in modo da garantire l’esenzione per alcune categorie», mentre «con il voto di ieri (martedì, ndr) il Parlamento europeo ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta che noi consideriamo irragionevole, mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione».Nelle fila della Lega, a Bruxelles come a Roma, l’attenzione è ora volta a definire la strategia per questi passaggi: gli emendamenti proposti dalla pattuglia europea leghista in stretto coordinamento con Fdi e Fi sono stati tutti respinti, e gli accolti tra quelli presentati dagli altri gruppi non smuovono di un millimetro l’impianto della direttiva. Il presidente leghista del gruppo Id Marco Zanni spiega che «la lotta per difendere le case degli italiani è appena cominciata e noi continueremo a opporci a ogni livello, per fermare questa eurofollia, proprio come sta accadendo con un’altra proposta di Bruxelles che ci ha trovato fortemente contrari, quella sul bando alle auto a diesel e benzina dal 2035 e che ha visto l’Italia tornare protagonista in Europa per guidare il fronte del no grazie all’iniziativa di Matteo Salvini e del governo». «È necessario fare squadra con altri Paesi, spiega Zanni, «per creare un fronte comune capace di arginare e fermare questa direttiva. Non riusciamo a comprendere l’entusiasmo di Pd e M5s per una norma che porterebbe nuove imposizioni e nuovi oneri agli italiani, come un’europatrimoniale nascosta, da decine di migliaia di euro a famiglia. Tuttavia l’esito del voto in plenaria, con una coalizione Ursula ormai ridotta in pezzi, lascia ben sperare in vista dei negoziati del trilogo e dei successivi passaggi: il voto negativo da parte di molti, a cominciare dai Popolari tedeschi, è significativo e conferma che la maggioranza è tutto fuorché compatta. Siamo certi che riusciremo a ottenere importanti risultati a difesa dell’Italia e degli italiani», conclude Zanni , «La battaglia è appena cominciata». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/casa-green-europa-opposizione-2659603386.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="primi-obblighi-nel-2026-in-meno-di-dieci-anni-soltanto-edifici-in-classe-d" data-post-id="2659603386" data-published-at="1678914192" data-use-pagination="False"> Primi obblighi nel 2026. In meno di dieci anni soltanto edifici in classe D Quella disegnata dalla direttiva sulla casa green è una marcia a tappe forzate che impone traguardi impossibili da raggiungere nei tempi stabiliti a tavolino. Già l’obiettivo di lungo periodo che si staglia all’orizzonte fa tremare i polsi: entro il 2050, gli immobili europei dovranno essere a emissioni zero. Peccato che, come rivela il testo approvato dall’Europarlamento, il 75 % degli immobili dell’Unione sia «tuttora inefficiente sul piano energetico. Il gas naturale è usato principalmente per il riscaldamento degli edifici e rappresenta circa il 42% dell’energia utilizzata per il riscaldamento degli ambienti nel settore residenziale. Seguono il petrolio, con il 14%, e il carbone, con circa il 3%». I primi a doversi adeguare saranno i nuovi edifici, sui quali sarà almeno possibile intervenire già in fase di progettazione. Fra meno di tre anni, ovvero dal 1° gennaio 2026, tutti i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero. La norma poi si estenderà, a partire dal 1° gennaio 2028, agli edifici privati in costruzione. Passiamo alla stangata per gli immobili esistenti. Dal 1° gennaio 2027 dovranno fare il salto in classe E tutti gli edifici non residenziali privati e tutti gli edifici e le unità immobiliari di proprietà di enti pubblici, che dovranno poi salire in classe D entro il 1° gennaio 2030. Agli edifici residenziali privati invece viene concesso qualche anno in più: dovranno raggiungere la classe E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Verranno introdotte nuove prescrizioni anche per quel che riguarda l’installazione di pannelli fotovoltaici: tutti i nuovi edifici per cui sarà tecnicamente ed economicamente possibile dovranno dotarsi di tecnologie solari entro il 2028. Il limite massimo si sposta al 2032 per gli edifici residenziali oggetto di importanti ristrutturazioni. Tutto quello che potranno fare i proprietari, che secondo le prime stime saranno costretti a sborsare fra i 40.000 e i 60.000 euro per ogni appartamento, sarà decidere se affrontare e pagare una ristrutturazione monstre una volta sola per raggiungere l’agognata classe D o se eseguire più interventi nel tempo. L’Ue nel frattempo stabilirà criteri uniformi per assegnare la classe energetica agli edifici, scavalcando le norme nazionali. Ogni Stato dovrà poi preparare un piano nazionale di ristrutturazione e «una tabella di marcia dettagliata fino al 2050 del fabbisogno d’investimenti per l’attuazione del piano nazionale di ristrutturazione, delle fonti e delle misure di finanziamento pubbliche e private e delle risorse amministrative per la ristrutturazione degli edifici». La tabella di marcia comprenderà «obiettivi nazionali ed emissioni nell’intero ciclo di vita per le diverse tipologie di edifici, da fissare a seguito dell’esercizio di valutazione globale, per il 2025 (meno di due anni, ndr), il 2030, il 2035 e il 2040, conformemente al meccanismo “al rialzo” stabilito nell’accordo di Parigi e a una tabella di marcia sulle prestazioni nell’intero ciclo di vita».
Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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